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Il sedile ribaltabile

30 Agosto 2024

Agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, nella pianura padana più che in altre parti d’Italia era incominciata la ripresa economica grazie alle risorse agricole di cui quel territorio è dotato. Capisaldi della rinascita, i proprietari terrieri, da generazioni padroni di estesi e fertili appezzamenti, davano lavoro a molti contadini, i quali potevano così migliorare le condizioni delle loro famiglie che ancora risentivano dell’impoverimento causato dalla seconda guerra mondiale. Restava la grande differenza del tenore di vita: mentre i figli dei contadini, per esempio, come mezzo di trasporto in estate e inverno avevano a disposizione soltanto una vecchia bicicletta, il proprietario di una grande cascina situata nel Comune di Vescovato (Cremona) aveva permesso alla figlia ventenne, all’ottenimento della patente di guida, di usare la Fiat 1100/103 appena acquistata, di colore blu che aveva, tra altre novità, gli schienali dei sedili anteriori ribaltabili.   

La bellezza non faceva parte dei lineamenti del volto di Annamaria, l’erede del facoltoso agricoltore, tuttavia il suo corpo atletico, che mostrava un’equilibrata alternanza di forme convesse e concave, risvegliava l’istinto di procreazione dei giovani di allora. All’Università di Pavia, di cui frequentava la facoltà di Lettere moderne, il suo incedere riscuoteva sguardi di ammirazione e i corteggiatori non le mancavano, ma il suo futuro sentimentale era tracciato: il padre aveva deciso che avrebbe sposato Piero, il figlio trentenne di una cognata, pur di non dover dividere la proprietà terriera con un giovane estraneo alla famiglia. Lei aveva accettato a malincuore la scelta paterna, non avendo avuto il coraggio di opporvisi. Il marito designato era il tipico figlio di una ricca famiglia di agricoltori: educato all’antica, timido con le ragazze, sospettoso e geloso per via di un complesso d’inferiorità, di statura leggermente inferiore alla media, grassoccio, con un volto allungato che richiamava a volte una maschera valdostana o in alternativa un totem e con una barba incolta tendente al rossiccio, come i capelli, pettinati all’indietro, incollati alla scatola cranica da massicce dosi di brillantina, a quei tempi di uso comune.

Durante le settimane dell’anno scolastico, che Annamaria trascorreva in collegio a Pavia, era roso dal sospetto che lo tradisse con qualche compagno di Università, anche perché a lui concedeva soltanto qualche bacio come prova del suo amore, respingendo ogni tentativo di andare oltre che di tanto in tanto egli metteva in atto. La conservazione della verginità, all’epoca condizione indispensabile per trovare marito, che veniva inculcata nelle ragazze, prevaleva su tutto. Con un secco “dopo il matrimonio” allontanava la mano che cercava di risalire lungo le cosce o s’inerpicava sulle alture del seno. 

Piero era anche disturbato dall’entusiasmo che traspariva negli occhi di Annamaria quando il venerdì sera, ritornando a casa da Pavia, raccontava di episodi vissuti nei giorni precedenti, quasi mai relativi alle lezioni universitarie, ma che riguardavano il tempo libero trascorso con le compagne di collegio. Il suo comportamento con Piero era irreprensibile. Gli giurava di non essere corteggiata, lo rassicurava che da nessuno era attirata e dichiarava che tutte le sue attenzioni erano rivolte soltanto a lui. Avallava la sua irreprensibilità raccontando che il suo corso era frequentato da settanta ragazze e tre maschi, di cui due gay e un ex seminarista. Luigino, il nome di quest’ultimo, era spesso citato nei resoconti che il fidanzato pretendeva, ma sempre con distacco. Aggiungeva che aveva un timbro di voce gracchiante, che portava occhiali con lenti spesse e montatura d’oro, che aveva labbra sottilissime e che il taglio d’occhi ricordava un orientale. Non era il tipo che piace alle donne, ma spesso la scintilla amorosa nel gentil sesso scocca contro ogni logica e molte attrazioni non trovano una spiegazione razionale ma solo quella del mito della “Bella e la Bestia”.  

Durante il quarto d’ora accademico tra una lezione e l’altra, l’identità di vedute tra i due diventava sempre più sorprendente. Quando venne il maggio odoroso, le lezioni di Filologia Germanica finivano. Mancava soltanto la rituale firma del docente sul libretto che attestava la frequenza e consentiva di sostenere l’esame. Quell’anno, poiché avrebbe avuto luogo di lunedì, Annamaria ottenne il permesso di recarsi a Pavia con la Fiat 1100, per poter tornare a casa, ottenuta la firma, senza la perdita di tempo che avrebbe comportato il viaggio in treno. La verità era che non vedeva l’ora di portare Luigino a fare un giretto nei dintorni della città per affascinarlo con le sue capacità di guida. Si fermarono nei pressi del ponte della Becca non lontano dalla corrente impetuosa del Po. Fu lei a prendere l’iniziativa, e, passatogli il braccio destro attorno al collo, offerse la sua bocca al bacio, che Luigino ricambiò a labbra chiuse, mentre tentava di slacciargli la cintura dei pantaloni. A quel punto Luigino, assecondandola, alzò il bacino per abbassarli e puntò i piedi contro il pavimento della macchina e, contemporaneamente, facendo pressione con la schiena contro il sedile. Ma quando stava per apparire “il membro che l’uom cela” (Dante, Inferno, XXV verso 115) e che lei desiderava tanto vedere per la prima volta, qualcosa cedette e lo schienale si ribaltò sul divano posteriore. La preoccupazione interruppe l’azione erotica ancora prima di essere incominciata. Dopo disperati tentativi il sedile miracolosamente aveva ripreso la sua posizione e lo schienale restava verticale. Luigino venne riportato a Pavia e Annamaria tornò a casa dove l’aspettava il fidanzato, a cui aveva dato appuntamento per provare insieme la sensazione che offriva la macchina nuova. 

Piero aperse la portiera, si sedette con cura, ma quando appoggiò la schiena si trovò lungo disteso come su una brandina con il mondo che gli stava cadendo addosso, senza la forza di poter dire una sola parola.

 

Sperangelo Bandera

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