Lui non voleva saperne della bellezza degli spettacoli che la natura elargisce un po’ dovunque. Suggestivi tramonti sul mare, splendide catene montuose, lussureggianti foreste non lo interessavano. Ogni volta che lei lo esortava a non starsene rinchiuso tutto il giorno in officina, invitandolo a godersi il tepore primaverile o i tenui colori dell’autunno disteso sull’erba a riposare e a fumare, lui le rispondeva che la natura è scomoda, l’erba è umida e la terra pullula d’insetti. Aggiungeva che anche la più modesta automobile era in grado di offrire un sedile più comodo che non tutta la natura messa insieme.
Tiziano, un meccanico di automobili sulla cinquantina, quando ottenne il diploma di ragioniere aveva preferito aprire un’officina per riparare veicoli piuttosto che occuparsi di partita doppia, bilanci e operazioni bancarie. Da giovane era stato colpito dalla lettura di un libro, trovato in soffitta, di Oscar Wilde, in cui lo scrittore inglese sosteneva di preferire all’aria aperta i luoghi chiusi. E per Tiziano l’ambiente preferito era la camera da letto del casolare che Chiara, laureata in architettura, una decina d’anni meno di lui, aveva acquistato in collina. Lontano da sguardi indiscreti, era la sede perfetta per i loro incontri clandestini. Entrambi protagonisti di matrimoni ormai privi di passione, erano stati uniti dall’interesse comune per le auto del passato. Quei pochi amici che sapevano, spiegavano la strana relazione con un’irrefrenabile
attrazione fisica che aveva soppiantato la diversa estrazione culturale. La donna laureata aveva sempre avuto un fascino particolare per Tiziano, non nuovo a storie di ordinaria passione.
Da un paio di settimane stava cercando di far coincidere la sua uscita dall’officina con l’apparizione di un’attempata insegnante universitaria sul balcone che si affacciava sul cortile, incurante della relazione in corso con Chiara. Il suo scopo era evidente: avviare un altro amore. A chi gli chiedeva notizie di sua moglie, rispondeva che fare l’amore
con la legittima sposa dopo dieci anni di matrimonio era da considerarsi incesto, perché il tempo l’aveva trasformata da sposa in sorella.
La costanza, negli affari di cuore, spesso premia. Tenendo sotto controllo il balcone, era riuscito a fare conoscenza con la
professoressa e a scambiare qualche parola a distanza per proporre un appuntamento, a scelta, dal lunedì al venerdì, perché il sabato era dedicato a Chiara. I due raggiungevano il casolare in collina, rimettevano in funzione riscaldamento, acqua, elettricità, poi una sommaria pulizia delle stanze con sosta in quella matrimoniale. Qui, più che dare la cera sul
pavimento, oliavano meccanismi naturali consumando il rito antico il più presto possibile. Una relazione perfetta, che non suscitava né gelosia né inquietudine né preoccupazione. Di tradizionale, sopravviveva soltanto la richiesta di un bacio da parte di lei alla fine delle operazioni erotiche, per riportare, almeno formalmente, la relazione fisica sotto le insegne dell’amore. Tornando verso casa, faceva parte del programma la sosta nello stesso ristorante, dove erano serviti a tavola dal proprietario e dalla figlia, una ragazzona semplice e dall’aria ingenua. Ritornavano a casa a metà pomeriggio quando Tiziano smetteva i panni dell’amante per indossare quelli del marito.
Un bel giorno, al rientro, la moglie gli annunciò che era stato deciso con le amiche di lavoro di organizzare un pranzo per festeggiare una collega che andava in pensione e che, alla riunione conviviale, in programma il sabato successivo, erano invitati anche i mariti. Tiziano fece buon viso a cattiva sorte ma, ascoltando il programma della giornata, ebbe un sussulto quando sentì che il nome del ristorante scelto era quello in cui si recava dopo l’amore. Venne quel giorno: nonostante l’apprensione, tutto era filato liscio anche perché, entrando nel ristorante che ben conosceva, a scanso di
sorprese aveva presentato la moglie al proprietario. Non aveva però fatto i conti con la ragazzona ingenua, che, rimasta in cucina, apparve al momento del congedo per salutare, uno per uno, i commensali. Con una voce che copriva il brusio, disse a Tiziano con la moglie lì a due passi: “Mi saluti tanto Chiara!”.
Sperangelo Bandera