Il declino di Cremona e Arvedi che riempie il vuoto della politica

1 Novembre 2022

GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

Anno terribile quello che si avvia a conclusione. Terribile per il Paese e in particolare per Cremona che subisce impotente un impoverimento socio economico che nessun successo calcistico può pretendere di compensare. Di ben altri gol avremmo bisogno per fermare un declino plasticamente misurabile se solo giri per strada e registri l’amaro conteggio delle attività commerciali che hanno chiuso o si accingono a farlo, ultimo in ordine di tempo lo storico negozio Vergani. Cremona si spegne ma lassù, ai piani alti del potere ‘Tutto va bene madama la marchesa’ e prosegue il monologo degli altisonanti propositi che, buone intenzioni a parte, danno la misura della siderale distanza intervenuta fra città immaginaria e città reale. Quel che sperimentiamo ogni giorno è degrado, incuria, impatto insostenibile di un’immigrazione incontrollata che, ormai impadronita di crescenti spazi del centro storico, polverizza secoli di civiltà urbana convertendoli in assetti da Terzo mondo. Siamo, grazie anche alla Caporetto dei collegamenti ferroviari, una città balcanizzata in cui l’aria è ferma in ogni senso.

Che dire? Che un fenomeno di questa portata non è attribuibile al caso, allo sfavore degli astri o alle avversità degli ultimi anni. L’errore strategico viene da lontano, più che dell’accaduto è figlio del non accaduto e del potere di veto di un ceto agrario che sin dal lontano dopoguerra scelse di appartare Cremona da ogni dinamica di trasformazione consacrando le sorti cittadine al rischioso culto dell’immobilismo. Il che, come di norma accade, tiene lontane le cose buone ma non ripara da quelle cattive, come il devastante impatto ambientale di una raffineria e l’impiccarci a quel drammatico aut aut fra posti di lavoro e salute che oggi ci vede in testa alla classifica europea dell’inquinamento. Quattro parole rendono dunque l’idea meglio di tanti libri: a Cremona non circola aria. Banale constatazione ma, a modo suo, chiave di lettura a largo spettro applicabile ormai sia ai fenomeni storici che naturali. Come non accorgersi che preziosi elementi come pioggia o neve si tengono da tempo alla larga da noi, negandoci il sollievo di qualche periodico lavaggio? Persino la cara, vecchia nebbia pare decisa ad evitarci. Quei bei nebbioni della Bassa, che appena uscivi ti gocciolavano dai capelli e inghiottivano la città, Torrazzo compreso, in un fluttuante mare di silenzio e misteriosi vapori, non si vedono più. Mentre c’è chi , a proposito delle nostre celebri tre T, propone di aggiungerne una quarta, ben diversa dal ruspante vitalismo delle altre: la T di tumori. Greve scrivere queste cose, altrettanto greve leggerle. Ma nessuna positiva controtendenza è immaginabile senza una osservazione impietosamente realistica dello stato di fatto e delle invalidanti ipoteche che oggi gravano sul futuro di Cremona e rischiano di identificarla, nell’immaginario di chi ci osserva, come luogo inadatto a ospitare la vita.

Arrenderci fatalisticamente al declino o reagire? E, se reagire, come? Se risposta esiste non si può che cercarla nel contesto socioeconomico e politico e nei relativi attori in commedia: classe dirigente, comunità cittadina, opinione pubblica, ruolo dei media. “Gente bonaria e lievemente scettica” così ci definiva nella prima metà del ‘900 un cremonese d’eccellenza come Giuseppe Cappi. Tuttora bonari? Forse. Tuttora scettici? Molto, molto di più. Osservando comportamenti diffusi si direbbe che molti cremonesi sposino la logica del tanto peggio tanto meglio: oltre la porta di casa che custodisce il sacro recinto del privato c’è la città di nessuno, spazio in cui liberare, magari con l’aiuto degli adorati cani di famiglia, i più incivili istinti latenti sotto il sottile strato di un ingannevole bon ton. Attenti, perché dietro la notazione di costume cova un problema enorme, forse il problema dei problemi: la crisi d’identità e ruolo di una borghesia di provincia che si ripiega su se stessa e si apparta dalla vicenda civile del proprio tempo dopo esserne stata in altre stagioni storiche laboriosa protagonista. Intanto, fra governanti e governati vige una cauta distanza, garantita e pietrificata dalla proverbiale resistenza dei locali a dichiarare ‘apertis verbis’ i malumori e le critiche che riempiono invece le retrovie del quotidiano mugugno. Il guaio è che la democrazia come ogni ingranaggio resta in salute se viene usata e praticata, inutilizzata deperisce e si ammala. Come non si dà pane senza farina, non si dà autentica democrazia locale senza una reattiva e vigile opinione pubblica, sale e pepe dell’era moderna. Neanche in questo senso dunque l’aria che gira è adeguata al desiderabile. Né ci aiuta un assetto economico lontano dalla ricchezza e dal pluralismo industriale e produttivo di città vicine come Brescia o Bergamo dove la pluralità di forze, interessi, idee e logiche in campo genera spontaneamente bilanciamento di poteri, attitudini mediative e costante ricerca di più soddisfacenti equilibri locali. La nostra città, invece, vive nell’ombra monumentale di un polo siderurgico guidato da un Dominus di altrettanto monumentale personalità, in grado di definire la rotta collettiva con la forza decisionale di una Signoria cinquecentesca.

