C’è un industriale della siderurgia italiana in grado di affrontare la sfida rappresentata dal salvataggio di ex Ilva. “E non è possibile non pensare al più grande produttore di prodotti piani in Italia che è Arvedi”. Lo ha detto il presidente di Federacciai Antonio Gozzi in una intervista stamani al Corriere della Sera parlando dello stesso industriale dell’acciaio che ha già rilevato le acciaierie di Terni e del quale si parla come dell’uomo in grado di rilanciare Piombino. Gozzi parla “con cognizione di causa” quando sostiene che Ilva può essere salvata e che “ne vale la pena” visto che acquistare acciaio all’estero “indebolisce la nostra competitività”, una questione di tempi e costi in primo luogo e di magazzini sempre pieni che rappresentano “un onere per le imprese, soprattutto in un momento di tassi d’interesse elevati”. Tornando ad Arvedi, il gruppo cremonese tra le più affermate realtà siderurgiche europee che già nel 2017 aveva presentato un’offerta per il polo di Taranto, e al salvataggio di ex Ilva Gozzi ricorda che l’industriale era anche nella cordata antagonista di ArcelorMittal “ma si preferirono i franco-indiani. Perché, seguendo i parametri europei, si diede più importanza all’offerta che al piano industriale. Oggi lo Stato dovrebbe essere presente anche per negoziare in Europa la possibilità di sostenere la riconversione dell’Ilva con fondi pubblici” come hanno fatto “i tedeschi garantendo 2,5 miliardi a Thyssen Krupp” mentre un privato come il gruppo Arvedi potrebbe valutare una operazione del genere a tre condizioni “L’uscita di ArcelorMittal, d’altra parte mi pare sia questa la strada imboccata dal governo con le dichiarazioni del ministro Urso – ha detto Gozzi -, una seria due diligence per valutare gli investimenti e la manutenzione necessaria agli impianti oltre al fatto di non doversi fare carico dei debiti accumulati fino a qui”. E lo Stato “dovrebbe restare quanto necessario per realizzare gli interventi di decarbonizzazione e far ripartire il gruppo, non un minuto di più”.