GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI
“ Che la piasa, che la tasa, che la staga in casa”. Che piaccia, che taccia, che stia in casa. Usava dirlo nientemeno che Geremia Bonomelli, eccellente vescovo di Cremona, mente apertissima e anticipatrice in materia di rapporti fra Stato e Chiesa. Lampante dimostrazione che persino nei più evoluti sostenitori del principio liberale, quando si tocca il tasto donne scatta, ieri come oggi, un ancestrale riflesso condizionato, una specie di arcaica cosmologia del rapporto maschio-femmina: così come la terra gira intorno al sole, è nell’immutabile ordine delle cose che la donna giri intorno all’uomo e, quand’anche dotata d’intelligenza, si limiti a modesto e docile sfoggio dei suoi talenti. Prudente dunque confinarne ruoli e mansioni nello spazio che corre fra cucina e camera da letto. L’angelo del focolare resta per un numero inaspettatamente alto di maschi l’insuperato modello di compagna di vita. Mai lo ammetterebbero nemmeno con se stessi, ma nei più privati recessi dell’immaginario ne custodiscono il nostalgico ideale. E non fingiamo di credere che un fenomeno di così complessa sostanza antropologica possa essere affrontato in chiave politica con la solita destra cattiva e maschilista e la solita sinistra in odore di santità. Sciocchezze. Pensi piuttosto la sinistra a quel che bolle nella sua pentola. Non fu forse in perfetto stile patriarcal-maschilista l’isterica reazione opposta dal super progressista Grillo al magistrato colpevole di voler far luce sulle prodezze del figlio, presunto stupratore? E come non comprendere che certe politiche sull’immigrazione di indiscriminato buonismo accogliente, dando crescente spazio e voce a una cultura islamica d’impianto non propriamente femminista, alzano a danno di italiane e immigrate la soglia del rischio di violenze psicologiche e fisiche?
Stordita e non sempre convinta dall’alluvione di parole, slogan e rigurgiti ideologici che ha accompagnato la penosissima fine della povera Giulia, mi riservo un paio di osservazioni e qualche confessione.
Primo. Di fronte ai neurodeliri vetero femministi che si stanno scagliando contro il patriarcato senza avere la più vaga nozione storica del vitale ruolo costruttivo e protettivo che questo modello sociale ha svolto nei millenni, io rabbrividisco. Quando leggo che “Ogni femminicidio è un delitto di Stato” penso che se la Storia ci è maestra noi restiamo pessimi allievi. Quando, con un determinismo pseudo scientifico che scienza ed evidenza hanno da tempo immemorabile sconfessato, si sostiene che nel Dna di ogni maschio c’è il femminicida, temo l’avanzata di una nuova notte della ragione. E inevitabilmente ne concludo che se l’orrore della crescente violenza sulle donne deve indurre a severa riflessione sulle devastanti derive del seme maschilista, i rigurgiti di rabbia antisistemica che buttano i più eterogenei materiali nel falò di una nuova caccia alle streghe, a ruoli di genere invertiti, esigono a propria volta qualche onesta riflessione sui tossici germogli tardivi del seme femminista.