La Cremona del terzo millennio è dunque tuttora immersa in una sua peculiare stagione storica di cui presenta le classiche dinamiche politico sociali e i classici strumenti di costruzione del consenso. Primo fra tutti, il disciplinato collateralismo dello storico quotidiano locale, La Provincia, efficiente cantore delle luci e ancor più efficiente silenziatore delle ombre. Il Dominus riempie il vuoto di proposta politica con geniale capacità di progettazione e generosità di elargizione e investimento. Innegabile il suo positivo ‘ruolo motore’ nel generale panorama di inerzia. Altrettanto innegabili le dure logiche di scambio sul nevralgico terreno dell’impatto fra siderurgia e ambiente. Ma quel che in fine conta è che, a differenza di altri poteri più defilati e afasici, il Dominus c’è e ci si può contare. Tant’è che, paradosso nel paradosso, sulle inquietanti incognite relative all’ospedale cittadino è a Giovanni Arvedi che si chiede di scendere in campo a sostegno delle sorti della sanità pubblica e del nostro diritto alla salute.

Ma è pur vero che intanto, nel quadro apparentemente statico della città dormiente, qualcosa si muove: una nuova, embrionale opinione pubblica cremonese affiora, interviene su quel che legge, pone domande su scelte amministrative non condivise, aggrega energie sociali sotto traccia. E lo fa nei recenti canali dell’editoria digitale in cui un crescente numero di cremonesi si riscopre partecipe di una comune avventura locale e sceglie le forme di una nuova cittadinanza attiva. Ma per ora le risposte che sollecita non arrivano. Il Palazzo tace. Su blog e quotidiani on line i partiti si limitano a rare incursioni di propaganda autocelebrativa, ma eludono qualsiasi dialogo e confronto su temi specifici. Brillano per la loro assenza e parlano col loro silenzio. Il gioco delle parti e dei ruoli, lungo l’eterna linea di confine fra governanti e governati, fra potere che blinda le decisioni e opinione pubblica che pretende di capire, si fa via, via più evidente ed esplicito. E tutto questo, per poco che sia, è un primo, indispensabile passo verso la costruzione di un risvegliato municipalismo che potrebbe un giorno riprendersi il posto che gli spetta nella costruzione del destino cremonese. Non sarà tramontana, ma qualche refolo d’aria persino a Cremona, se Dio vuole, ricomincia a girare.

 

 

Ada Ferrari

 

 

 

8 risposte

  1. Cosa dire? Forse, ricordando una vecchia pubblicità, potremmo invocare: Gigante pensaci tu! Ma le soluzioni le dovrebbe trovare
    e adottare qualcun altro, ad esempio il governo cittadino.

  2. Non mi sono mai arresa alla deriva perché mi hanno educata a credere che OSSERVARE, FARE, RESISTERE, siano i verbi propri nei nostri tempi liberi, dove il Credere, Obbedire e Combattere di un tempo deve essere sublimato nella volontà di costruire qualcosa di buono, per sé e per la comunità.
    L’abitudine al sacrificio è qualcosa di ignoto in una collettività dove è mancata per decenni la necessità di fare con le proprie mani, quantomeno non è stato necessario per gran parte della popolazione, erede di patrimoni vari oppure impiegata in enti altrettanto vari, quindi non incline né bisognosa di affermarsi mettendoci del proprio. La storia di Brescia e Bergamo è emblematica: la maggior parte dei cittadini ha inventato dal nulla ricchezza, fabbriche e mestieri. Qui no.
    E’ mancato lo scambio culturale, con istituti scolastici di vari gradi, alti e selettivi ma attrattivi di giovani portatori di idee, vitalità, esperienze e culture diverse. Non c’è stato investimento sulle eredità della nostra storia, a cominciare dal comparto musicale e artistico, bacini straordinari di opportunità sopravvissuti solo per l’deale profondo che ne ha animato gli interpreti, non certo per la consapevolezza della comunità intera.
    I circoli ristretti sono una rete nobile, se vogliamo, ma che non libera le energie ma le imprigiona nella autocelebrazione, e questo è un peccato direi mortale. Non farne parte è significato per moltissime menti illuminate essere escluse, ignorate, scavalcate da omologhi più abili a mettersi una spilla alla giacca. Innumerevoli sono coloro che hanno abbandonato Cremona. Si è vista una progressiva incapacità di approfondimento delle tematiche sociali e culturali in generale nonostante la profusione di proclami e iniziative: l’impoverimento è nei comportamenti, nell’educazione, nelle scelte e si riflette nella sofferenza della città , storicamente forte nelle attività terziarie e oggi ombra di se stessa.
    Non è solo questione di denaro, è questione di visione, di percezione di ciò che è la qualità di un modo di vivere e di scegliere.
    Indubbia la buona volontà di tanti, ma la gestione di una città e di un territorio deve dare risultati, ed è impensabile negare che allo stato attuale questi siano insufficienti. Il degrado nella manutenzione e nei comportamenti si percepisce a pelle e lo si vede salire lentamente ma inesorabilmente, come una marea che a poco a poco pervade aree prima libere e al sicuro.
    Non mi sono mai arresa, ho sempre testimoniato come potevo quanto siano importanti certi valori e non smetterò mai di farlo: voglio anche dire che sono tanti quelli che ci provano e resistono, anche se non si vedono. Per rispetto a tutti più è alta la consapevolezza del pericolo, maggiore deve essere lo sforzo di mandare segnali coraggiosi e forti. Non prevalebunt.

