In una intervista di pochi giorni fa Lella Bertinotti, moglie del leader politico Fausto, sosteneva che oggi non esiste più una sinistra ma solo un centro sinistra, e questo perché la sinistra si occupa di lavoro mentre il centro sinistra si occupa di diritti. Tradotto, nessuno si occupa o preoccupa più del lavoro.
Senza entrare nella questione politica, rileva però la questione del lavoro come oggetto trascurato non solo dalla politica ma molto più in generale dalla cultura occidentale nel suo complesso. La tendenza sociale prevalente è una spiaggia assolata piena di palme in cui sorseggiare un beverone con l’ombrellino, incuranti di qualsiasi altra cosa accada.
Quel devastante fenomeno che si chiama “over tourism” e che io paragono spesso alla vera Terza Guerra Mondiale è in realtà frutto proprio di questa nuova mentalità proiettata pressoché solo al sollazzo gastronomico o panoramico, in cui la condizione sociale perfetta è soltanto quella in cui si viene fotografati davanti a uno scenario da favola con qualche prelibatezza sotto al naso. Avendo peraltro spesso come conseguenza la devastazione di interi territori messi a reddito per spremere i visitatori.
Verrebbe da dire nulla di sbagliato anzi, che la vita possa essere tutta così è una giusta aspirazione. Ma ne siamo proprio sicuri? La deriva di questa idea è in realtà una società improduttiva ma soprattutto rammollita, perché come dicevano gli antichi l’ozio è il padre di tutti i vizi.
L’operosità, che è la cifra secolare delle nostre terre, come abbiamo avuto modo di evidenziare settimana scorsa, ha definitivamente lasciato il posto alla ambizione dell ozio totale? C’è un romanzetto dei primi del ‘900 di Anthony Powell, “Uomini da cocktail”, in cui si ritraggono i rampolli della media borghesia londinese che ambiscono a non far nulla come gli aristocratici, ma non avendone i mezzi si trascinano mediocri in giornate mediocri con professioni mediocri per poi soddisfare la sera agghindati le loro velleità sociali nei bar della City. Viene alla mente ciò che scriveva Émil Cioran: l’unica cosa che impedisce ai cittadini nevrotici e accalcati di una metropoli di scannarsi dando sfogo all’odio reciproco è la loro mediocrità. La mediocrità è la salvezza della contemporaneità.
Siamo davvero così lontani da tutto questo? Io temo di no. Anzitutto l’economia basata sul turismo è una economia di ritorno, che si regge solo due fattori: essere nati in un luogo attraente e attendere che ci arrivino dei forestieri che hanno soldi da spendere. Una economia di ritorno dunque, dove chi possiede mette a reddito, si rammollisce e diventa avido, e chi non possiede si mette a servizio, tira a campare e rinuncia ad avere qualcosa di suo. In un certo senso è l’esatto opposto di quel welfare ambrosiano di cui scrivevamo la scorsa settimana, che aveva come impianto di partenza un assioma molto semplice: l operosità, una comunità (e non una individualità ) in cui tutti sono bene accetti perché sgobbino, con l’obiettivo di avere pane in tavola e un tetto sopra la testa nel rispetto delle leggi e nel mutuo soccorso che si finanzia col lavoro di tutti, e con lo Stato che offre i servizi che mancano e sostiene i luoghi della cultura, perché non si vive di solo pane lo diceva Gesù ma anche tanti amministratori milanesi degli anni ’50 nei verbali di consiglio comunale.
Cosa rimane di tutto questo nelle economie di over tourism, dove si finisce per barattare la propria identità per soddisfare le voglie di chi viene qui a spendere?
La questione della costruzione di un nuovo welfare è la vera sfida degli anni 2000, con quel 900 così duro a morire e che ci porta ancora a separare il business dalla salute, le costruzioni dai servizi, la cultura dalle vacanze, l’ozio dal lavoro, la fatica dal relax. Ebbene forse il welfare targato anni 2000 che è la vera sfida politica mondiale è il superamento di questo approccio a compartimenti stagni tipico del 900, in cui non vi sia contraddizione ma armonia tra queste spinte e componenti.
Elon Musk ha più volte dichiarato che grazie alla tecnologia non dovremo più lavorare …ma siamo proprio sicuri che sia un bene? Il lavoro è veramente solo un mezzo per soddisfare i bisogni o è un elemento centrale nella costruzione della vita?
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano
2 risposte
Stupendo articolo! Complimenti al sig. Martelli!
Adesso sto lavorando e non riesco a commentare, lo farò questa sera, non ho resistito a fare immediatamente i miei complimenti!!
Insolite considerazioni di questi tempi ma verissime e concrete, in definitiva è proprio così nessuno più parla di lavoro. Anzi come si accende la televisione solo cose negative sull’argomento: stress , fatica, impegno, caldo, freddo e anche affermazioni che dí lavoro si muore , e allora il giovanissimo ascoltatore come vede il lavoro? Sicuramente una cosa da evitare. E allora serve il welfare, lo smatworking, i benefit, il part time ecc ecc sicuramente oggi dal mondo occidentale il lavoro non viene più visto come un mezzo per guadagnare e realizzare i propri sogni e questo è negativo per la persona perché lo vive passivamente. Tutto all’opposto dí ciò che avviene nei paesi emergenti ( anzi già emersi) . Cosi come nello sport non c’è crescita senza sacrificio , volontà ed interesse, anche nel lavoro questa è la regola . Per questo la nostra civiltà occidentale dà segnali di stanchezza: senza sacrificio, volontà e passione non c’è crescita e si perde il passo. Il cervello sarà sempre più pigro è la nostra civiltà verrà sopraffatta è già si vedono gli effetti se si considera la profonda crisi dell’automotive ormai in mano dei cinesi ed è solo la punta dell’ iceberg. I nostri governanti, ma anche tutti noi, siamo assopiti nel nostro ozioso benessere.