Care concittadine, cari concittadini,
è un lungo percorso, quello che la Repubblica ha compiuto prendendo avvio il 2 giugno del 1946. Settantasette anni fa lo volle intraprendere il popolo italiano attraverso il referendum, aprendo contestualmente la prospettiva costituzionale della nazione. E per la prima volta si poté dire in senso pieno ed autentico “il popolo italiano”: grazie al suffragio universale maschile e femminile, con la prima convocazione alle urne delle donne; grazie alle prime votazioni libere seguite al ventennio fascista, alla guerra, alle oppressioni; grazie all’imponente affluenza dell’89% degli aventi diritto, pari a circa 25 milioni di italiani.
Un’impresa collettiva che ancora oggi si alimenta, trovando nella festività nazionale l’occasione della conferma di una scelta. Perché ogni determinazione, nel tempo, necessita di occasioni di discernimento, memoria e riflessione. Attimi di sospensione dalla quotidianità della vita, tanto privata quanto istituzionale, per fare memoria del senso di una scelta. Momenti nei quali la celebrazione di fatti determinanti per le sorti del Paese, quand’anche lontani nel tempo, sia in grado di richiamare l’attenzione alle scelte fondative della nostra comunità nazionale, sottraendo la vita pubblica ed istituzionale del Paese alla dimensione di un fluire distratto e abitudinario, che facilmente può trasformarsi nel pericolo di un’affermazione silenziosa ed insidiosa di differenti modelli di governo, dannosi per il benessere dei popoli e delle persone: democrature, democrazie illiberali o democrazie a bassa intensità, svuotate di contenuto e di significato, ed ogni forma di regressione democratica, anticamera di totalitarismi affatto espulsi dalla contemporaneità, dalla Storia dell’umanità. Al contrario, assistiamo ad un inedito attivismo di tali regimi sullo scenario geopolitico, già asceso all’aberrazione di guerre di aggressione come in Ucraina o alla minaccia delle stesse in altri contesti del globo come l’Indo-Pacifico, accompagnato dal tentativo di saldarsi in un fronte comune, di imporre nuove egemonie globali, economiche e sociali, alternative ed ostili alle democrazie liberali occidentali. Il tutto con il supporto di azioni di influenza culturale manipolatorie e di una propaganda che – dai post più rozzi utilizzati sui social per la pesca a strascico delle masse più influenzabili, alle accademiche pochette dei talk show per un pubblico apparentemente più esigente – ci spiega che, in fondo, lontano dai sistemi di governo democratici non si stia affatto male.
Siamo esposti.
La Repubblica possiede però i valori e le risorse necessarie per affrontare a viso aperto le sfide che abbiamo innanzi.
Celebrare la Festa della Repubblica significa festeggiare la fortuna di vivere nella società libera, aperta, solidale ed inclusiva tracciata con saggezza e lungimiranza dal legislatore costituzionale, senza dare per scontate le nostre radici, l’essenza della nostra convivenza sociale, i valori così alti e sempre attuali espressi nell’articolato pensato dai nostri padri e dalle nostre madri costituenti, frutto di un compromesso al rialzo capace di raccordare e valorizzare le diversità, riconducendole ad uno scenario di crescita collettiva.
E avere cura della Repubblica, oltre il momento celebrativo, significa anche avvertire il dovere di svolgere al meglio delle proprie possibilità quel compito collettivo, di popolo, che passa dall’impegno individuale negli ambiti in cui ciascuno si trova ad operare, ogni giorno, per il corretto, efficiente e solidale funzionamento del sistema-Paese: nel lavoro, nel volontariato, in ogni dimensione di operosità che lega la realizzazione personale all’utilità sociale.
In questo primo anno da Sindaco di Crema ho visto bambini scoppiare di gioia indossando una copia della fascia tricolore nell’aula del Consiglio Comunale; ho stretto le mani di persone di origine straniera tremanti per l’emozione del conferimento della cittadinanza italiana; ho conosciuto la ricchezza straordinaria e multiforme di talento, ingegno, generosità e altruismo di cui è ricca la nostra comunità.
Nascondere le difficoltà di tempi complessi – in cui le prospettive di benessere economico sono più fragili rispetto a quanto avvenuto per altre generazioni, nei quali le trasformazioni sociali e l’innovazione paiono talvolta più una minaccia che un’opportunità, in cui cresce il tasso di rabbia e conflittualità sociale, unitamente ad un individualismo dalle sembianze sempre più anarcoidi – sarebbe un esercizio retorico sterile e controproducente.
Ma la forza di una nazione consiste anche nello sguardo fiducioso di chi sa scorgere la lama di luce che penetra tra le nubi.
C’è speranza per la nostra Italia. C’è stata e c’è ancora grazie alla Repubblica e alla sua Costituzione.
Oggi festeggiamo questo. Oggi festeggiamo la Repubblica Italiana, la parte migliore di noi.
Viva l’Italia, viva la Repubblica!
Fabio Bergamaschi
sindaco di Crema