Consiglio vivamente The sinner (“Il peccatore”, titolo che apre uno spiraglio sulla psicologia del protagonista), una serie proposta da Netflix e giunta ormai alla quarta stagione mantenendo la struttura di fondo e senza perdere in qualità. Le ragioni della preferenza sono quelle consuete in un serial di carattere poliziesco, con robusti innesti noir: prima di tutto una trama coerente e ben strutturata che segue in linea di massima i caratteri della detection, anche se si permette spunti originali (nella prima serie, ad esempio, il delitto avviene subito, e sotto gli occhi di tutti; il mistero consiste quindi non nello scoprire chi ha commesso l’atto violento, ma nell’individuare le ragioni di esso, il carico di sofferenza che lo ha motivato e soprattutto i condizionamenti criminali che hanno spinto la colpevole ad agire).
Ma, si diceva, il plot costituisce uno dei punti di forza di The sinner, insieme ad una scansione logica degli avvenimenti, che si avvicinano alla conclusione attraversi un climax efficace: il ritmo accelera man mano che ci si approssima alla verità, e le vicende secondarie, non direttamente connesse con la narrazione principale, non creano dispersione, ma servono semmai a rallentare lo svelamento finale, con la precisa funzione di accrescere la suspense, rendere la trama più complessa e arricchire di sfumature la psicologia, turbata e contorta dei personaggi.
Se tutto questo vale a qualificare The sinner come un poliziesco di qualità, il valore aggiunto è dato dall’originalità che caratterizza la figura del protagonista, il detective Ambrose, coinvolto in intrighi contorti e misteriosi, spesso in solitudine, se non addirittura osteggiato da colleghi e superiori, Ambrose è un uomo psicologicamente ferito, gravato da un passato che pesa come una colpa inespiabile (se ne sa poco: forse la morte prematura di una figlia , forse ipotetiche azioni compiute in gioventù). E’ un uomo interiormente fragile e alla deriva, incapace di una relazione “normale” (divorzia infatti da una moglie dolce e comprensiva, dopo un sofferto tentativo di riconciliazione), dedito a pratiche masochistiche ed umilianti, attraverso cui cui cerca di alleviare il peso di una colpa insostenibile.
Paradossalmente, ma coerentemente, le uniche relazioni autentiche sono con persone (donne, soprattutto) fragili e misteriose, a loro volta investite dalla sfortuna, tormentate da un rovello interiore e da un passato che le rende infelici. (nella quarta, e più recente, stagione, l’identificazione, e un ipotetico dialogo, avviene con una ragazza suicida che il protagonista incontra per caso e che porta dentro di sé un dramma chiuso, la responsabilità per un delitto, che la incalza e da cui ha cercato per diverse vie di sfuggire).
Una parte considerevole del merito, nella riuscita, va all’interpretazione del detective protagonista, Bill Pulman, che ha costruito, attraverso ritocchi progressivi, una maschera perfetta di “perdente” senza speranza: cammina curvo, emette frasi secche con voce sommessa e rotta, con frasi sospese ed interrotte da lunghe pause. Figura e atteggiamento insistono dunque su di una condizione di fragilità e timidezza, che contrasta però in maniera radicale con il suo coraggio e la sua ostinazione in favore degli altri, vittime come lui, ma innocenti, senza curarsi del rischio di inimicarsi le alte sfere o di trovarsi in sgradevoli pasticci burocratici. Il carattere del protagonista torna costante in tutte le stagioni del serial e ne ribadisce un’impressione di vicinanza umana e di realtà. Si tratta peraltro di una scelta che gli autori hanno programmato fin dall’inizio, come rivela la presenza di scene e dialoghi rivelatori della personalità di Ambrose e del suo cupo senso di colpa che si tramuta in comprensione e solidarietà. Nella prima stagione, la protagonista chiede con insistenza al detective le ragioni del suo aiuto ostinato e non accetta giustificazioni vaghe e superficiali. Alla fine il poliziotto cerca di fare chiarezza anche dentro sé stesso: “Perché la palude in cui ti sei persa, l’ho provata anch’io, molte volte”: una risposta che per un attimo illumina la tormentata psicologia del “peccatore”.
Vittorio Dornetti
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