Inossidabili. Inaffondabili. Evergreen. Sono gli intramontabili della politica, delle associazioni, delle banche, degli enti e di altre forme d’aggregazione.
Pro tempore non appartiene al loro vocabolario. Perpetuo è più adatto. Quasi mai orfani di una carica pubblica, nel loro karma c’è un posto di presidente o di consigliere. Di uno scranno sul quale accomodarsi.
Per un effetto domino, alcuni dei senza tempo siedono anche in posti direttivi di altri organismi, in rappresentanza della propria associazione, ente o altro gruppo.
Si conoscono. Sono quasi amici. Le loro riunioni assomigliano ad un’adunanza di famiglia, condizione che non inficia la serietà della discussione all’ordine del giorno.
Eletti per decidere, comandano poco. Obbediscono molto. Qualche volta sono ottone scambiato per oro. Le eccezioni non fanno testo, altrimenti sarebbero normalità.
Partecipano ad incontri chiamati vertici, meeting, convention. Fa più chic.
Frequentano tavoli rotondi, tematici, o d’altra foggia, ma con una caratteristica comune: l’overdose di parole. La ciccia resta una promessa. Invecchia e ammuffisce negli atti della manifestazione. Negli articoli giornalistici.
Con gentilezza e compiacimento gli irriducibili del posto in prima fila declinano un invito perché impegnati in una call con chissà chi.
Call è status symbol. «Libidine, doppia libidine, libidine con i fiocchi» direbbe Jerry Calà. Call è autostima. Call è l’illusione di essere in bolla con il mondo.
Molti dei loro interventi o documenti abbondano d’anglicismi, ma non è raro che l’italiano zoppichi.
Sesquipedalia verba è un classico dei prestigiatori della comunicazione. Un tempo usavano paroloni per autocertificarsi superiori alla plebe. Oggi, in linea con l’evoluzione della società globale, impiegano in abbondanza il linguaggio mutuato dal marketing e dalla finanza, convinti di rimarcare la loro appartenenza al club dei migliori. Un lessico che trasforma il ricordo in recall e la relazione di revisione contabile in auditing firm report, mutazioni non sempre apprezzate dall’ascoltatore/lettore.
Alle manifestazioni pubbliche, se invitati a pronunciare poche frasi di circostanza, gli imperituri – non tutti – dedicano una parte del tempo a disposizione ai ringraziamenti. A gratificare il collega che li ha coinvolti. Aggettivi elogiativi si sommano ad attestati di stima in una deprimente rappresentazione di provincialismo. Mai un salutare vaffanculo più produttivo e credibile.
Per postulato e in ogni occasione presidente, vicepresidente e consigliere anche dell’associazione della lippa o del tresette sono sempre i migliori del bigoncio.
«Life, sorrisi e denti bianchi su patinata, l’America era il mondo sognante e misterioso di Paperino» (Francesco Guccini). Per loro La Provincia, foto sorridenti insieme ad un assessore regionale e intervista tappetino è il mondo. Non sempre è quello reale, ma, appunto, il loro. Di Paperino.
Bravi, alcuni bravissimi, i sempreverdi di casa nostra giovano allo sviluppo del territorio? Nessuno discute la loro abilità di galleggiamento, ma conservatorismo e accumulo di cariche sono un valore aggiunto per la gestione del bene comune? Esercitano una vera leadership? Posseggono quella forza propulsiva indispensabile per trasformare il Calimero brutto e nero in un pulcino uguale, o almeno simile, agli altri?
Per evitare l’accusa di pregiudizi e partito preso, due esempi paradigmatici – uno cremonese e uno cremasco – di inappuntabili recordman di presidenze longeve e di passaggio di consegne in una società con azionisti pubblici. Presidenze verso le quali non esiste motivo plausibile per muovere critiche di disinteresse verso il territorio e di imbastire processi per scarsa qualità dei soggetti e del loro operato. Due esempi per aprire una discussione sulla possibilità di porre dei limiti temporali alla permanenza degli ammiragli sulla tolda della nave. Due esempi per un quesito: quando una botta di novità?
Gian Domenico Auricchio, persona capace e stimata, è al comando della Camera di commercio dal 2003, prima come presidente e poi, dal 2020, come commissario straordinario della medesima. Ercolino sempre in piedi, secondo un vecchio slogan pubblicitario della Galbani, società che opera nello stesso settore dell’azienda della famiglia Auricchio.
