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A Cremona ‘sovrani’ scalcinati con lecchini e guardaspalle

24 Aprile 2022

Dove c’è un re ci sono i pretoriani. Ma anche servi e lacchè. Poi il giullare di corte. I primi sono i fedelissimi, pronti a buttarsi nel fuoco per salvare sua maestà. I secondi s’inaridiscono la lingua nell’inumidirgli il fondoschiena, lesti a leccare quello del sostituto al primo scricchiolio del sovrano in carica. Il terzo è il Fool, l’idiota-furbo caro a Shakespeare. Ossimoro, spara minchiate assurde e divertenti, ricche di verità scomode e osservazioni negative sull’operato del re, ma senza pagare pegno per la sfrontatezza. C’è anche il bambino della favola di Andersen che grida il re è nudo, ma è una voce nel deserto. Non mancano i personaggi di spessore, quelli che entrano nella storia. Oggi i re sono gli amministratori delegati di società pubbliche e private, segretari di partito, politici di alto grado, presidenti di associazioni di categoria, enti e organizzazioni varie. Le persone che ruotano intorno ai leader sono simili a quelli dei tempi andati, ma con modalità e sistemi operativi attuali. Più raffinati e politicamente corretti. Ogni territorio ha i propri sovrani e relativi comprimari.

La provincia di Cremona non sfugge alla regola, ma tende ad eliminare sia i Fool, che i monelli. Proliferano guardaspalle e chupa chupa. È carente di personalità carismatiche che, invece, ha espresso in passato. I guardiaspalle intervengono anche quando non è necessario. Più realisti dello stesso re, viaggiano sulla sottile linea che discrimina i pistola dai poveri cristi. I chupa chupa, pronti a rinnegare chi li ha foraggiati, non meritano attenzione. Uniti con un patto non scritto tendente a decidere il bello e il cattivo tempo del territorio, i monarchi locali puntano a conservare i privilegi acquisiti con la posizione occupata. Sostenitori dello status quo, della pax da loro imposta, prediligono l’appiattimento politico e culturale dei sudditi e della provincia, ma sostengono il contrario. Usano un linguaggio meno sfacciato del marchese del Grillo, ma nell’agire gli assomigliano. Mirano a incorporare il dissenso per amalgamarlo, neutralizzarlo e renderlo compatibile con le scelte già decise nelle segrete stanze e date per acquisite. Se San Tommaso sollecita delucidazioni o sgama le trame occulte, i sovrani s’incazzano. Come i francesi con Bartali nella canzone di Paolo Conte.

Ma i mali di casa nostra non sono imputabili esclusivamente ai monarchi e ai frequentatori delle corti, ma anche ai sudditi distanti dai comandanti. La colpa è da spartire con coloro che criticano, ma non si muovono. Che al via restano al palo. Fermi. Immobili. Il problema è la resistenza al cambiamento, causa principale della marginalità del territorio nello scacchiere politico lombardo. Non è un nuovo ospedale o il Masterplan 3c che trasformeranno la provincia in Eldorado. Non sono la pietra filosofale. Non rappresentano la rottura con il vecchio. I tempi e i metodi impiegati per imporli lo testimoniano. Non incarnano una rivoluzione culturale, condizione prioritaria e scoglio quasi insuperabile per rilanciare la provincia da Rivolta d’Adda a Casalbellotto. Il problema non sono le monarchie, che non si possono eliminare, ma l’incapacità, il timore, il disinteresse del popolo e dei pubblici amministratori alla modifica delle dinamiche in uso nelle corti. Il problema è la difficolta a revisionare e aggiornare le posizioni acquisiste. È il fallimento della partecipazione e del confronto. È la delega in bianco a sovrani e cavalieri, liberi di programmare il futuro delle nostre esistenze. È la comodità autolesionista di restare alla finestra. È l’indifferenza allo scorrere degli eventi. È l’incapacità di diventare protagonisti. È la rinuncia ad essere un granello di sabbia nella storia locale. Non tutte le monarchie cremonesi si presentano in forma olimpica. Non tutte detengono uguali responsabilità nello stallo che rallenta l’avvicinamento della provincia verso lidi migliori. Non tutte incidono in maniera identica nel risiko della politica che oltrepassa i confini provinciali.

Se la monarchia dell’Associazione industriali gode di eccellente salute, quella della Libera associazione agricoltori cremonesi è un po’ acciaccata. Se l’Associazione industriali dispone della forza per imporre il Masterplan 3c all’Amministrazione provinciale, la Libera agricoltori non ha i numeri per trattenere a Cremona la Mostra della Frisona. Se il presidente dell’Associazione industriali limita le sue apparizioni sui mass media, quello della Libera agricoltori è sovraesposto. Se la capacità di condizionamento politico dell’Associazione industriali è discreta, quella della Libera agricoltori è una spanna inferiore, non proporzionale al numero delle fotografie del suo presidente pubblicate dall’house organ della monarchia che guida. Meglio comandare che fottere. Se è vero, a maggior ragione sarebbe più conveniente, per la Libera associazione agricoltori una maggiore forza contrattuale e qualche ritratto e intervista in meno del suo presidente sul giornale di casa.