Seconda considerazione: è verosimile che l’emancipazione femminile e il suo accesso alle stanze del potere sia l’elemento scatenante che sta destabilizzando parecchi uomini al punto da spingere i più fragili, frustrati e violenti a gesti di efferata gravità criminale. Superfluo precisare che anche esigere da parte della donna la conclusione di un rapporto ragionevolmente ritenuto intollerabile è legittimo gesto di potere. Non dobbiamo tuttavia peccare di memoria corta. Non si dimentichi che il rapporto fra donne e potere è, almeno in senso indiretto, vecchio quanto il mondo. Basti pensare al solidissimo istituto del matriarcato domestico o alle numerose donne del passato giunte a condizionare politiche, diplomazie e delicati equilibri internazionali. E dunque dove sta la novità? Non sta nel cosa ma nel come. La vecchia ricetta della nonna la conosciamo più o meno tutte. “ Puoi far fare a un uomo tutto quello che vuoi se solo riesci a fargli credere che è lui a volerlo”. Antico prontuario di efficacia quasi infallibile: se attiri l’uomo, che storicamente non brilla per sensibilità intuitiva, nel labirinto di abili lusinghe e trasversali furbizie è fatalmente destinato a soccombere. I guai cominciano quando la storia volta pagina e, a condizioni generali finalmente mature, le donne si stufano di perseguire i propri disegni attraverso la faticosa pratica di lucidare le ali al maschio. Se ali devono lucidare, possono finalmente permettersi di lucidare le proprie. Portatrici di potere diretto e non più esercitato per interposta persona, arrivano ai più ambiti e impegnativi ruoli e dimostrano di saper fare almeno quanto l’uomo, spesso meglio. La rivoluzione è copernicana, l’orgoglio ferito del maschio piange lacrime di sangue. Caduto dall’antico piedestallo, si sbriciola e rimettersi in piedi, almeno apparentemente illesi, non è da tutti.
La crisi di identità e di ruolo del maschio, in questa fase palesemente post patriarcale della storia, è una nube in più nel fosco orizzonte del Vecchio continente: recessione demografica, marginalità geopolitica, arresto della crescita, cui s’aggiunge una conclamata crisi antropologica maschile palesemente correlata anche alla crescente instabilità di relazioni affettive e nuclei familiari. Cosa il futuro ci riservi al riguardo è al momento domanda senza risposta. Si usa dire che ‘col tempo e con la paglia maturano le nespole’ e forse col tempo e con nuovi indirizzi educativi matureranno anche gli uomini. Ma le attuali urgenze non sopportano tempi biblici. Un deciso cambio di passo occorre qui e adesso. Occorre nei sistemi di protezione fisica delle donne ma anche in molte logiche e modalità applicative delle pene. Troppe concessioni, attenuanti, sconti di pena, magari sulla base di inverificabili ‘pentimenti’, rimettono con sconcertante frequenza orchi e carnefici in libertà. Ogni irriflessivo atto di ‘pietà’ giudiziaria verso i responsabili di tanto infami crimini è un atto di ‘empietà’ verso le loro vittime passate e le loro potenziali vittime future.
Non illudiamoci tuttavia che ogni criticità nella difficile avventura del vivere femminile possa essere addomesticata e ogni spigolo smussato: i cruciali snodi che hanno a che fare con le decisive scelte di vita – chi vogliamo essere e cosa vogliamo fare della nostra libertà – sempre manterranno un’irriducibile quota di sofferenza e di rischio né smetteranno di avvolgere la complessità femminile, per lo più indecifrabile agli occhi del maschio, nell’eterno involucro di invalicabili solitudini.
Ada Ferrari
2 risposte
Ben vengano le riflessioni che prendono spunto dall’omicidio di Giulia Cecchettin. Che uomini e donne approfondiscano la realtà attuale, profondamente diversa da quella di qualche tempo fa. Non è il varo di nuove leggi che risolverà il problema, né l’inasprimento delle pene che alla fine vengono puntualmente mitigate. Il contributo di tutti invece è importante per tentare di arginare le difficoltà che portano a comportamenti profondamente sbagliati, anche senza arrivare all’omicidio: in questo caso si tratta di follia, di perdita del senso di realtà. Parto anch’io da un detto: ‘Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna’. A meno che la ‘grande donna’ non accetti il suo ruolo di preziosa comparsa e il ‘grande uomo’ non accetti di condividere il suo ruolo di protagonista con chi l’ha messo nelle condizioni di essere riconosciuto come tale. E magari di doversi rassegnare a vedere la scena occupata dalla presenza femminile. In molti casi questo è un traguardo ancora lontanissimo. C’è parecchio da fare.
Grazie Sig.ra Ada , grazie a lei finalmente leggo argomentazioni serie ragionate e non di “pansa”