Era il 1480 quando un giovanetto romano che bazzicava i giardini del Colle Oppio cadde all’interno di una buca ritrovandosi in una gigantesca grotta meravigliosamente affrescata da forme geometriche perfette riempite di disegni floreali, figure umane ed animali stilizzate. Era stata scoperta la magnifica e perduta residenza di Nerone, la Domus Aurea. La scoperta sensazionale e subito i più grandi artisti del Cinquecento accorsero meravigliati.
Pinturicchio, Filippino Lippi, Luca Signorelli si calarono nelle cavità del colle Oppio a lume di candela per ammirare estasiati queste nuovissime e ricchissime decorazioni pittoriche. Fu così che nella storia dell’arte apparve per la prima volta il termine “grottesca”, coniato probabilmente dagli stessi artisti per definire i diversi sistemi decorativi della pittura antica riscoperti nelle grotte romane.
La fortuna del motivo a grottesca fu incredibile, studiato perfino da Michelangelo e da Raffaello che ne fecero un tratto distintivo dei decori dei loro affreschi. Dalla Cappella Sistina alle Stanze di Papa Leone X, le grottesche ebbero una fortuna impressionante per secoli. Raffaello in particolare ne fece un tratto distintivo della sua bottega grazie a Giovanni da Udine, certamente il più famoso decoratore della storia dell’arte.
A Pienza, dove mi trovo in questi giorni, tra il 1459 ed il 1462 il grande Papa umanista Pio II erige la sua città ideale, culla del Rinascimento, e sulla facciata dello splendido Duomo di ispirazione albertiana campeggia nel timpano qualcosa di stupefacente. Un enorme festone circolare di frutti incorniciato da due grottesche. Esattamente venti anni prima della scoperta della Domus Aurea e delle sue decorazioni. Ma come è possibile? Architetto del Duomo è Bernando Rossellino, toscanissimo che non pare aver avuto alcun rapporto con quello Squarcione di cui era coetaneo. Eppure anche lui è talmente affascinato da festoni e grottesche da metterli addirittura al centro del suo Duomo, e ben prima della riscoperta romana. Da dove le ha prese? I festoni compaiono nelle terrecotte del fratello Antonio Rossellino, scultore, dagli anni 70 del ‘400 e anche in alcuni bassorilievi dello stesso Bernardo, ma mai prima della metà del ‘400. Ulteriore prova a testimonianza di quanti come chi scrive sostengono che il Rinascimento parte proprio da Pienza.
Oggi tutto ci pare connesso e di immediata reperibilità, ma 600 anni fa spostarsi da Padova a Firenze voleva dire non solo affrontare mesi di viaggi terribili, ma cambiare addirittura nazione lingua e stile di vita. Ciononostante, per chiunque volesse fare seriamente il pittore Venezia la Toscana e Roma erano tre tappe praticamente obbligate, tre diverse vite da vivere in una in cui anche solo un breve incontro con altri artisti lasciava contaminazioni indelebili. I sistemi di comunicazione erano praticamente inesistenti, eppure, come in una trama sotterranea quasi invisibile, l’antichità bramava di essere riscoperta e quasi sembrava mandare dei misteriosi impulsi ai contemporanei di allora, come un misterioso segnale dallo Spazio, come attraverso un impercettibile ma sistemico ripetitore di segnali sotto traccia.
Miracoli dell’arte e della storia che a distanza di secoli non smettono di stupirci.
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano