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Donne i primi medici, oggi custodi del futuro dell’umanità

3 Gennaio 2022

Il bell’articolo comparso sul blog del 27 dicembre, in cui Sperangelo Bandera spiegava il significato antico dell’omaggio floreale alle donne, mi ha ricordato che da tempo avevo in mente di dedicare uno spazio alle donne medico. Medichesse, la vocazione femminile alla cura è il titolo dell’interessante libro scritto da Erika Maderna (Aboca Edizioni 2012). Il contributo delle donne alla scienza è un argomento ancora sconosciuto sotto molti aspetti e la felice combinazione tra il femminile e l’arte medica è ricchissima di spunti di riflessione e evoca un profondo interesse nella maggior parte delle persone con cui ho avuto modo di parlare dell’argomento. Il libro si presenta interessante sin dalle prima pagine; spiega come sin dagli albori della civiltà le donne avessero più libertà di quanto non si creda oggi; in epoca protostorica si venerava un’unica divinità: Potnia o Grande Dea Madre, depositaria della conoscenza dei meccanismi della vita. Potnia governava la natura e dalla natura sapeva trarre i principi curativi. Nell’Europa neolitica si era instaurata una chiara divisione dei ruoli: agli uomini erano assegnate
la caccia, la pesca, l’individuazione dei coltivi e il combattimento contro altri uomini che invadevano il territorio, mentre alle donne erano affidati compiti quali: preparazione del cibo, mantenere vivo il fuoco – compito che secoli dopo sarà svolto dalle vestali – ma soprattutto la cura degli ammalati e dei feriti. Le donne hanno imparato ad individuare ed in seguito coltivare e purificare erbe e piante dal potere curativo; erano quindi non solo medichesse, ma anche farmaciste e chimiche. ‘Sono state esperte raccoglitrici di erbe officinali e preparatrici di farmaci: il loro dominio era la materia, la quale è, appunto, mater’ commenta l’autrice nella introduzione del libro.

La scienza medica ha rappresentato – e rappresenta – un’ opportunità di emancipazione per le donne. La conoscenza era tramandata di madre in figlia e ciò ha fatto sì che le donne diventassero depositarie di un sapere antico. La pratica femminile era basata sull’approccio empirico e, come si è detto poc’anzi, sulla tradizione orale, dove, accanto alle applicazioni ‘doverose’ e lecite (la cura delle malattie, la fertilità), sono stati sviluppati saperi più oscuri (contraccezione, aborto, veleni…). Come vedremo in seguito, questi ultimi aspetti rappresenteranno i punti di forza su cui il mondo maschile farà leva per sottrarre spazio alle donne.

Intorno alla metà del terzo millennio a.C. si profilarono all’orizzonte le prime orde degli indoeuropei che, in virtù di un’arte militare avanzata (avevano carri e cavalli), nei secoli seguenti soggiogarono l’intero continente, imponendo il dominio maschile e la lingua. Potnia, la divinità unica, fu parcellizzata in varie figure ad ognuna delle quali fu affidato un ruolo specifico e, in quanto tale, secondario: ad Afrodite la sessualità, ad Atena la saggezza, ma anche la sottomissione al padre Zeus, ad Era il matrimonio e la fedeltà coniugale e così via. L’uomo espugnò la fortezza del sapere delle donne minando così la loro libertà.

Ma tutto questo non bastava; le donne andavano demonizzate e pertanto ad esse venivano attribuiti connotati inquietanti, trasformandole di volta in volta in maghe, streghe, avvelenatrici e altro, sino a condannare il loro sapere all’oblio secolare; un lungo periodo in cui, come vedremo più avanti, solo pochissime donne dalla mente straordinaria hanno rappresentato le eccezioni che
confermavano la triste regola che voleva il mondo femminile impegnato in ruoli marginali e in cui gli uomini furono gli unici depositari del sapere scientifico in generale e medico in particolare.

Questo oblio ha iniziato a stemperarsi solo a fine Ottocento, periodo in cui le donne sono state accettate obtorto collo dal mondo accademico. Florence Nightingale, la fondatrice delle scienze infermieristiche, era solita ripetere che ogni donna è un’infermiera nata, a conferma del fatto che la cura del prossimo è connaturata al mondo femminile. Le donne, fra l’altro, avevano l’incombenza di doversi occupare di quel sistema complesso che è il corpo femminile (ignorato dai medici maschi), a sua volta collegato al mistero della procreazione. Le conoscenze della sfera della fertilità, unitamente a quell’insieme di attività ‘domestiche’ cui si è accennato prima, hanno creato la differenza tra il sapere femminile e quello maschile.

Alla Storia appartengono diverse figure, la maggior parte delle quali poco o punto note, pertanto per semplicità ci limiteremo a citare le più autorevoli per prestigio e carisma come l’ostetrica Metrodora, che ci ha lasciato il più antico trattato di medicina ginecologica; e poi la grande salernitana Trotula de Ruggiero che insegnava ostetricia nella prestigiosa Scuola Salernitana; scrisse importantissimi testi che per secoli rimasero un punto di riferimento nella medicina ginecologica. La badessa Ildegarda di Bingen, che dedicò l’intera vita al sapere, fu mente eclettica di autorevolezza senza precedenti. La vita di Ildegarda inoltre ci svela come la scelta vocazionale potesse rappresentare per le donne un’insperata occasione per affrancarsi sia dalla sudditanza maschile, che per l’ accesso alla cultura. I biografi e gli studiosi affermano che queste persone straordinarie godevano di un prestigio unico in tempi in cui le donne erano figure di secondo piano.

Fortunatamente le medichesse a lungo dimenticate, oggi sembrano conoscere una sorta di rinascita. Le seguaci di Igea (figlia di Asclepio, dea della salute e dell’igiene) testimoniano il presente e soprattutto il futuro cui dobbiamo guardare con sereno ottimismo. A mio personale modo di vedere, non è assolutamente necessario essere maschi in gonnella per dare uno speciale contributo al mondo, cioè le donne non devono ‘scimmiottare’ il maschio. ‘Sarà sufficiente ricordare che c’è stato un tempo in cui siamo state dee!’ conclude l’autrice.

Nonostante il persistere delle disuguaglianze di genere, le donne iscritte alla facoltà di Medicina sono numericamente superiori agli uomini e ciò lascia intravvedere una maggiore umanizzazione dell’arte medica; le donne possiedono un’attitudine naturale alla cura che deriva dal loro istinto materno, sanno cioè trasmettere l’attaccamento alla vita e per il paziente questo non è poco; in altre parole credo che il malato tornerà ad essere al centro della medicina e non sarà più occasione per l’applicazione anonima di protocolli e linee guida.

 

Giuseppe Pigoli

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