GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI
‘Totem e tabù’: un best seller che Sigmund Freud diede alle stampe nel lontano 1931. Mi perdonerà il padre della psicanalisi se catturo un titolo che tanto alto volò nei cieli della letteratura scientifica per farlo atterrare nei più modesti confini di un caso tutto locale. Caso che tuttavia un piccolo miracolo l’ha già compiuto: convertire la silenziosa mansuetudine dei cremonesi in aperta e sonora rivolta. La faccenda totem è nota: alle quattro porte della città stazionano da qualche giorno torrette di ferraglia colorata che proprio non puoi ignorare visto che incautamente svettano per ben dieci metri. In effetti, distrattamente transitando da porta Milano, avevo percepito la sagoma di un corpo estraneo e lì per lì mi ero detta: rieccoci, nuova gru, nuovo cantiere, nuovi disagi. Ignara d’essere al cospetto di uno dei quattro capolavori
lungamente annunciati e in fine materializzati. Ma se, come tenacemente credo, l’arte parla da sola, un presunto capolavoro che per forma, materiale e colore puoi scambiare per una gru edilizia tanto capolavoro non dev’essere. Chiediamo in merito lumi a Sgarbi e, per par condicio, a Montanari. Ma peggio mi sento riflettendo sul rapporto fra epica intenzione e penoso risultato.
Nei disegni dell’Amministrazione Galimberti, speranzosa di emulare il mecenatismo artistico della Firenze medicea, a questi tristi scheletri metallici dovrebbe infatti toccare l’ambizioso ruolo di biglietto da visita delle bellezze cremonesi offerto al turista che, varcando le porte cittadine, si prepara ad ammirarle. Più precisamente dovrebbero suggerire e anticipare la verticalità del Torrazzo e predisporre gli animi a gustarne l’ardita meraviglia. Peccato che i novelli totem stiano al Torrazzo quanto una pozzanghera sta al golfo di Napoli. Modesta proposta: accogliere la vox populi e rimuovere gli incompresi prodigi destinandoli ad altro e non ignobile ruolo: nel canonico mese di giugno si piazzino alle porte della fiera di san Pietro dove troveranno più consono contesto.
Ma la faccenda si presta ad ulteriori considerazioni. Il costo iperbolico, tanto per cominciare: duecentoventimila euro. Salato il conto del ferramenta! Che poi sia saldato in gran parte con finanziamenti europei credo induca qualunque essere minimamente pensante a sconfortate considerazioni su come si buttano risorse che – locali, nazionali o comunitarie che siano – sempre soldi pubblici sono.
Seconda considerazione: Il tempismo. Mentre il caro energia ci impicca a draconiane misure e si parla di coprifuoco serale e città spente, la posa di quattro cervellotici aggeggi per giunta da illuminare, da incidente estetico, diventa beffa.
Terza considerazione: ennesimo indizio di una concezione del ruolo amministrativo sempre più autoreferenziale e lontana dai reali bisogni della comunità e dalle sue legittime attese. Quante cose si potevano fare impiegando meglio così sostanziosa fetta del patrimonio collettivo? Tante. Cremona, inutile negarlo, è una città in ginocchio. Un inquietante punto di domanda grava sul futuro della sanità pubblica messa a rischio dalla incomprensibile riduzione di un benemerito Ospedale in un ospedalino di incerte funzioni. E’ in ginocchio per la macroscopica incidenza di patologie legate a un inquinamento ambientale su cui il Comune tergiversa da anni senza cavare un ragno da un buco. Di un’ordinanza regionale antismog datata 1 ottobre si sono perse le tracce nel più reticente immobilismo. Idem per la sbandierata intenzione di aderire al progetto nazionale di riforestazione delle cinture urbane che ridia ossigeno all’aria malata delle nostre città. Quanti alberi, staccando una modesta quota dalla cifra affogata nei totem, si potevano ottenere e mettere a dimora? Tanti. La delusione cresce. Cala la speranza d’un soprassalto di coscienza di ruolo che riconduca la pratica amministrativa alla sua dimensione primaria, e più nobilmente prosaica, di scrupolosa gestione del territorio e adeguata risposta ai bisogni primari della sua comunità. Il fenomeno è generale e non solo cremonese e molto ha a che fare con l’inarrestabile avanzata della ‘politica spettacolo’ : la soda concretezza degli amministratori del passato svapora e migra verso altri e più seducenti ruoli. I Comuni si fanno impresari di spettacoli, sponsor di eventi, animatori di piazze da weekend, dispensatori di effetti speciali. E mentre si celebrano i totem della ‘città salotto’ , la città reale, nella sua veste feriale e non festiva, autentica e non immaginaria, è in preda al degrado, mortificata dall’incuria, indecorosamente sporca, specie da quando il numero dei residenti quadrupedi supera quello dei bipedi. Quanto ai famosi poliziotti di quartiere, restano presenza attesa e mai messa in campo pur nelle condizioni notoriamente critiche delle periferie.
Ma eccoci al punto: i quattro totem sono figli della ‘città salotto’ figlia a sua volta dell’elitismo di una sinistra che a forza di pensare la politica nel chiuso dei salotti progressisti finisce col credere che il perimetro della città coincida con quello del suo salotto… Come quando Rutelli, sindaco di Roma, investiva più sulle azalee della gradinata di piazza di Spagna che sul degrado delle periferie. O quando un Berlusconi prima maniera semplicisticamente equiparava il governo di un Paese a quello di un’azienda. Colla differenza che, ammaestrato dalla realtà, il Cavaliere cambiò idea. La sinistra no.
