Sono stato alla presentazione del quarto volume “La tua casa”, un atlante illustrato del patrimonio residenziale pubblico milanese che offre una dettagliata e preziosa raccolta su tutti gli edifici di edilizia popolare della città cui da anni la Società MM CASA Spa lavora, grazie soprattutto alle ricerche della professoressa Maria Antonietta Breda e alla intelligente committenza del direttore Corrado Bina.
Questo genere di pubblicazioni assume nel tempo un valore assai più rilevante di quello che paiono avere al momento della loro realizzazione, perché divengono una sorta di preziosissima banca dati che permette a distanza di decenni di monitorare quanto e come la collettività ha affrontato il tema della casa.
Balza subito all’occhio un dato: i tre periodi in cui si è maggiormente investito in edilizia residenziale pubblica sono tre: gli anni ’20 e ’30, quelli in cui il Regime costruiva il consenso e il lato socialista del Duce si faceva energicamente sentire; la fine degli anni ’40, quando occorreva ricostruire le case dopo i devastanti bombardamenti “alleati’ e infine il periodo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, quello in cui il boom industriale richiamava dalle campagne e dal Sud migliaia di italiani disperati e speranzosi in cerca di lavoro, pane e…casa.
Ma le case, e a prezzi veramente agevolati, si costruivano eccome: davanti alle emergenze la collettività reagiva, si organizzava e realizzava ciò che serviva. Si è tanto sparlato di molti di questi interventi come a volte orrendi, ma la stragrande maggioranza di quelle case, soprattutto le più vecchie, avevano spazi vitali ben progettati che fanno oggi impallidire gli inverecondi monolocali super mimal da 30 metri quadrati che vengono affittati a 1.000 euro al mese o venduti a peso d’oro che ci propina il meccanismo del mercato totale nella metropoli odierna. E in verità in alcuni periodi della nostra storia abitativa, nella edilizia popolare si sono cimentati alcuni dei più grandi architetti di sempre, come Giò Ponti o Gardella, e non è assolutamente insolito trovare edifici con appartamenti popolari da 120 mq, oggi una sorta di miraggio da milionari. Perfino il Politecnico di Milano è tornato a studiare nei nostri archivi le piante delle case popolari degli anni 30 perché la progettazione degli spazi a basso costo di quell’epoca può offrire soluzioni progettuali per l’emergenza contemporanea.
Sì dice sempre che “una volta era diverso”, ma in verità lo era.
La Jugoslavia di Tito si è presa Istria e Dalmazia? Nel 1947 lo Stato crea l’Opera Nazionale Assistenza Profughi giuliani e dalmati, ci mette soldi e coinvolge il Comune, il quale dona i terreni per consentire all’Opera di realizzare le case: gli esuli vengono assunti come impiegati e operai e aziende come la Pirelli fanno donazioni per realizzare studentati destinati ai figli degli esuli.
Perfino ai dipendenti comunali, proprio perché la città costava più degli stipendi da contratto nazionale, venivano riservati degli appartamenti ad affitto e acquisto agevolato in condomini costruiti appositamente dalle Cooperative su terreni comunali: tutti questi condomini, decine e decine, esistono ancora ma i dipendenti comunali non ci abitano più. Era l’Italia democristiana e socialdemocratica, un esempio straordinario di mutuo soccorso produttivo che si è perso nel tempo, soppiantato dal progressivo e inarrestabile strapotere di una forza che ormai pare invincibile: il Mercato.
E se oggi il Comune volesse erigere dei complessi residenziali per i propri dipendenti, come avvenuto per decenni, molto probabilmente sarebbe sotterrato da un frana di polemiche da una opinione pubblica che griderebbe all’ennesimo scandaloso privilegio, ignorando che tra l’altro queste operazioni rimetterebbero sul mercato gli alloggi lasciati liberi dai comunali, creando nuove opportunità abitative per i privati cittadini …ma tant’è ..segni dei tempi in cui la ragione è stata completamente soppiantata dalla emotività via social.
In un articolo di pochi giorni fa Il Sole 24 Ore riporta che a Milano il prezzo al metro quadro delle case è cresciuto mediamente del 40,7% negli ultimi 7 anni, e a loro volta i contratti di locazione sono cresciuti del 30% perché comperare casa è sempre più difficile, e di conseguenza il costo degli affitti è salito di un 35% medio. E con i tassi dei mutui alle stelle e le banche che non fanno più la banche, la casa torna ad essere per un cittadino medio un vero e proprio incubo più che un sogno quasi irrealizzabile.
Ma la casa è un diritto? No. Però è un dovere morale della collettività: l’art. 47 della Costituzione recita che la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione” (chissà perché la Costituzione è tirata in ballo da tutti solo quando si parla di equilibri di potere e non quando parla dei diritti sociali quotidiani dei cittadini…).
Addirittura la Corte costituzionale italiana nel 1987 ebbe a sancire come doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione… E allora come mai così tanti italiani sono alle soglie di una nuova piena emergenza abitativa?
Perché nel mondo globalizzato lo Stato conta poco e il Mercato conta tutto, anche nella casa: i soldi cambiano tasche, il pianeta diventa minuscolo e le case vanno prima a chi può pagare di più: i costruttori sono spesso delle holding internazionali che pescano capitali in ogni parte del globo, e che ben poco si curano degli elettori locali.
Inoltre, ahinoi, viviamo oggi in un paese super gettonato dallo sfrontato turismo globale, dove tutti i nuovi ricchi vogliono una casa anche se poi la bazzicano un mese all’anno: oltre agli arcinoti arabi ed affini, oggi India, Cina e perfino la Nigeria (che messe assieme fanno metà dell’umanità intera) hanno schiere di nuovi ricchi e borghesi che hanno di che spendere e comperare o affittare case nel Paese più amato del mondo, e chi vive qui non potendo competere rimane in affitto tirandosi il collo.
La terra è di tutti ma le case sono del Mercato… e perfino dei Paesi che per anni abbiamo compianto come miserevoli anche un po’ sentendoci in colpa, oggi ci sorpassano e presentano il conto proprio sulla nostra dimensione abitativa. E in parallelo, da altri Paesi del mondo, arrivano a frotte disperati in cerca di ogni possibile forma di sussistenza, pena la non sopravvivenza.
Toccherà dare ragione a Carlo Marx quando diceva che più il capitalismo mobilita forze produttive potenti, più la strada è inesorabilmente segnata?
Temo di sì, ma spero di no, e in tutto questo veder raccontata in questi volumi di MM così tanta storia di collettività che si preoccupava dei propri bisogni e riusciva a soddisfarli, assieme a una certa sfiduciata nostalgia ci regala anche qualche spunto assai interessante per non darci per vinti del tutto.
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano
cremonasera.it