All’apparenza non c’è nessun nesso tra l’attacco dell’Iran a Israele e il bitcoin. Appunto, in apparenza.Andiamo per ordine. La strategia dell‘Iran contro Israele, che per semplicità facciamo partire dal 7 ottobre con l‘appoggio di Teheran ad Hamas (foto centrale), prosegue col sostegno a Hezbollah in Libano, agli Houthi nello Yemen e include le basi in Siria e in Iraq. Tutto questo necessita non solo di grandi capacità industriali per la produzione di droni e missili, ma comporta anche un costo economico elevatissimo. Parliamo di svariati miliardi di dollari. L‘Iran è un Paese petrolifero, ma sotto embargo e con una popolazione che sfiora i 90 milioni il petrolio non bastano gli introiti derivanti dalla vendita dell’oro nero a finanziare un impegno bellico così oneroso su vari fronti. Perciò lo Stato islamico usa le criptovalute per eludere l’embargo e con operazioni azzardate ottiene ricchissime plusvalenze come quella fatta qualche giorno prima dell’attacco terroristico a Israele.
Prima l’Iran ha effettuato una vendita delle proprie riserve in bitcoin per ripagarsi il raid di Hamas in territorio israeliano, poi ha proseguito con una operazione di vendita sui future dei bitcoin con leva 100X, ossia per ogni punto di ribasso della quotazione della moneta elettronica avrebbe guadagnato 10 volte.
Al termine di questa operazione speculativa il mercato ha perso un miliardo e mezzo di dollari e il valore del bitcoin è passato repentinamente da 67mila a 60mila dollari.
A conti fatti l’Iran ha incassato 1 miliardo e 100 milioni di dollari, un profitto conseguito ai danni di tutti i partecipanti alla blockchain, cioè coloro che investono in bitcoin, che in un solo giorno si sono trovati con una perdita di 7 mila euro del singolo bitcoin. Tutto ciò è stato possibile perché il bitcoin non è in un mercato regolamentato come Wall street, Londra, Milano e le varie piazze finanziarie dove azioni, obbligazioni e valute sono in un sistema di controlli e validazione che garantisce la solvibilità e la correttezza degli operatori dentro range accettabili di volatilità. Per cui operazioni di tale entità, repentinità e opacità non sono possibili. Mentre tutto ciò è normale nelle piattaforme delle criptovalute.
Intel bitcoin, ma ciò riguarda tutte le criptovalute, non è una moneta nel senso classico e scientifico. La moneta, per essere tale, deve avere tre requisiti: primo, essere unità di misura in una determinata area di tutti i beni e servizi, misurati in quella valuta come l‘euro in Europa e il dollaro negli Stati Uniti; secondo, essere mezzo di scambio, cioè accettata in cambio di qualsiasi bene o servizio offerto; terzo, riserva di valore ossia si può detenere sapendo che al netto della svalutazione manterrà un certo potere d’acquisto nel tempo. Tutto ciò è garantito da una banca centrale che ne garantisce la solvibilità di ultima istanza, ad esempio la BCE.
Il bitcoin non è stampato e non è coniato, non ci sono beni e servizi misurati in bitcoin e il suo valore varia ad ogni transazione: se gli acquisti sono superiori alle vendite sale e viceversa.
Per partecipare a questo gioco si deve aderire a una piattaforma che fa da tramite e acquistarlo con il meccanismo della blockchain, cioè un registro che rilascia un codice irripetibile e progressivo che appartiene solo a chi opera su quella piattaforma.
Qui si manifesta il primo “lato oscuro” del bitcoin. Per registrare ogni singola operazione a livello mondiale, in modo unico e non replicabile, occorre una grande quantità di energia in modo che tutti i partecipanti identifichino quel codice .Questo viene fatto in vari Paesi dai cosiddetti miners, minatori, che con server giganteschi ed energivori registrano le operazioni.
Il bitcoin ha avuto tanto successo perché è lo strumento ideale per i trafficanti di droga o di armi o qualsiasi altro traffico illecito ed eccezionalmente perfetto per il riciclaggio di denaro.
A questo gioco partecipano anche gli Stati sotto embargo o poco democratici o che vogliono nascondere operazioni non trasparenti. Iran, Corea del Nord e Russia sono certamente della partita insieme a molti altri Stati facilmente identificabili.
Ma il gioco non funzionerebbe bene se tutto ciò non potesse alla fine essere trasformato in “soldi veri“. Quindi c’è bisogno di migliaia, anzi milioni di piccoli risparmiatori/investitori che immettano costantemente nel sistema “denaro pulito“.
Ed ecco il secondo lato oscuro. Coloro che partecipano a questa festa ricevono un guadagno che fa parte del costo, già spesato, sostenuto dalle varie mafie o dai riciclatori per poter pulire e immettere nel sistema il denaro sporco. Questo è noto, ma non lo è altrattanto il fatto che chi opera nel mercato delle criptovalute alimenta una delle attività più inquinanti in termini energetici.
I dati riferiti al periodo 2020-2021 indicano che il mining cioè l’attività dei ‘minatori’ dei bitcoin ha consumato 173.42 terawatt ore di elettricità (l’Italia ne consuma 295 in un anno).
In conclusione, operare nel mercato delle criptovalute da parte di onesti investitori è moralmente discutibile sapendo che in tal modo si alimentano colossali attività illecite. Lo è anche nell’ambito della tutela dell’ambiente, una priorità a livello mondiale, considerata l’emergenza dovuta al cambiamento climatico, alla luce del consumo esorbitante di energia.
Francesco Papasergio
Una risposta
Grazie per la puntuale e illuminante analisi circa pericoli e reale natura di un fenomeno che presenta, fra l’ altro, sconcertanti aspetti socio culturali. Che le cripto valute riscuotano tanto successo anche in civiltà, quali la nostra, storicamente raggiunte dalla famosa ‘luce della Ragione ‘ fa assai riflettere. Si direbbe un Medioevo di ritorno alimentato da sacche di credulità e superficiale disposizione a bruciare risorse senza la più vaga consapevolezza di cosa realmente nasconda quest’ apparente albero della cuccagna. Il successo pare avanzare in un vuoto di capacità investigative e autodifensive dei nostri sistemi.Per non dire del grave ruolo disinformativo di media fin troppo compiacenti verso il fenomeno. Ad analisi in grado, come questa, di aprire gli occhi a un’ opinione pubblica male o per nulla informata andrebbe riservata massima circolazione