Visto che la cronaca nera domina di questi tempi, ho pensato di adeguarmi al tema, proponendo una sorta di giallo poliziesco riguardante un serial killer fantasma, che appare ma non risulta, che colpisca ma non si vede. Non si vede, subdolo, nascosto ed enigmatico nei suoi riscontri, nei suoi interrogativi finali. Un serial killer non solo di esseri viventi, ma anche di strade, di edifici…. Questa la metafora principale evocata da una ricerca sulla Reynoutria japonica var.japonica Houtt., una pianta proveniente dall’estremo oriente, non solo dal Giappone.
Nel precedente articolo parlavo del contributo delle esotiche all’arricchimento del nostro patrimonio botanico.
Eppure l’arrivo di una specie nuova, animale vegetale o microbica che sia, spesso può essere considerato una sorta di roulette russa, per l’ambiente e per l’uomo stesso.
Tra i microbi, pensiamo ai danni immensi del virus covid, di origine asiatica, e a quelli emergenti del virus delle scimmie, di origine africana. Tra gli animali pensiamo ai danni delle nutrie, del gambero della Louisiana, del pesce siluro, della zanzara tigre, della cimice asiatica. Le stesse carpe introdotte dai monaci irlandesi hanno messo in crisi la fauna delle nostre acque.
Tra le piante pensiamo ai disastri dell’ubiquitaria edera e della zucchina americana, più circoscritta alle sponde dei corsi d’acqua e in particolare del Po.
Ma c’è una pianta assassina che rappresenta un bel dilemma, un inquietante enigma vegetale, appunto la nostra Reynoutria, detta anche Poligono giapponese.
Venerdì 6 settembre 2024 l’ho vista in fiore, bellissima (foto centrale) , in quello che doveva essere un fossato, in una stazione provinciale remota, l’unica a me nota,presso cui transitavo per lavoro. La conoscevo da almeno 25 anni, giorno più giorno meno, e sempre lì, nello stesso punto (foto 2) . Una “ resilienza“ encomiabile! Peccato però che della sua esistenza nulla si sappia!! O meglio così sembra a una prima indagine.
Questa stazione infatti non compare in una checklist della flora provinciale in cui sono state inserite altre tre stazioni, le uniche note della provincia. Una a Crema, una a Castelleone e una a Vidolasco lungo il Serio. Non ne parla neppure Franco Giordana, il compianto botanico cremasco, nella sua monografia del 1995. Veramente non parla di nessuna delle quattro, forse perchè i rilievi sono successivi, ma la prima checklist citata è più recente e aggiornata, e almeno lì il mio ritrovamento avrebbe dovuto comparire.
Che diamine, ci troviamo di fronte a una pianta fantasma?
Un altro botanico la conosceva (che fossi stato io a segnalargliela o viceversa, i ricordi si smarriscono) , ma lui non era il tipo, per metodicità di carattere e “amore“ per le statistiche, a trascurare di segnalarla in una checklist. Sta di fatto che nessuna delle segnalazioni cremonesi compare in un elenco della Regione Lombardia che vede segnalazioni da altre province. Tuttavia un altro sito regionale presenta un grafico delle diverse province lombarde in cui anche la nostra viene considerata infestata dal Poligono giapponese, senza indicarne però le località.
Mistero! Dove l’avevano trovata dunque? Una delle località più vicine alla città in cui è chiaramente testimoniata la sua presenza, tramite foto pubblicate di Enrico Romani nel 2009, è Monticelli d’Ongina in provincia di Piacenza lungo l’area golenale del Po. Per il resto nebbia.
La mia piccola invece era sempre lì, nello stesso luogo da almeno 25 anni, e di modeste dimensioni rispetto a quello che si dice di lei.
Non dava assolutamente l’idea di voler espandersi, e di crescere in maniera esuberante.(foto 3). Un paradosso esistenziale, dunque, considerato che è ritenuta talmente aggressiva che il W.C.U., l’Unione internazionale per la conservazione della natura e delle risorse naturali, l’ha collocata nella lista nera delle 100 specie più invasive e devastanti al mondo. Un vero e proprio flagello divino, un killer spietato di ambienti naturali e non, oltre che di vegetali al punto che in Gran Bretagna è considerato reato piantarla e coltivarla, come in Nuova Zelanda. S’è velocemente e ampiamente diffusa negli USA, in Canada ed in tanti Stati europei, tra cui la vicina Svizzera, che impone dal punto di vista legislativo una pronta segnalazione e un rapido abbattimento da parte di personale specializzato. Talmente aggressiva che in Cina è chiamata “bastone tigre“.
Pure in Italia s’è diffusa in tutto il Centro nord. Manca al sud e nelle isole perché non tollera i climi troppo caldi, ma grossi problemi sono segnalati in Valdarno come in Trentino e in tante altre località. E a cosa si deve la sua perniciosità? Innanzitutto al suo rapido e serrato sviluppo che tende a ricoprire soprattutto le sponde dei corsi d’acqua col suo ampio e fitto fogliame e che impedisce il passaggio della luce, soffocando per mancata fotosintesi le piante indigene locali sottostanti. Si suppone anche possa produrre sostanze allelopatiche (in corso di accertamento): una sorta di diserbanti naturali che avvelenerebbero le erbe circostanti.
Essendo poi molto sensibili al freddo, in breve dopo la fruttificazione autunnale, le parti aeree esposte della Reynoutria, i lunghi e intricati fusti alti anche 3 metri, muoiono ed essendo cresciuti come monospecie densa su tratti di sponda, lasciano quei tratti nudi di coperture e quindi più fragili, più sensibili all’erosione.
Ma la parte più aggressiva e più sviluppata è la biomassa che non si vede, quella sotterranea, il vero fantasma, che fà capo a un robusto rizoma largo anche 30 centimetri, legnoso e molto resistente al freddo, a differenza della parte aerea, perchè sa svilupparsi in profondità fino a 3 metri e in lunghezza fino a 7 metri, attaccando e distruggendo i canali, il cemento, le pavimentazioni delle case, i muri. La pianta sa arrampicarsi sulle massicciate ferroviarie: ogni luogo è buono per crescere, povero o ricco che sia, mostrando facilità di attecchimento incredibile, visto che è sufficiente un pezzo di rizoma di pochi centimetri per generare un nuovo individuo, e la sua diffusione è favorita dallo smottamento dei terreni e dai corsi d’acqua, in particolare durante le piene, che facilitano il trasporto e la crescita a distanza della pianta stessa.
Crescita che avviene per via vegetativa. E‘ talmente potente questa pianta che non ha bisogno del sesso per replicarsi, benché i fiori profumati, c’è chi dice solo femminili quelli europei, c’è chi dice invece maschili sterili, siano in grado di attirare molti insetti. In realtà non servono per la riproduzione di questa specie. Ci pensa il rizoma.
C’è da aggiungere poi che come le parti sotterranee anche quelle esposte tendono a sviluppare degli intrecci densi e impenetrabili; io stesso me ne accorsi quando tentai di avvicinarmi per fotografare da vicino i fiori. Il substrato erboso era impercorribile, vuoi anche per la concomitante presenza della Vite del Canada (Parthenocissus sp.) che tappezzava ancora di più il fossato, e dovetti retrocedere sulla sponda e fotografare la pianta a distanza. Ebbene questi intrecci vegetali sono stati elettivamente scelti dai serpenti come tana amando anche attorcigliarsi sui lunghi steli. E‘ il motivo per cui gli uccelli se ne guardano bene dall‘avvicinarsi alla pianta, che pur produce semi prelibati.
In alcuni Paesi il danno percepito è talmente grave che il valore delle case presso cui cresce può ridursi fino a un 15% e alcune banche si rifiutano di fare mutui per case costruite in prossimità della stessa.
La sua eliminazione poi è un problema non da poco.
Tre le specie da noi note: questa, la sachalinensis (F. Schmidt) Nakai e la x bohemica Chrtek e Chrtkova, ibrida delle prime due più un’altra varietà della japonica che è la compacta (Hook.f.) Nakai. Inconfondibile la nostra, la più diffusa, per le tipiche foglie cuoriformi a base troncata, e quei fiori bianchi raccolti in spighe bellissime a disposizione raggiata (foto 4).
A questo punto c’è da chiedersi dove la Reynoutria prende tutta questa forza. Di fronte a cosa ci troviamo? C’è chi l’ha definita addirittura un’aliena, e forse non è un caso che la varietà compacta sia data originaria del monte Fuji, il più alto del Giappone e una delle sue tre montagne sacre.
Che abbia dunque un’origine divina? Già, ma una divinità del bene o del male?
Sta di fatto che nonostante tanta apparente potenza, la mia se ne stava lì da decenni pressochè immutata, statica, con un’aria tutt’altro che aggressiva, vuoi forse anche grazie alla funzione di contenimento della vite del Canada, e di una bellezza incredibile per quelle bianche fioriture leggiadre, in apparente movimento. (foto 5)
Era un peccato allora segnalarla, ammesso che non fosse già stato fatto, col rischio che quelle bellissime spighe in fiore potessero scomparire, data poi la sua provinciale rarità. (foto 6)
Un vero enigma poliziesco da risolvere. Denunciare oppure no questa pianta assassina, e lasciarla lì in pace visto che per decenni nulla di particolarmente dannoso pareva aver combinato? La legge regionale consiglia la segnalazione solo per i nuovi attecchimenti. E quello non era il caso!
Stefano Araldi
9 risposte
L’articolo è meraviglioso complimenti ❤️
Bisogna riconoscere, dottor Araldi, che lei ha maturato, al di là della eccezionale competenza in campo naturalistico e fotografico, una sorprendente capacità investigativa, tanto da proporci una sorta di giallo su una pianta fantasma, caparbiamente radicata nel nostro territorio. Una pianta di tale bellezza da farci quasi dimenticare la sua aggressività omicida. Come sempre, attraverso la lettura dei suoi articoli, ho la possibilità di conoscere e gustare realtà che altrimenti rimarrebbero a me sconosciute e, di questo, la ringrazio molto.
Intrigante
Dunque fra regno vegetale e animale è una bella gara fra chi commette ( in sotterranea o alla luce del sole) le peggiori malefatte. Pessimismo leopardiano pienamente confermato da quanto Stefano Araldi ci va via via raccontando.
L’articolo,questa volta,mi ha suscitato un certo sconcerto.Bravissimo,al solito,il dottore che ricerca e studia anche ciò che di nefasto ci circonda e che passa,per lo più, inosservato ai tanti.Vorrei che il suo “sapere”venisse maggiormente divulgato da chi detiene “certi poteri”per salvaguardare tutti noi possibilmente prima che sia troppo tardi come frequentemente accade.Grazie al dottor Araldi divulgatore botanico -scientifico di altissimo livello!!
Premesso che la mia situazione familiare e lavorativa mi concede poco tempo libero, per anni ho partecipato a gruppi, tenuto incontri su temi naturalistici, ma poi mi sono reso conto che nei gruppi dominava spesso un arrivismo esasperato, un bisogno di primeggiare a discapito del bene comune. Ovvero una rigidità che di scientifico voleva ammantarsi, ma che rivelava solo grettezza di mente e di animo Perciò ho capito che non ne valeva la pena continuare a frequentarli, che si poteva continuare in proprio con pochi validi riferimenti. E il blog è stata un’ottima occasione per divulgare conoscenze concedendo anche allo spirito di divagare nella poesia e nella fantasia. Un grazie all’editore per avermi concesso questo.Altro non vedo attorno a me. Non lo cerco, non ne ho bisogno. Non avrei neppure il tempo da dedicargli ,ma non percepisco attorno a me istituzioni sufficientemente illuminate da valorizzare al meglio le risorse presenti sul territorio.
Articolo ben orchestrato e accattivante nella ricerca della verità di questa pianta definita, dall’autore, bella ed assassina.
Ringrazio il Dott. Araldi che riesce sempre a stupirmi con i suoi articoli.
Co mplimenti Stefano per aver commentato con tanta professionalità l’articolo che hai pubblicato ,bravo…
Articolo ben strutturato di cui ho apprezzato l’accurata descrizione di questa pianta killer che non conoscevo e i gravi danni che può provocare.
Conosco invece la Vite del Canada che infesta il mio terreno ed e’ quasi impossibile da sradicare.
Complimenti come sempre al Dott. Araldi per le sue conoscenze in ambito naturalistico.