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Oblio e memoria, Lete e Mnemosine: mito confermato dalla neuroscienza

11 Giugno 2024

Gli antichi sapevano o intuivano molte cose che la scienza avrebbe in seguito confermato . Il mito di cui voglio parlare narra che nell’Ade scorrevano due fiumi: Lete e Mnemosine. Chi si fosse abbeverato nelle acque del primo, avrebbe scordato tutto della propria esistenza, mentre le acque del secondo avrebbero permesso di ricordare tutti i dettagli della propria vita precedente.

I miti, si sa, possono essere affrontati su diversi piani di lettura (scientifico, storico, letterario, psicologico…). Da un punto di vista scientifico il contenuto anticipa ciò che oggigiorno appare ampiamente confermato; cioè il nostro cervello tende a rimuovere le informazioni più antiche per far posto e quelle più recenti: non possiamo accumulare informazioni all’infinito, ciò che non viene più utilizzato viene eliminato; con un gioco di parole si può dire che abbiamo bisogno di dimenticare per meglio ricordare.

Le nuove informazioni sono la premessa per nuovi apprendimenti: questi ultimi sono necessari per la nostra sopravvivenza.

I greci credevano nella reincarnazione – ne parla Platone nella sua opera Repubblica – e pensavano che i morti bevessero le acque del Lete per potersi reincarnare “purificati” dalle esperienze accumulate nella vita precedente. D’altro canto agli iniziati alla religione misterica
veniva chiesto, dopo la morte, di bere le acque del Mnemosine per raggiungere una sorta di illuminazione una volta reincarnati.

Oggigiorno sappiamo che i fenomeni dell’oblio e della memoria sono parte integrante della neurogenesi: le vecchie connessioni (sinapsi) vengono eliminate per far posto ad altre più specializzate che conferiscono una maggiore agilità di apprendimento.

La conservazione dei ricordi in eccesso, alla lunga, ci procurerebbe disagio: è noto che una ristretta frangia di popolazione è composta da persone che ricordano tutto della propria esistenza con dovizia di particolari (con termine scientifico questi individui sono definiti
ipertimesici), ma è sbagliato pensare che queste persone facciano parte di una minoranza di privilegiati perché la loro memoria”prodigiosa” non è frutto di applicazione e esercizio, ma è semplicemente una caratteristica naturale che non sempre si rivela vantaggiosa, anzi; gli
ipertimesici sono per lo più persone mentalmente esauste, le cui prestazioni cognitive risultano compromesse e che presentano caratteristiche comuni con l’autismo.

Per concludere sono doverose alcune riflessioni: la prima è che nel nostro cervello –  come in qualsiasi altro organo – l’utilizzo della risorse si ottimizza quando viene raggiunto l’equilibrio fra stimoli eccitatori e inibitori; sia l’oblio che la memoria non devono interferirsi a vicenda, ma
convivere per garantire la plasticità del cervello stesso.

La seconda riflessione suggerisce che il nostro cervello è un organo con capacità limitate che pertanto ha bisogno che venga rispettata la sua “economia”. È sbagliata quindi la convinzione che il cervello sia assimilabile a un computer da infarcire di informazioni. Definirlo una
macchina implica una visione limitata (per usare un eufemismo); basta osservare i bambini che appena nati sono già in grado di interagire col mondo, perché possiedono strumenti di apprendimento tali da consntire loro di cambiare rapidamente comportamento.

In breve, i computer operano immagazzinando i dati su supporti (applicazioni) che funzionano mediante algoritmi. Il cervello umano non lo ha mai fatto ed è alquanto improbabile che lo faccia in futuro, almeno non prima di entrare nel mondo degli uomini-cyborg.

Il mito di Lete e Mnemosine allude dunque a funzioni opposte ma ugualmente importanti; memoria e oblio concorrono a formare le esperienze dei singoli che, a loro volta, portano alla creazione di quel prezioso serbatoio noto come memoria collettiva. A questo la tecnologia non è ancora arrivata.