    1. Grazie: concordo su tutto. Circa il finale “non prevalebunt” sono in difficile equilibrio fra ottimismo della volontà e pessimismo della ragione

  3. Standing ovation per la mente più lucida e coraggiosa di Cremona, che sa leggere la realtà senza le fosche e ipocrite lenti ideologiche che hanno condizionato e blindato la maggior parte delle coscienze del nostro paese e della nostra città.
    Onore e applausi a chi come Ada ha l’intelligenza di vedere e il coraggio di denunciare con chiarezza e onestà alzando una voce acuta sull’opaco mormorio di fondo per denunciare che no, non va tutto bene perché lo dice l’establishment locale e che la nostra città è veramente allo stremo dopo quasi un decennio di mediocrità fatta da piccole menti chiuse nell’immobilismo e nel provincialismo più deleterio, usate ad arte da chi, come ben sappiamo, ne ricava interesse.
    Grazie Ada, onore a te.

  4. Buongiorno prof.ssa Ferrari, questo scritto porta consiglio o meglio, nel 2022 il verbo andrebbe coniugato al condizionale, perché pare quasi che questi problemi debbano comparire solo come esercizi su un libro di testo. La situazione cremonese riflette, ovviamente, tematiche che vanno ben oltre la nostra città, è indiscutibile che determinati problemi si stiano abbattendo in quasi tutto il mondo con effetti devastanti, ma il punto focale non è questo, almeno non ancora. Quello che mi fa enorme paura è la risposta che verrà data a questi problemi o meglio, come coloro che amministrano saranno in grado di rendere meno traumatica e più veloce una sorta di ripartenza. Qui le mie paure, sentimento perfettamente umano e razionale, diventano una sorta di panico incontrollabile, spero di sbagliarmi ma all’orizzonte non vedo persone che siano in grado di prendere per mano una situazione e ragionare su come cercare di uscirne. Corriamo il rischio di vedere nomi nuovi (o semi nuovi) animati dalle stesse idee e dalla stessa visione che sta conducendo una città in questo stato, in una sorta di “continuità decisionale” che poco si adatta quando andranno fatte scelte nell’interesse della intera comunità. Il consenso più meno valido genera aspettative, le aspettative generano voti, i voti eleggono persone le quali generano decisioni che l’opinione pubblica può accettare o meno. Il resto è nelle mani di quella democrazia che viene tirata fuori dal cassetto quando l’opinione pubblica chiede chiarimenti su una o più scelte. Personalmente ritengo che l’informazione di un certo tipo sia l’humus di questo percorso, una sorta di passaggio dovuto con determinati paletti che sono chiari e inamovibili i quali rendendo l’opinione pubblica sempre più distante dalla possibilità di un confronto. Inserire nel motto “storico” di Cremona una parola tanto drammatica deve far riflettere, arrivare al punto in cui, davanti a modifiche letterarie di tale portata, non arrivino idee o scelte per cercare di migliorare questa situazione mi lancia, per la seconda volta, nel panico più assoluto. Le auguro una buona giornata

  5. Benchè la questione sia molto più complessa di quanto io possa descriverla ora in poche righe, a me pare che, in linea di massima, la cittadinanza attiva che tu auspichi, rispetto ai tranelli burocratico/ideologico continuamente frapposti a livello istituzionale, rispetto al vuoto di risposte dalle alte sfere, e al proseguire indisturbate nei loro progetti disincarnati dai bisogni reali ( salvo quelli degli speculatori); rispetto infine alla forte coartazione della libertà di espressione a diversi livelli, dubito fortemente che possa trovare spazio nei piani alti di chi comanda, e un domani riprendere a “costruirsi” il proprio destino. Anzi, più sei preso di mira dal sistema, e più il sistema ti stritola, ti crocifigge,anche solo per il “capriccio” di una figura dominante che in ogni momento può stravolgere la vita tua e quella dei tuoi cari. Non rimane che contare sulla società delle piccole trame, del buon vicinato, dei piccoli grandi amori: un valore enorme rispetto alla misera megasocietà della speculazione. A meno che una piccola grande donna che tu vedevi votata al martirio, possa realizzare qualche miracolo

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