“E’ in partenza l’autopullman per piazza Duomo”: sul fluire delle note dell’orchestrina, alle 23,30 precise, il cantante, che da ore stava facendo vibrare l’ugola allo Stand di via Persico alla periferia di Cremona, un dancing all’aperto degli anni Cinquanta del secolo scorso, con questo annuncio faceva vuotare la pista da ballo. Era un generale affrettarsi per non perdere l’unica corsa, istituita per permettere a chi abitava dalle parti del centro città di trascorrere una serata danzante all’aperto nei caldi fine settimana d’estate. Per lo più erano giovani donne, operaie, commesse, impiegate o casalinghe, le abituali fruitrici di quel servizio. Ragazze non particolarmente avvenenti e senza cavaliere, che erano arrivate alla sede del locale con lo stesso mezzo di trasporto che era stato fatto partire alle 21 precise da piazza del Duomo con l’annuncio inverso: “E’ in partenza l’autopullman per lo Stand di via Persico”. Andata e ritorno erano gratuiti grazie alla direzione del locale, che si sobbarcava la spesa dei biglietti per aumentare le presenze nel dancing.
Alla fine di una stradina sterrata quasi nascosta, sulla sinistra di via Persico per chi era diretto in città, poco prima del passaggio a livello della linea Mantova-Cremona, si apriva uno spiazzo illuminato, ricoperto di ghiaia fine, contornato da alberelli, dove si potevano parcheggiare le auto, piuttosto scarse, mentre la maggior parte della superficie era occupata da un cumulo di biciclette. A pochi metri, l’edificio dello Stand, dipinto di bianco, con la biglietteria, che consisteva in una finestrella al cui interno, sotto una luce rossastra, una signora vistosamente truccata incassava la quota e consegnava il biglietto che consentiva l’ingresso alle danze. Poi un breve corridoio immetteva nel locale da ballo all’aperto: l’occhio prendeva d’infilata una specie di aia circolare, con la pista in cemento un gradino più in basso rispetto ai tavolini, illuminata da faretti colorati, mentre di fronte, su una struttura sopraelevata, avevano preso posto i musicisti. Al bancone di un bar, in disparte, venivano preparate le consumazioni.
Al sabato e alla domenica si faticava a trovare una sedia libera e, non appena gli strumenti emettevano le prime note, scattavano gli inviti a ballare, con la rispettosa domanda: “Balla?”. La pista si animava di ballerini di rock and roll, valzer e mazurke e, quando veniva il turno dei lenti, s’incominciavano a vedere coppie ballare sempre più strette. Capitava che, a causa della timidezza, l’invito al ballo stentasse a essere pronunciato per timore di ricevere un rifiuto, ma, dopo interminabili occhiate, quasi alla fine della serata, qualcuno prendeva il coraggio a due mani. Capitava che l’invito fosse talmente tardivo da coincidere con l’annuncio della partenza dell’autopullman, anche se l’orchestrina continuava a suonare.
Piero, uno studente universitario introverso e solitario, ogni domenica arrivava in bicicletta allo Stand per trovare compagnia, ma senza risultato. La domenica di fine luglio, finalmente aveva ottenuto il sì dalla ragazza che da ore voleva invitare a ballare, senza aver avuto il coraggio di lanciarsi. A metà canzone fu scosso dall’annuncio che mai avrebbe voluto sentire. Il cantante annunciava che il pullman per piazza Duomo era in partenza. L’illusione non poteva essere interrotta. Insistette per ballare ancora un po’, pregando la ragazza di non andarsene e promettendo che, di lì a poco, lui l’avrebbe accompagnata a casa sulla canna della bicicletta. Anna, questo il nome della commessa, accettò la proposta. Di giusta statura, piuttosto magra come la maggior parte della gioventù di allora, era alla ricerca di un ragazzo per colmare la solitudine. Ballarono sempre più stretti, guancia a guancia, con gli occhi chiusi e nella mente di Piero si profilavano pensieri proibiti. L’estasi fu interrotta dal cantante che, ringraziando, augurava la buonanotte dando appuntamento alla prossima settimana.
Era abbastanza usuale, all’epoca, vedere una persona trasportata sulla canna della bicicletta. Anna veniva quasi abbracciata e il viso di Piero le sfiorava la guancia, in un gesto molto simile a un’effusione amorosa. Avrebbe voluto che il percorso di circa un chilometro e mezzo non finisse mai e quando, vicini alla meta, lei girò il viso verso di lui e le labbra vennero quasi a toccarsi, perse completamente l’equilibrio e, dopo aver zigzagato goffamente, la caduta fu inevitabile. Non riportarono che qualche graffio, si ricomposero, si salutarono, si diedero un nuovo appuntamento allo Stand. Piero era felice, lei non si fece più vedere.
Sperangelo Bandera