Il Po e Alfredo, complici del silenzio

12 Luglio 2024

Il Po è la madre affettuosa, la suocera astiosa. E’ padre che culla e miseria che toglie. C’è tutto sul Po e non c’è nulla. Odore di pozzanghera. Fango. Dolcezza infingarda dello sciabordio della corrente. Corrente a volte indomita. Amica, sorella o Dio che flagella. Nelle notti d’estate Alfredo era lì, nella calma accarezzata dal profumo dei tigli. Era lì con la sua pancia protrusa da cardiopatico e la fronte stempiata. Alto come un corazziere, rannicchiato nel casotto sulla sua barca a motore. Una barchetta accroccata davanti alle canottieri. Era la sua fuga. Il suo rifugio. Si nascondeva lì, per cercare refrigerio. Trovava un ronzio di zanzare impazzite. Umidità. Afa. Soprattutto, incontrava i suoi fantasmi. Non aveva mai avuto una donna. Tranne la sua mamma. C’era un dolore scolpito nella sua anima. Un mostro irrisolto, che l’acqua lavava e puliva. Le donne ti fregano, pensava. Lo aveva sempre pensato. Ne aveva paura. Eppure a modo suo le amava. Era galante. Le accompagnava a fare giri in barca. Organizzava picnic al Cristo. Le ascoltava. Ma non si sarebbe mai sognato di toccarle. Nemmeno con un dito. Era gioviale. La sua conversazione era piacevole. Era mite. Un uomo particolare.

 

Una volta una donna si era innamorata di lui. Ma lui credeva che lei fosse interessata alla sua pensione. Il cremonese sa essere diffidente. Alfredo ha così pagato la sua solitudine. A un certo punto ergeva muri. Sentiva il bisogno di nascondersi. Abitava nel suo cuore uno spirito da voyeur. Viveva parassitando le vite degli altri, non avendone una propria, e lungo il Po la notte si anima di personaggi, vite scomposte, che lui respirava a piene mani e provava a ricomporre con la sua immaginazione. Non poteva più farne a meno. Ascoltava, non visto, le loro storie, si lasciava trasportare. 

Una notte tre balordi hanno attraversato il cancello di una canottieri. Discutevano su come gestire il bottino. Avevano bevuto. Lattine di birra abbandonate. Bestemmie. Erano giovani e stupidi. Sono entrati, scavalcando il cancello, hanno divelto la cassa del chiringuito ma non c’era l’incasso. Hanno rubato alcolici. Li hanno bevuti. Hanno portato fuori cinque sdraio sbiadite. Non si sa con quale scopo. Alfredo si era raggomitolato nella sua cuccetta sulla barca. In silenzio. Il giorno dopo tutti parlavano della scorribanda. Lui è rimasto zitto. Si sentiva complice.  

Una notte ha assistito dal suo punto di osservazione a un regolamento di conti per droga. Si sono incontrate sull’argine quattro persone. Non parlavano un buon italiano. Due erano neri. Uno ha tirato fuori un coltello. Alfredo aveva paura. Se ne stava schiacciato nella sua bicocca rivierasca. C’era un vento leggero che muoveva la sua tenda. Hanno discusso animatamente. Alfredo non sa bene come sia andata a finire. Hanno urlato. Uno ha minacciato con la lama e ferito un altro. Due sono scappati verso il porto. Gli altri due si sono fatti una siringa davanti alla sua barca. Se ne sono andati con un sorriso beota sulla faccia.

Una notte due innamorati si sono seduti sugli scalini sulla riva. C’era un’energia palpabile. Fra di loro c’erano visibili scariche di elettricità incredibili. Era una coppia clandestina. Non riuscivano a tenere ferme le mani. L’attrazione era solida. Ma lei non ne poteva più di fare la ruota di scorta. Parlavano fitto. Si abbracciavano. Si respingevano. Non era amore. Era una sfida ormonale, uno scambio di endorfine folli. Alfredo era basito. Lui non aveva mai provato una cosa simile. Che poi non era amore: era fascinazione chimica. Un sortilegio, animalesco e terribile. Ancestrale. Come la luna lassù. Si domandava, perché io no? Perché “saper stare” ad ascoltare un’emozione implica uno sguardo nell’abisso. Non ha potuto raccontare davvero nemmeno questa storia.

