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Galileo e Cremona: tra i suoi accusatori anche Nicolò Sfondrati

14 Novembre 2023

Estate, è mattino. Apro la finestra  e mi si para davanti la meravigliosa tavolozza di gialli, verdi, arancione da tenue a cupo, delle variegate figure geometriche  che corrono tra cielo e nuvole sfilacciate verso dove? Non lo so. Ma so che sono ospite della direzione del Castello di Modanella (nella foto) che si trova a 40 chilometri da Siena. Forse le nuvole vanno verso Siena.

Da molto tempo mi frulla per la testa l’idea di andare alla Curia vescovile di Siena  nella speranza vaga di trovare qualche documento in archivio relativo al processo di Galileo del 1633 dove l’accusa era sostenuta dall’Inquisizione. Ma il processo finale non si svolse a Roma? Sì ma dopo l’abiura dello scienziato anziché tenerlo prigioniero a Castel Sant’Angelo. L’alternativa precedente era stata il rogo. Benché Galileo avesse 70 anni e fosse già seriamente malato, venne deciso di affidarlo in prigionia all’arcivescovo Ascanio Piccolomini appunto titolare di Siena.

Galileo imputato di che cosa? Eresia perché sostenitore delle tesi di Copernico che erano però in contrasto con alcuni passi delle sacre scritture. Oggi l’accusa può sembrare inesistente ma al tempo, in piena riforma e controriforma, Copernico e Galileo erano visti come pericolosi nemici.

Il segretario della Curia di Siena mi riceve amabilmente ma mi sgomenta dicendomi che tutte le carte inerenti Galileo e Piccolomini sono presso l’archivio generale della Santa Sede a Roma.

Senza alcuna prova scritta io resto dell’idea che il Piccolomini abbia portato Galileo a Modanella, anche se per pochi giorni. Perché? Perché Ascanio Piccolomini, persona molto colta, ed estimatore di Galileo, invece di tenere Galileo in stretta prigionia, cercò di alleviare in tutti i modi la triste vicenda del Maestro. Modanella era il più bel castello della potente famiglia Piccolomini, ebbero un Papa, Enea Silvio Piccolomini, Pio II, lontano pro zio dell’attuale Ascanio, tra i due corre circa un secolo. Modanella, situata a 400 metri. sul mare, ideale per la salubrità dell’aria, sicuramente avrebbe giovato alla malferma salute del pisano.

Veniamo al punto decisivo. Galileo aveva bisogno della Chiesa, allora era una cassa di risonanza simile alla televisione o social odierni, ma voleva imporre le sue teorie a tutti i costi, alcune senza evidenti prove e soprattutto dimostrazioni. Proprio a lui, il fondatore del moderno sistema scientifico “sensate esperienze e dimostrazioni certe”.

Aggiungasi al tutto che Galileo era di carattere difficile, polemico, irriverente di qualunque teoria precostituita, giusta o sbagliata che fosse ma non coincidente con la sua. Tanto è vero che i matematici e astronomi gesuiti, pur stimando molto il Maestro, alla fine il nostro riuscì a farseli nemici. Aggiungo che tale era il fascino della dialettica di Galileo che lo stesso Piccolomini divenne suo allievo e questo gli costò certamente il papato, oltre alla dura reprimenda della Santa Inquisizione. E allievi venivano da tutta Europa per seguire le lezioni di matematica e della nuova astronomia del Sidereus Nuncius, specialmente nei 18 anni passati a Padova, dove appunto all’Università Galileo era il titolare delle due discipline.

A Pisa Galileo intuisce l’isocronismo del pendolo, il pulsilogio, una sorta di moderno cronometro, l’accelerazione dei gravi e la bilancetta idrostatica. A Padova mette a punto il primo vero cannocchiale arrivando a 33 ingrandimenti, il compasso militare, una sorta di regolo calcolatore, ma soprattutto scruta il cielo e lo rivoluziona scrivendo il “ Nuncius Sidereus” e poi il “Saggiatore”. Lasciata la comoda Padova, dove l’Inquisizione aveva poco potere, per andare alla corte dei Medici a Firenze, Galileo nel 1632 dando alle stampe “Dialogo sopra i due massimi sistemi, Copernico e Tolomeo” si inguaia definitivamente. Non gli erano bastati i precedenti contatti a Roma con i Gesuiti del l611 e poi del 1616 con l’ambigua ammonizione  del cardinale Roberto Bellarmino e quindi chiamato ancora a Roma nel 1633 ha inizio il drammatico e ultimo processo che finirà appunto con l’abiura e relativa prigionia domiciliare.

E Cremona che cosa c’entra? Eccome se c’entra, poiché è il cardinale cremonese Nicolò Sfondrati poi divenuto papa Gregorio XIV che prepara tutta la parte pratica e teorica per Bellarmino. Poi il cardinale Desiderio Scaglia con il cardinale Vincenzo Maculano sostengono l’accusa finale. E, grave anomalia, lo Scaglia, oltre che accusatore fa parte anche dei dieci cardinali che condannano Galileo tra i quali spiccano i nomi di Bentivoglio di Bologna, Borgia e Barberini.

E’ la fine. Galileo viene tenuto prigioniero nella sua villa di Arcetri, sopra Firenze, e interdetto a qualunque attività scientifica. Lo scienziato, ormai cieco, detta il suo capolavoro scientifico “Dimostrazioni intorno a due nuove scienze, la meccanica e i moti locali” pubblica di nascosto, con grave rischio, a Leida in Olanda nel 1638.

Il Maestro muore l’8 gennaio del 1642. Era nato a Pisa il 15 febbraio 1564.

La Chiesa ha avuto torto in  tutto? Direi di no perché tutto ciò che Galileo diceva di avere dimostrato non era dimostrabile al tempo data la pochezza della strumentazione scientifica a disposizione. Galileo, dopo essere stato messo all’indice per oltre tre secoli è stato riabilitato recentemente da Giovanni Paolo II per aver molto sofferto ma non perché allora la Chiesa avesse sbagliato.

 

Pietro De Franchi    

Una risposta

  1. Ho molto apprezzato. Tra l’aver un carattere testardo, e condannare all’abiura in alternativa al rogo, chi è dalla parte del torto? Si pretendeva da lui la prova inconfutabile delle sue idee, ma le sacre scritture strumentalizzate per dominare il sapere e contrastare Galileo, che prova scientifica davano delle loro tesi? Sono solo due aspetti dei profondi torti altrochè di una Chiesa molto arrogante e altrettanto povera di spirito. Se poi consideriamo che Galileo fu messo agli arresti domiciliari a vita e solo per aver espresso con convinzione le sue idee, ci sarebbe da vergognarsi all’infinito per questo. Ancor più grave poi non ammettere di avere sbagliato, trasformando la fede in un dogma scientifico, ma di riabilitarlo solo perché aveva tanto sofferto. Se qualche alta Curia mi costringesse all’abiura su alcune idee, è la volta buona che mi faccio anglicano.

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