Marco Bressanelli, imprenditore esemplare, è presidente della Libera Associazione Artigiani dal 2012. «Il passaggio di consegna è avvenuto con l’intervento dell’ex presidente Giuseppe Cappellini che dopo tre mandati lascia il timone al successore con i migliori auguri e ringrazia Giunta, Consiglio e collaboratori» (Cremaoggi, 6 giugno 2012). Cappellini è tuttora vicepresidente.
Auricchio è stato presidente di Reindustria. Bressanelli lo diverrà nei prossimi giorni. Prenderà il posto dell’avvocato Cristiano Duva che, nel dicembre dello scorso anno, era subentrato allo stesso Auricchio.
Originario di Dovera, residente a Crema, arbitro di eleganza, Lord Brummell della Repubblica del Tortello, accreditato di numerosi atout (si pronuncia come il preservativo, ma non lo è) professionali, Duva è rimasto in carica otto mesi. Uno starnuto.
Era un nome nuovo. Da presidente di Reindustria pare abbia operato in modo egregio. La Provincia del 21 luglio gli ha dedicato un’intervista di mezza pagina. Lo applaude. Domanda: perché sostituirlo? Quale la ragione? Per la sua mancata appartenenza alla nomenklatura provinciale? Per l’essere fuori dal coro?
Il giorno successivo, 22 luglio, in anticipo sul suo insediamento, ai vertici della società, lo stesso quotidiano ha riservato uguale spazio a Bressanelli. Ai suoi progetti per il futuro di Reindustria. Fuffa, aria fritta. Zibaldone di concetti generici. Copia e incolla di alcuni obiettivi dell’Area Omogena e di Consorzio.it.
«Serve – ha spiegato Bressanelli – coesione territoriale per migliorare l’accesso ai bandi. Vanno sviluppate la ricettività e la formazione e l’innovazione». Poi alcune novità vecchie come il cucco: «Per il Cremasco sogno l’avvio della costruzione dello studentato e il definitivo completamento della riqualificazione dell’ex Pierina».
«I have a dream». Bressanelli come Martin Luther King. Ma manca un dettaglio. Per concludere i lavori, prima devono essere iniziati. Nell’attesa sarebbe auspicabile cercare un altro sogno di più facile e immediata realizzazione.
«Considero centrale per il settore produttivo il ruolo di CremonaFiere. Non solo fiera del capoluogo ma dell’intera provincia. Un punto di riferimento soprattutto per il Cremasco che può aprirsi a nuove opportunità grazie alle attività del sistema fieristico».
CremonaFiere punto di riferimento soprattutto per il Cremasco: geniale. Nessuno prima di Bressanelli si era accorto che il sole dell’avvenire di Crema si trova tra gli stand di CremonaFiere. Soprattutto se i cremaschi contribuiscono a ripianare il rosso di un milione di euro dell’ultimo bilancio dell’ente. Soprattutto.
Il quasi presidente conclude l’intervista con una sfilza di ringraziamenti. Manca quella al sacrestano.
Da una visura camerale, al 22 dicembre dello scorso anno, i soci di Reindustria risultavano i seguenti: Camera di commercio, Cremasca servizi, Comune di Cremona, Consorzio.it.
La Camera di commercio detiene oltre il 50 per cento del capitale. Può decidere nella massima autonomia. Questo è chiaro. Altrettanto chiaro è che gli altri soci contano poco. Tendono al nulla. O escono o diventano maggioranza.
Un ultimo particolare. Il sito web di Reindustria ha un link trasparenza, ma non compaiono i bilanci. Colmare la lacuna sarebbe titolo di merito per il presidente in arrivo.
Inossidabili. Inaffondabili. Evergreen. «Io sono sempre qua», Vasco Rossi. E il territorio è sempre fermo.
Antonio Grassi
3 risposte
Grassi, cremasco, si dilunga su Bressanelli. Auricchio non è da meno ma la passa liscia. Per questo l’editoriale mi sembra sbilanciato.
Concordo con la precedente osservazione, Giangi è il numero uno….
…. coraggio.. avanti tutta!!