Un accenno merita la monarchia dell’informazione di regime. Fino a poco tempo fa godeva del monopolio assoluto, ora è costretta a confrontarsi con voci meno disposte a consumare saliva per incensare i capoccia di turno. Più propense ad abbaiare che a belare. Punte di spillo nella diga del pensiero unico. Nulla di straordinario. Niente di eclatante. Non tsunami. Neppure temporali. Gocce. Solo gocce. Ma gutta cavat lapidem.

La monarchia messa peggio è la politica. Al netto della caduta del muro di Berlino, delle ideologie evaporate, della liquidità subentrata alla compattezza, un dato caratterizza il nostro territorio: la qualità non eccelsa dei sovrani e dei cavalieri. Non scarsa, ma non da serie A. Nessuno dubita delle capacità di ciascuno di loro e delle motivazioni ideali che li spinge ad impegnarsi per la cosa pubblica e il bene comune. Nessuno eccepisce sui sacrifici che il ruolo pretende. Tutti concordano che ideali, impegno e sacrifici non bastano per essere campioni e vincenti. Ci vuole altro che nel nostro territorio, per ora, non si trova. L’elezione del presidente della provincia e del consiglio di amministrazione di Padania Acque; la gestione del Masterplan 3c; il fallimento dell’Area omogenea cremasca; gli interventi per l’inquinamento dell’aria; le lungaggini dello studio epidemiologico; la cessione dei gioielli di famiglia ad A2a con il passaggio da padroni a maggiordomi; la polemica sull’Area donna, bastano ed avanzano per affermare che da noi non ci sono Mappè, Modric, Ronaldo. Forse Oriali, che secondo Ligabue «non ha i piedi buoni e lavorava sui polmoni». Difese d’ufficio di re e cavalieri, prive di motivazioni consistenti sono comprensibili, ma controproducenti e deleterie. Irrigidiscono ed esasperano le diversità. Dividono il territorio. Alcuni sostengono che spesso quando si parla si perde una buona occasione per tacere. Altri che il silenzio è d’oro. È certo, le parole sono pietre. Esigono cautela. Prudenza.

Paolo Carletti presidente del consiglio comunale di Cremona, ha recitato un peana in gloria alla centralità degli enti locali, forza propulsiva dell’Associazione temporanea di scopo (Ats) costituita per implementare il Masterplan 3c. «La Provincia, il Comune di Cremona come capoluogo, i Comuni di Crema e Casalmaggiore quali referenti di ambiti di zona ben definiti, le Unioni dei Comuni e le singole Amministrazioni comunali – ha spiegato – dovranno essere autentico fulcro del progetto, se si vuole davvero mettergli le ali». (Cremonasera, 21 aprile). Non sottolinea che al Ponchielli, durante la presentazione dell’Ats, nessuno aveva filato i Comuni. Che solo dopo un’ora e mezza sono stati menzionati grazie a Stefania Bonaldi, sindaco di Crema, piccata, ma con stile, per la dimenticanza. Che le adesioni sono 70 e le defezioni 43, pari al 38 per cento dei 113 Comuni della provincia. Numeri che non rappresentano un viatico da sballo per lanciare l’Ats nello spazio dei sogni realizzabili. Più probabile, in quello dei sogni infranti. Non rileva che Cremona partecipa all’Ats con una quota di o,o70 euro per abitante e i restanti Comuni con quella dello o,10. Perché lo sconto? Perché è il re più potente e con il Torrazzo? Perché possiede 32 castelli e quando ne perde uno, si rifà sul tapino e gli porta via la scatola di cachi, la radio a transistor e i dischi di Little Tony? Jannacci, un mito.

 

Antonio Grassi

2 risposte

  1. La stupenda libertà di descrivere la decadenza progressiva e immutabile di questa nostra terra è l’ultima ricchezza individuale rimasta. Invecchia tutto, la città si impoverisce e si svuota, i paesi perdono vitalità, servono Case di riposo e non asili e scuole. La fotografia della politica, per quanto efficace nel rappresentarla, vale non solo di per sé ma soprattutto
    per l’evidenza che ne deriva, vale a dire quanto sia invisibile la difficoltà reale dei cittadini tutti, sudditi, spettatori, incolpevoli spesso ma sicuramente ignavi sempre e per questo senza valore nelle decisioni dei maggiorenti. I giovani crescono male e per la gran parte fuggono; si sono ormai sfilacciate le maglie secolari della comunità e in questa rete piena di buchi i pesci grossi solamente trovano appiglio. Il resto cade. I pensieri alti di qualche osservatore illuminato dimostrano che la nostra è una società scollata, con individui resistenti, spesso prodi singolarmente, ma del tutto ignoti e irrilevanti da decenni sul palcoscenico politico nostrano. Bisogna guardarsi attorno e trovare la dignità di ammettere che la nostra provincia è in caduta libera. Con buona pace dei proclami di bottega.

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