 

Giuseppe Pigoli

6 risposte

  1. Buongiorno, molto interessante come riflessione. Personalmente ritengo che una macchina – per definizione esente da errori – si può evolvere solo con il cervello umano ma non viceversa. I processi di elaborazione elettronici partono da input umani, input che si evolvono con il passare degli anni e con l’uso delle capacità cognitive. L’evoluzione e l’apprendimento di una macchina, che è – paradossalmente – il sogno di molti nel XXI secolo, tende comunque ad appiattirsi, una macchina si evolve e apprende grazie al lavoro dell’uomo ma, soprattutto, rende consigliabile il processo di sostituzione. Nel momento stesso in cui l’input umano tende ad essere limitato o chiuso in una sorta di “riduzione del pensiero” le macchine hanno finito di evolversi, nel frattempo si saranno rese indispensabili per la vita umana. Il cordone ombelicale della vita quotidiana sarà un monitor, non una persona. Il pericolo maggiore di questo appiattimento sta nei tempi che, guarda caso, stanno accellerando con una velocità spaventosa, una volta creato un processo di sostituzione tornare indietro non sarà più possibile. L’allontanamento da quel concetto di evoluzione naturale del cervello comporterà una enorme limitazione nella società: quella di vedere con prospettive differenti. Questo sito è gestito da Vittoriano Zanolli che ha una invidiabile carriera in materia di comunicazione, sa bene cosa rappresenta un giornale o una struttura rivolta alla informazione, non saprei cosa ne pensa Vittoriano ma dal mio punto di vista i primi umani che verranno sostituiti da varie intelligenze artificiali saranno proprio i giornalisti. Il processo, ormai funzionante, si evolverà con la sostituzione degli insegnanti per poi finire con gli studenti. A quel punto le macchine si saranno rese necessarie ed indispensabili, ma gli input umani per il loro apprendimento saranno sempre di meno e sempre più simili tra di loro. Buona giornata

    1. Il ragionamento è complesso e proiettato in un futuro che onestamente non riesco a immaginare. Quanto alla professione giornalistica, da tempo è in crisi e il futuro indiscutibilmente incerto se non segnato come afferma Marco Bragazzi.

  2. Che le informazioni più antiche siano sempre eliminate per far spazio a quelle recenti, non sempre corrisponde al vero, tant’è che esiste una memoria a lungo termine, che è ben più resistente di quella a breve termine e che si riscontra in particolare nelle patologie del deterioramento senile, dove sono soprattutto i ricordi vecchi a sopravvivere a quelli recenti. Meglio dire poi accantonati che completamente eliminati. Perciò ho dei seri dubbi che non si possano accumulare informazioni all’infinito perché questo corrisponde all’idea del cervello come di un involucro chiuso, statico, che per poterlo riempire lo devi svuotare di qualcosa. Benché l’argomento meriti un più ampio sviluppo, l’esperienza mi dimostra esattamente il contrario e cioè che più il cervello lo riempi e più si allarga come spazio dinamico e quindi disponibile per l’accumulo di nuove informazioni. Dipende da come queste informazioni vengono raccolte,accumulate. Se in maniera confusa, disordinata,si rischia non solo una difficoltà di memorizzazione,ma anche l’esaurimento . Dipende dunque dall’organizzazione mentale e da una sorta di chiavi, di codici che una volta trovate, permettono di aprire oceani di conoscenza, accelerando la facilità di acquisizione mnesica dei dati. Quando fui avviato alla botanica, mi fu insegnato sin da subito che il riferimento per capirci qualcosa doveva essere l’opera integrale del Pignatti. Tre volumi enormi con i disegni di fiori e piante in bianco e nero. Neanche a colori! Mi spaventai quando lo comprai. Impossibile anche solo capirci qualcosa,mi dissi all’inizio. Da diventare matti ed invece col tempo arrivai a capire come poter integrare quelle chiavi e da allora mi si aprì un mondo a cui pensavo di non riuscire ad accedere. Scivoloso quindi l’accostamento all autismo perché trasmette l’idea di una funzione tanto più patologica quanto più sviluppata. Ma allora cosa dovremmo pensare di Einstein e dei grandi scienziati o artisti? In realtà è la sua integrazione con le diverse funzioni che permette di orientare verso un funzionamento “atipico” ,per quanto ancora ampiamente misterioso e di non facile collocamento “nosografica”, tant’è che si parla di disturbi dello spettro autistico….

  3. La visione di Bragazzi è inquietante, ma possibile, così come inquietanti sono le parole del filosofo Galimberti: “tutto ciò che è tecnicamente fattibile, prima o dopo, verrà fatto, indipendentemente dai risvolti etici conseguenti.” Pensando ai miei nipoti mi auguro che ciò non avvenga.

  4. Araldi compie osservazioni interessanti che “complicano” in modo costruttivo l’argomento. Da parte mia mi sono limitato a tracciare la struttura basilare di un argomento che, con piacere, noto essere di interesse diffuso.

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