A dispetto dell’insuccesso, prevedo che i totem resteranno, nella recondita speranza -e pia illusione- che gli capiti come alla torre Eiffel: provvisoriamente montata per l’esposizione universale del 1889 e sulle prime osteggiata dai parigini, finì col mettere radici nei cuori e nell’immaginario non solo francese ma mondiale. Altri tempi, altre torri. Quanto poi al capitolo costi, tutto fa supporre che siano lievitati se, alla faccia della trasparenza contabile, la voce in oggetto è stata oscurata e non è più consultabile. Rieccoci dunque a ‘Totem e tabù’. Anzi: ai totem che, blindato e ormai innominabile l’ammontare dei costi, si sono in fine trasformati in tabù.
Ada Ferrari
11 risposte
Il cane che osserva perplesso si sarà accorto delle condizioni dell’asfalto che lo separa dal totem? In fondo sono solo crepe, non crateri come altrove! Scherzi, si fa per dire, a parte, mi viene in mente l’orribile pensilina di piazza Stradivari. La pensilina costata allora non poco è finita in qualche magazzino. Si pensava che si sarebbe potuta utilizzare da qualche parte, forse davanti all’ingresso dell’ospedale maggiore, invece è scomparsa definitivamente. E’ stata rottamata? Almeno quella poteva essere una protezione, ma dei totem che potremmo mai farne se non regalarli ad Arvedi?
Sono pienamente d’accordo con tutto ciò che hai scritto, vorrei fare una richiesta agli indecenti che hanno deciso di installare le gru non totem,quanto sono costate? Vorrei un rendiconto, come mi piacerebbe un rendiconto sui costi dell’ospedalino(costruzione e demolizione) e quanti reparti verranno spostati a Crema, Mantova, e Brescia in ospedali più vecchi del nostro.
Ho già commentato ma aggiungo ora, condividendo ogni parola di questo splendido intervento, che il dramma vero sta tutto nella incurabile miopia nella visione della realtà. E questa è una colpa grave, politicamente e anche moralmente. La reazione generale delle persone, al di là della vis polemica che ricorre su tutto, dimostra però che c’è una domanda in tutti noi, un bisogno di bellezza e di cura, una quasi disperata ricerca di speranza, tutte cose che dei tralicci anonimi conficcati nel cuore di certo tradiscono, e a carissimo prezzo.
Ciao Ada, bellissimo editoriale
Ogni volta che rientro a Cremona mi intristisco: difficile accettare lo stato di degrado della città, sporca, verde scarso e non curato, aria già di per sè problematica appestata da odori insopportabili, rumori giorno e notte…e ricordo la città di una volta.
Giustamente Ada Ferrari , che ringrazio come sempre per la passione e l’impegno profusi , si chiede quante cose si sarebbero potute fare in questa città in ginocchio con i soldi destinati a queste discutibili installazioni . Davvero molte.
I bisogni della comunità e la conservazione del nostro patrimonio sono trascurati, la speranza che la tendenza cambi è scarsa e, se questo cambio arrivasse, potrebbe essere troppo tardi.
Pare ,che il costo dei totem si aggiri sui 250 000 euro. Voci che circolano e quando circolano c è sempre un piccolo fondo di verità
Grazie Ada per esprimere disappunto e disapprovazione per un’amministrazione cittadina che davvero non lascerà un buon ricordo. La nostra povera Cremona ha bisogno di ben altro che inutili totem, che altro non sono che celebrazioni di miseria.
Speriamo che facciano la fine della pensilina. Si meritano lo stesso destino, al pari di chi ha voluto schiaffeggiare ancora una volta la città.
Unione perfetta tra bruttura e spreco. Rimane la rabbia per doverli subire entrambi.
Grazie professoressa di esserci sempre.
E pensare che i prodromi di questo mal pensare alla città già erano evidenti quando si buttarono 3.000 euro (questa la cifra ufficiale) per quella scritta “Boccaccino” in polistirolo che resistette pochi giorni e ai primi refoli di vento, fortunatamente, scomparve.
E prima ancora le famigerate strisce blu e il conseguente percorso a zig zag (a me piace dire “a bisaboga”) che qualche patema aveva creata per i passaggi delle ambulanze.
L’amministrazione (minuscola voluta) è sempre la stessa, i motivi per i quali agisce così sono sempre quelli magistralmente descritti in questo articolo.
Ai cremonesi trarne le conseguenze. Sono convinto che a livello locale, gli amministratori dovrebbero essere votati sul saper ben amministrare e non sulla fede politica. Sono curioso di vedere come finirà alle prossime amministrative.
Confido che questi totem facciano presto la fine delle strisce blu, della scritta in polistirolo e, seppure con diversa amministrazione ma stessa area politica, della pensilina di piazza Cavour.
Nel frattempo e comunque, soldi pubblici spesi molto male.
👍 👏
Queste strutture mi ricordano quello che diceva Guy de Maupassant sulla torre Eiffel. Il problema è che qui sono 4 e non vi è neanche lo spazio per un ristorante al loro interno. Un declino sempre più triste per 2200 anni di storia, un declino che lascerà alle generazioni future solo pessime scelte con le quali dover convivere