Gli ormai noti “imbecilli” di Umberto Eco, (“sui social scrivono legioni di imbecilli”) non lo sono soltanto davanti al computer, ma si rivelano tali anche quando parlano, a causa del ridotto bagaglio lessicale di cui dispongono. Ricorrono a “quant’altro” per risolvere la loro povertà di vocaboli per esprimere un esauriente quadro descrittivo. “Spettacolo!” lo dicono per sintetizzare in maniera restrittiva ciò che vorrebbero esprimere con termini che loro mancano; “pazzesco!” è un altro esempio di povertà linguistica. Non si tratta – è bene precisarlo – di una tendenza dell’italiano alla sinteticità, ma di scarsa conoscenza di aggettivi qualificativi da parte dei parlanti. Ancora: “grande!” riassume ciò che non si riesce a dire con altri vocaboli; “tanta roba” lo dicono spesso per evitare una descrizione circostanziata.
Esistono poi altri errori dei famosi “imbecilli”, come “vicino Roma”, dove la “a” è scomparsa, come anche “vicino casa”. Anche dei verbi riflessivi fanno un uso errato: “affaccia” invece del corretto “si affaccia”, “coagula” invece di “si coagula”. Gli “imbecilli di Eco” usano il verbo “confrontarsi” nel senso di scambiare opinioni. Non è così: “confrontarsi” significa discutere per far prevalere una tesi. Pensate al sostantivo “confronto”. Sono portatori di un’ondata di scarsa conoscenza dell’italiano.
Da qualche tempo si è diffuso l’uso di “piuttosto che” con il significato di “o, oppure” per indicare un’alternativa equivalente. Il fenomeno, secondo Marcello Sensini (La Grammatica Della Lingua Italiana) ha avuto origine nel parlato del Nord Italia e contribuisce a “diffondere un uso improprio”. “Piuttosto che” si usa correttamente davanti a proprosizioni avversative e comparative e significa “anziché” e indica una preferenza accordata a un elemento rispetto a un altro.
Altro luogo comune frequentato dagli “imbecilli di Eco” riguarda l’uso della “d eufonica”, cioè quella delle forme “ed” e “ad”. La definizione è legata al’idea che questa “d” serva a creare un bel suono (da euphonia = suono armonico), evitando la sequenza di due vocali consecutive. In realtà, l’effetto di cacofonia si verifica soltanto quando c’è una sequenza di due vocali uguali. Per questo, nell’italiano contemporaneo, specie in quello scritto, è consigliabile ricorrere alle forme “ed, ad” solo quando la parola successiva comincia con la stessa vocale, tipo “ed eccoci, ed era, ed elencò”, ma “e aprì, e obiettò”. Fa eccezione ‘ad esempio’ locuzione entrata nell’uso comune.
Per concludere l’analisi sulla scarsa conoscenza dell’italiano, balza all’orecchio la progressiva estinzione in atto del congiuntivo. Senza tale modo verbale la nostra lingua si mostrerà meno precisa. Se uno dice: “penso che tu sei imbecille” significa che per quella persona tu sei imbecille. Se, invece, uno dicesse con il congiuntivo “penso che tu sia imbecille” significa che per quella persona imbecille potresti esserlo, ma anche non esserlo. Una differenza notevole.
Sperangelo Bandera
2 risposte
Se la memoria non mi inganna quel raffinato pedante di Alessandro Manzoni, preoccupato com’era di evitare le “cacofonie”, tentò di evitarle proponendo persino l’uso, credo sino ad allora sconosciuto, della “erre” eufonica. Da qualche parte, forse a seguito della “risciacquatura” in Arno, dovrebbe infatti aver tentato, ad esempio, di convincere gli italiani di scrivere “sur un tavolo”, al posto sia dell’infelice “su un tavolo”, che del ben più gradevole “su di un tavolo” che oggi si è largamente imposto. Caro Sperangelo, vuoi usarmi la tua consueta cortesia, correggendo o perfezionando quanto ho, più sopra, ho osato affermare? Grazie, e salutami le ragazze di corso Garibaldi! Ciao! MdC
Troppi anni ci abbiamo messo a passare dalla difficile raffinatezza dei geroglifici egizi agli odierni emoticon. Se la parola esprime il pensiero………