Il Mito viene generalmente considerato come un serbatoio primordiale della conoscenza tramandata oralmente. Mythos significa parola o racconto; una narrativa esemplare dalla funzione fondativa che rimanda alle origini di usi e tradizioni secolari e stabilisce i valori in cui una comunità si riconosce.
Rappresenta in forma descrittiva, poetica e figurativa fatti e fenomeni naturali (G.B. Vico). Potrebbe inoltre essere paragonato ad una favola che, come tale, contiene una sua morale che ne giustifica l’essenza. Dal Mito sono nate Storia (il sapere) e Filosofia (l’elaborazione critica del sapere).
Il mito, si diceva, è un contenitore inesauribile delle molte facce delle conoscenza (Storia, Filosofia, Psicanalisi, Etica…). In questo articolo ci limiteremo ad analizzare brevemente i rapporti che intercorrono fra Mito e Storia.
Le Amazzoni: questo mito comprende un importante fenomeno di costume; la sua legittimità storica fa riferimento al fatto che i Sarmati, un popolo delle steppe trans danubiane, fossero l’unico popolo dell’antichità – a quanto sappiamo oggi – ad impiegare le donne in battaglia. Queste ultime, non possedendo muscoli potenti come quelli maschili, impegnavano il nemico in azioni di cavalleria, armate di arco e frecce. Molto suggestivo è il fatto che il racconto abbia ubicato il regno delle donne guerriere ad est del Danubio.
Teseo e il Minotauro: è un mito dalla indubbia valenza storica; fra le pieghe di questo racconto si può intravedere l’epoca protostorica in cui Atene, soggiogata da Creta, pagava un tributo annuale (rappresentato da giovani di ambo i sessi dati in pasto al Minotauro). L’impresa di Teseo narra del riscatto da giogo cretese. Per non tediare e per non andare fuori tema, non parleremo della simbologia psicologica ed esistenziale rappresentata dal labirinto in cui si aggira l’eroe prima di scovare il mostro.
Gli Argonauti: a quei tempi la Colchide era una regione ai confini del mondo conosciuto e raggiungerla richiedeva una buona dose di coraggio e di incoscienza. Robert Graves, apprezzato studioso e divulgatore, interpreta l’impresa di Giasone in chiave meramente storica, definendo il Vello d’oro come l’emblema delle ricchezze del lontano Oriente, lasciando intendere come già in quell’epoca antica i commerci con terre lontane fossero sorprendentemente fiorenti. Ebbene secondo lo studioso l’impresa di Giasone e compagni aveva lo scopo di aprire una nuova pista che avrebbe portato in Asia passando a nord del mar Caspio e di cui la Colchide rappresentava una tappa intermedia indispensabile. Lo scopo dell’impresa quindi era quello di evitare di transitare per il Bosforo dove Troia imponeva i propri pedaggi. Ma Giasone, Peleo, Telamone, Oileo, Laerte e gli altri, dovettero tornare a casa nonostante si fossero impadroniti del Vello. Cioè la nuova pista asiatica, per qualche ignota ragione, non poté essere mantenuta aperta e i commerci con l’Oriente dovettero sottostare ancora ai balzelli troiani fino a che la città di Priamo non fu distrutta proprio dai figli degli argonauti: Achille, gli Aiaci e Ulisse .
Miti giudaico-cristiani: anche l’interpretazione dei testi sacri può essere impostata in chiave storica senza urtare la suscettibilità dei credenti (almeno si spera). La cacciata dall’Eden di Adamo ed Eva, secondo gli esperti, allude ad un momento saliente nella storia: il passaggio dell’uomo dall’era paleolitica, quando si nutriva dei frutti che la terra offriva spontaneamente, all’era neolitica, quando, scoperta l’agricoltura e l’allevamento, iniziò il proprio dominio sull’ambiente. Nel neolitico l’uomo ha smesso di vivere in grotte e altri rifugi naturali per costruire abitazioni e centri abitati e qui si innesca il mito di Caino e Abele; il primo viene definito come costruttore di città, mentre il secondo è un pastore che vive e si sposta all’aperto. Ebbene è opinione diffusa che il fratricidio sia l’emblema della lotta secolare fra nomadi e stanziali.
Anche le epidemie sono ben presenti nei racconti antichi; nell’Iliade Apollo con i suoi dardi semina la morte fra gli Achei, lasciando intendere che si tratta di una zoonosi (prima i giumenti e i presti veltri assale, poi le schiere a ferire prese...). Cosmacini – noto studioso di medicina antica – fa ricondurre il contagio alla presenza di roditori. Apollo infatti era definito Smintéo cioè sterminatore di topi.
Anche gli episodi biblici sono un esempio di come l’associazione roditori/malattia fosse parte di conoscenze consolidate: i Filistei, volendo liberarsi dalla pestilenza che li aveva colpiti, furono costretti a restituire l’Arca sottratta in battaglia a Israele, insieme a cinque bubboni e cinque topi d’oro (I Samuele 5,8). Nel secondo libro dei Re si narra di una pestilenza che colpì gli Assiri in guerra con l’Egitto e secondo il racconto antico, l’epidemia fu voluta dal dio Path che veniva raffigurato con un topo in mano.
Appare dunque verosimile pensare che, grazie alla capacità di osservazione, gli antichi formulassero ‘certezze’ scientifiche che sarebbero state confermate nei secoli successivi. E che cos’è la scienza se non una serie di osservazioni da mettere in bell’ordine per meglio orientarsi e migliorare la conoscenza?
Indubbiamente appare riduttivo ‘leggere’ il mito solo in chiave storica, cioè come una mera successione di eventi, poiché è noto che i fatti storici, pur nella loro apparente chiarezza, devono essere interpretati. Pertanto ogni mito va analizzato sia in relazione al fatto principale, sia agli episodi collaterali che l’accompagnano in modo più o meno esplicito. (ad ese +mpio. le fatiche di Eracle non descrivono solo le azioni, ma alludono anche al percorso interiore che porta alla sublimazione dell’eroe, fino al suo raggiungimento della dimensione divina, così come la scintilla rubata da Prometeo non narra solo della disobbedienza del titano, ma rappresenta la consegna all’uomo di un mezzo tecnico per consentirgli di raggiungere la conoscenza).
Nel libro Il Mulino di Amleto gli autori affermano che la complessità delle storie mitologiche non è inferiore a quella dei moderni concetti scientifici. Le narrazioni del Mito avvengono in un passato remoto che però aiuta a comprendere il presente perché continuano a parlare di noi; non a caso il grande scrittore Jorge Luis Borges diceva che in letteratura non vi è nulla di nuovo da dire poiché l’uomo è lo stesso di sempre, tuttavia il ruolo della letteratura stessa è sempre quello di parlare dell’uomo, ricorrendo però ad un linguaggio adeguato ai tempi. Chi ha concepito i racconti mitici ha capito tutto questo in anticipo di qualche millennio.
Giuseppe Pigoli