Commentare la penosa telenovela targata 5 Stelle suscita qualche scrupolo: un po’ come sparare sulla Croce rossa. Difficile prevedere chi uscirà vincitore nel duello che sta opponendo due tipi umani che più diversi non si può. Un guitto di consumata padronanza scenica -candida chioma leonina, tonsilla d’acciaio, sproloquio come pezzo forte dell’offerta teatrale – e un Avvocato dandy, di buone letture e impeccabili cravatte, che trasfigura l’eloquio politico in un garbato sussurro da piano bar. Però vuole i famosi ‘pieni poteri’. Per farne cosa? Per dar corpo a quale progetto? Dove sta la vera ragione politica della contesa fra i due? Non si sa. Si sono dimenticati di dircelo. Giustamente, visto che l’elemento è palesemente marginale. Si può ridere o piangere ma non sottrarsi a qualche conclusiva riflessione spendibile nel futuro. L’unica certezza dell’ingarbugliata vicenda è infatti che la fase rampante e propulsiva del Movimento è morta e sepolta, quand’anche lenta possa esserne la parabola discendente. Quale lezione trarne?
Primo: non dare spago a nuove confraternite di Puri e Incorruttibili che bussano alla politica italiana con la pretesa di commissariare la nostra imperfetta democrazia per purgarla a forza da vizi e cattive pratiche. Anzi, l’occasione è ideale per lanciare una proposta. Ormai a chiunque, dalla mamma alla foca monaca, la nostra liturgia celebrativa dedica una giornata di festeggiamento. Ma manca ancora lui, il più grande e forse l’unico autentico meritevole di festeggiamento. Il Peccatore. E’ lui, a ben guardare, il vero vincente che esce a testa alta dalla presunta storia di moralizzazione del Paese che s’è consumata in due fasi. La prima ha visto i Pentastellati ingaggiare in nome dell’Ideale ostinate battaglie contro il principio di Realtà. La seconda è un ‘indietro tutta’ che li ha visti adeguarsi tanto bene al principio di realtà da diventare più realisti del re e rinnegare ogni ‘ferreo’ decalogo precedente. Lo spettacolo, ammettiamolo, reca un certo sollievo a noi comuni e imperfetti mortali, noi che proviamo un brivido di oscuro disagio quando si materializza sullo schermo la faccetta verdolina di Travaglio, ghigno da Torquemada assatanato di gogna e manette, e velenoso sguardo da raffinato compilatore di liste di proscrizione. Che farà adesso? Cercherà di salvare il salvabile e lavorerà con gesuitica tessitura alla fase tombale dell’intera parabola. Cioè all’alleanza 5 Stelle–Pd in cui a ciascuno, come nei classici del sadomaso, toccherà il ruolo alterno di torturatore e vittima. Auguri. Evidente che fin qui abbiamo parlato di ovvietà e ragionato in discesa. Ma purtroppo c’è dietro l’angolo la parte in salita del ragionamento, l’unica che realmente conta e non può che riguardare il sistema politico nel suo complesso e la sua residua capacità di intercettare i processi che stanno maturando nella società.
Non illudiamoci che, palesata oltre ogni ragionevole dubbio la pochezza grillina, la politica ‘tradizionale’ sia in salvo e possa tornare al vecchio andazzo. Guai a pensarlo. Mentre l’ombrello di Draghi ci protegge e garantisce, non si dorma sugli allori e si prenda atto che i più impegnativi tornanti, politicamente parlando, devono ancora venire. E non si presenteranno sulle gambe di nuovi partiti ma di nuovi movimenti. Non saranno più grilli ma sardine o coccinelle o fichi d’India o vattelapesca. Ma quello è il futuro: ondate successive di movimenti d’opinione veicolati dai social e impegnati su emergenze planetarie largamente eccedenti rispetto al perimetro delle competenze politiche tradizionalmente intese. Attenzione a non scambiare il tramonto grillino con la fine dei problemi che il Movimento aveva originariamente posto. Quelli restano e saranno la più scomoda spina nel fianco della politica futura chiamata a mediazioni sempre più ardue fra le forme tradizionali della rappresentanza democratica veicolate dai partiti e la crescente aggressività di un circuito di democrazia alternativa veicolata dalla piattaforma digitale Sfida gigantesca per la quale occorre una politica forte e autorevole che pensa in grande, va al sodo dei problemi e sa tessere alleanze realisticamente convergenti rispetto agli obiettivi prioritari. Registriamo invece spinte esattamente opposte: persino il vecchio Psi si ripropone in un revival reducistico legittimo ma irreparabilmente patetico. Per non dire della giungla di sigle nate dall’implosione pentastellata e dalla crisi ideologica e programmatica che sta divorando la sinistra. Un ritorno nell’infinitamente piccolo proprio quando la storia chiede di pensare in grande, asciugare le divergenze marginali e lavorare a una semplificazione della dialettica politica che la renda più trasparente e incisiva.
Altro che rallegrarsi dello scampato pericolo targato 5 Stelle! Il vecchio sistema partitico pensi piuttosto ad attrezzarsi per la sfida prossima ventura: convertire i nuovi movimenti in energie politiche utilmente spendibili per il bene comune.
Ada Ferrari
3 risposte
Ada Ferrari number one!
Il commento è lucidissimo fino a farmi rimpiangere la DC con le sue numerose correnti, il PCI con le sue trasformazioni ancora vive, non rimpiango il PSI che tra processi ecc. lascia ai suoi nostalgici solo la carta i….
A volte, il paragone col passato fa rimpiangere i politici con almeno una certa cultura. Ora abbiamo politici che vendevano bibite e anche un cremonese che ritirava i soldi delle assicurazioni che confonde i passi di montagna con le gallerie.
Brava la Ada….efficace e chiara…..Bellissimo poi il ritratto dei “Due” ad inizio articolo. Grande!!!