‘Zio Beniamino’ è l’unico romanzo di Claude Tillier di qualche interesse peraltro riesumato dalla BUR nel 1959 e portato a conoscenza mondiale nei numeri progressivi 1408 -1410 della famosa collana. A mio avviso scrittore mediocre ma filosofo eccelso, che oltre tutto ha avuto la sfortuna di nascere nel secolo dei grandi di Francia: Balzac, Zola, Maupassant, De Musset, Hugo, Dumas, etc.
Tillier, morto giovane, 1801 – 1844, rivela nello ‘Zio Beniamino’ di essere un feroce antagonista di qualunque suprema carica, ovviamente la prima è quella di re che arriva non per merito ma semplicemente per successione ereditaria, inclusa ovviamente tutta l’inutilità dei dignitari di corte che per la maggior parte era costituita dalla nobiltà.
Tillier una sorta di anarchico ante litteram? Direi di no perché, benché coetaneo di Proudhon, il vero teorico del’anarchia, non è contro qualunque forma impositiva dello Stato come struttura organizzata ma più semplicemente è contro qualunque potere che appaia come disceso dal cielo.
E veniamo alla corrosiva filosofia di Tillier condensata per la maggior parte nelle prime pagine dello ‘Zio Beniamino’, ripeto romanzo confuso che vorrebbe essere una sorta di Decamerone ma rimasto indietro anni luce rispetto alla bellezza e curiosità varie di Boccaccio. E’ impossibile condensare in poco spazio la straordinaria scultura dialettica di questo irriverente e geniale filosofo. Cito testualmente pochi passi “ Non so, in verità, perché l’uomo abbia tanto a cuore
la vita. Che trova mai di tanto piacevole in codesta insipida successione dei giorni e delle
notti, dell’inverno e della primavera? Sempre lo stesso cielo e lo stesso sole; sempre gli stessi prati verdi e gli stessi campi gialli, sempre gli stessi discorsi della corona”.
“ E che cosa, d’altronde, prova a quei signori (i magistrati) che Dio è tato offeso? Egli è sempre là, inchiodato alla croce. Lo interroghino, e, se risponderà affermativamente , ammetterò il mio torto”
Altro non cito perché bisognerebbe riportare almeno una decina di pagine. E’ nteressante invece la curiosità che lega in un certo senso la vita di Tillier e quella del genio matematico Evariste Galois, morto poco più che bambino a vent’anni in un duello per amore. Rivoluzione del 1830, i francesi costringono re Carlo X ad abdicare ed è l’ultimo sovrano dei Borboni. Gli succede Luigi Filippo d’Orleans. Ed è qui il famoso episodio di Galois che in una riunione di rivoluzionari
repubblicani, dopo abbondanti bevute, prima dei saluti finali, salta sul tavolo del ristorante brandendo un pugnale e inneggiando minacciosamente e beffardamente all’appena insediato Luigi Filippo, nuovo re di Francia. E per questo gesto Galois si prende qualche mese di galera.
Tillier è meno spettacolare di Galois ma sicuramente, più mentalmente che fisicamente, è rivoluzionario e repubblicano quanto e più del giovanissimo genio matematico che morirà l’anno dopo la rivoluzione, a cui partecipò attivamente combattendo sulle
barricate.
Pietro De Franchi