Una notte, come tante, quasi tutte in estate, un signore prendeva la sua barchetta e passava ore a pescare, poco distante dall’attracco di Alfredo. Non era un bracconiere. Stava lì immobile in mezzo all’acqua schiumosa a lungo. Tirava su un pesce e lo ributtava nell’acqua. Era un uomo solo. Alfredo lo conosceva. Il Po accudiva la sua solitudine che non era poi troppo dissimile dalla sua. Gli suscitava tristezza. Se non lo avesse conosciuto avrebbe pensato fosse un uomo depresso. Quella barca sospesa fra i fogliami della riva e lo scenario padano era l’emblema stesso della precarietà. Poteva apparire asociale, patologica, malsana. Invece era un modo per esorcizzare l’esistenza cercando la pace della notte sul fiume.   

Il Po accudisce tante vite. E’ testimone silenziose di drammi, scorribande e paure. Chissà quante ne sono passate lungo le sue rive. La sua memoria storica scavava nell’anima di Alfredo, come la spada di Escalibur. Ogni notte lui si aspettava di vivere un’altra vita, come se stesse leggendo nel libro del Grande Fiume, fra trame, sotto trame e personaggi, la sua, dove diventava un delinquente, un ubriacone, un tossico, un amante appassionato, un uomo solitario. Lui restava lì. Fermo. Subiva. Provava a capire. Percepiva passivamente una distanza morale incapace di diventare dirimente. Sapeva solo osservare la notte, che gli pungeva l’esistenza. Lo provocava. Non poteva più farne senza. La sua dipendenza erano gli altri, o forse… il Po. Attraverso di loro toccava e teneva a bada il suo cuore di tenebra. Il teatro padano moltiplicava le sue identità: l’anfiteatro rivierasco, il fiume dal grande abbraccio, gli sapeva offrire gli spunti per leggere dentro uno specchio le sue innumerevoli storie.

Incontravo Alfredo lungo il fiume di giorno, con il sole splendente, mi abbracciava e voleva un bacio sulla guancia. Mi diceva, trafelato: “Sapessi che cosa è successo stanotte, tu non hai idea di che cosa accade qui appena il sole va a dormire”. Mi dava pochi dettagli, provando a tacere le sue emozioni. Erano buoni per una cronaca spicciola. Si potevano fare delle notizie brevi, piccolo spaccio, bivacchi, bravate da delinquenti, senza dimenticare lo spunto per un romanzo rosa sulle rive del Po, simile a mille e mille altri. Come quelli ambientati a Parigi all’ombra della Tour Eiffel. Perché l’amore si somiglia, anche se stordisce al punto da sembrare unico. E’ banale e straordinario al tempo stesso. Così, tutti gli amori sono uguali, ma ognuno è diverso a modo suo. L’aspetto sensazionale era ciò che Alfredo non raccontava, lasciandosi intuire, tanto da farlo sentire da Don Abbondio un eroe, a modo suo un eroe, nascosto nella sua cuccetta, depositario di verità inconfessabili.

Il Po non è solo una scenografia, è uno psicologo che sa far emergere gli innumerevoli volti della condizione umana. Parla il linguaggio dell’anima. Alfredo era innamorato del Po, come in un transfert. Lo trattava con rispetto, perché erano parte della stessa anima, spiona e buona. Il suo amore era contagioso: Alfredo dal Po aveva imparato – e ne era maestro – a parlare attraverso il suo silenzio. 

 

Francesca Codazzi

  

8 Responses

  1. La narrazione descrittiva, conoscendo l’ambiente del “Grande Fiume” qui a Cremona,
    fa immergere nelle sue meraviglie.
    Alfredo é un solitario e vive tutte le sue esperienze di vita in simbiosi con il Po.
    Mi congratulo per la tua abilità creativa.
    Grande Francesca.

  2. Che bel personaggio Alfredo, anzi che bei personaggi Alfredo e il Po. Ci catturano, come sempre Francesca. Brava. Ci regali momenti di poesia. Grazie

  3. Molto, molto ben scritto. Come sempre, i tuoi scritti si leggono in un fiato. La bellezza e l’arte dello scrivere, per me, sta proprio nell’abilità di catapultare il lettore nel bel mezzo dello scritto, e io ero lì, a guardare dal retroscena Alfredo e i personaggi che si susseguivano. Brava Francy, regali grandi emozioni

    1. Grazie. Le tue parole mi lusingano tantissimo. Sono fortunata perché ho lettori acuti e sensibili, come te.

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