Ma perché a picchiarsi per la strada o sul pianerottolo di casa si finisce sulla pagine di cronaca nera e magari in questura mentre a menarsi davanti al pubblico pagante si diventa famosi? Perché strappare i capelli, sputare in faccia all’avversario, colpirlo in testa con una pentola e buttarlo giù dalle scale non suscita l’entusiasmo dei vicini di casa e dei passanti, mentre gli stessi si emozionano e applaudono felici davanti alle botte che vengono date (e prese) sul ring?
Forse la differenza sta nel fatto che il pugilato, la lotta, il judo e il karate debbono seguire alcune regole, mentre le risse per la strada e sui pianerottoli rappresentano la spontaneità, la creatività, la genuinità dell’esistenza, tutte cose difficili da controllare. Invece sul ring le regole sono chiare: categorie, peso, dilettanti, professionisti.
Resta da definire il sesso, visto che, se in genere le donne si menano con le donne mentre i maschi picchiano altri maschi, la recente “evoluzione della specie” rende tutto più complicato.
Già, il sesso. Quello che, a differenza di quanto di crede, non è poi tanto semplice da definire visto che esiste quello genetico, quello fenotipico, quello psicologico. Se poi consideriamo anche quello variopinto, allora non ci resta che ricorrere all’autoerotismo, non si sa mai che l’oggetto del nostro desiderio ci riempia di botte.
OCTOPUS
Nella foto centrale la pugilessa algerina Imane Khelif
9 risposte
Si potrebbero proporre le categorie arcobaleno nello sport e anche altrove, per par condicio. Ora si ottengono posizioni e posti di lavoro in base all’appartenenza a un sesso, le aziende devono rispettare la presenza di maschi e femmine indipendentemente dalle conoscenze e capacità: può capitare che un maschio venga escluso perché in esubero rispetto ai maschi. E viceversa, raramente. Con l’istituzione delle categorie arcobaleno tutto l’universo sessuale sarebbe rappresentato. Chissenefrega del merito! Nello sport a maggior ragione.
Rispondo al sig. Francesco che si appella al merito e alle capacità che dovrebbero essere i criteri unici di accesso e selezione ai ruoli sociali o di lavoro. Le quote rosa che lui contesta sono soltanto un piccolo, di fatto irrilevante e soprattutto spaventosamente tardivo correttivo di un sistema millenario che ha decretato che il mondo di fuori cioè quello della storia, della politica, della società fosse appannaggio dell’universo maschile e, insieme, che l’universo femminile fosse invece confinato nella dimensione del privato, doppiamente chiuso da muri e barriere materiali e immateriali, a prescindere dal merito e dalle capacità di questa fetta dell’umanità alla quale si è precluso per millenni prudentemente l’accesso all’istruzione, al voto e quindi alla partecipazione alla vita sociale. Se per i grandi problemi servono grandi soluzioni, la cosa non vale per i grandi errori della storia per i quali non ci sono correttivi se non nella consapevolezza postuma che vedo tardare. Gli uomini dovrebbero ricordare che le donne portano sulle spalle il peso di questa millenaria emarginazione che è la più grande ingiustizia della storia. Si chieda il sig. Francesco quanto del lavoro di cura è ancora impropriamente scaricato anche nelle società evolute come la nostra sulle donne che sommano nelle loro 24 ore il lavoro di cura al lavoro che consente loro di mantenersi e che è fondamentale come garanzia di libertà e possibilità di autodeterminazione.
Le questioni di genere investono la nostra società nel suo complesso, rispetto alla quale il mondo dello sport è un segmento, mi permetta, di secondario rilievo. Se però lei ritiene che sia importante affrontare la questione di genere in ambito sportivo a maggior ragione dovrebbe ritenere più che importante affrontare la questione rispetto alla società nel suo insieme, anche se certamente è impresa molto più complessa e insidiosa delle avite certezze, dalla quale volentieri ci si defila a partire dalla nostra presidente del consiglio che si protesta donna ma strapazza i diritti delle donne e sceglie di definirsi al maschile.
Gentile Signora, le aziende ormai se assumono personale hanno un occhio di riguardo per le signore non solo perché la legge lo impone, ma perché così hanno diritto a ricevere incentivi e maggiori attenzioni. Chieda ai giovani che si sottopongono a colloqui di lavoro se a un certo punto, nonostante la preparazione e le capacità siano più indicate le candidate non passino davanti a colleghi anche con lauree meno adeguate alle richieste. Nello sport l’appartenenza a un sesso piuttosto che all’altro dovrebbe costituire un criterio di rispetto di caratteristiche innegabilmente differenti, garantendo di gareggiare in modo equilibrato.
Non sono medico e chiedo a chi ne sa più di me. Mi risulta, se non sbaglio, che gli atleti ai quali viene riscontrato un tasso di testosterone fuori limite vengano considerati ‘dopati’ e squalificati dalle competizioni. Anche alla pugile in questione è stato riscontrato un livello di testosterone fuori range per un’ atleta ( con l’apostrofo). Se non lo assume, lo produce: in questo caso va bene?
Egregio Direttore, come già ti avevo anticipato, vorrei porre alcune riflessioni sia in merito alla questione degli sport “violenti”e anche sulla questione della partecipazione alle competizioni sportive da parte delle varie categorie gender. Come ben sai, avendo avuto un trascorso da atleta professionista nel
mondo della canoa, penso che lo sport in qualsiasi disciplina sia prima di tutto un messaggio di pace e comunione tra popoli, persone, etnie e fedi religiose pertanto la violenza l’odio siano da ripudiare. Chi utilizza il proprio sport per esercitare violenza su altri non merita di essere definito atleta. Lo sport è un’arte nobile, una scuola dove vengono insegnati valori veri, valori di vita, tolleranza e fratellanza. Per quanto riguarda la partecipazione agli eventi sportivi da parte di persone di genere diverso da quelli cisessuali penso e mi trovo perfettamente in accordo con quanto esposto dal commento del Sig. Francesco con la creazione di categorie diverse. Ritengo che sia personalmente paradossale che una donna o un uomo che abbiano fatto una transizione dall’uno all’altro sesso possano gareggiare in categorie diverse da quelle previste dal loro genere di nascita. Penso altresì che la scienza non abbia ancora fornito dati oggettivi e sicuri sull’appartenenza ad un genere diverso da quello di nascita per essere categorizzato all’interno delle discipline sportive e pertanto, accodandomi a quanto già esposto, si troverebbe necessario integrare delle categorie diverse nel rispetto di tutti e di una corretta inclusione sociale.
Sono d’accordo.
Curioso che non cerchino di essere ammessi a gareggiare, al contrario di quanto si sia più volte sentito, atleti che siano passati dal sesso femminile a quello maschile! Come mai, Octopus?
E poi tutti sti colpi alla testa non fanno di certo bene al cervello, che a lungo andare ne soffre mi sa.
Lo stesso è per i colpi di testa dei calciatori.
Se una donna merita più di un uomo, così è stato per il presidente del Consiglio che lei stessa cita, sia dato a lei quel posto di lavoro e basta questo per dimostrare la sciocchezza ideologica delle quote rosa. Vuol dire acconsentire all’incapacità di prevalere rispetto alla capacità, solo perché appartiene ad un determinato sesso. E poi guardi che la cura dei bisognosi, che siano minori disabili o anziani, è molto più gestita anche dal sesso maschile. Io, per i miei disabili, ho dovuto rinunciare al tempo pieno. Non conosco le questioni che solleva a proposito della Meloni, perciò le chiedo di esplicitare dove, professandosi donna, strapazza i diritti delle donne comportandosi da maschio.