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Influencer, mostri del terzo millennio generati dalla paura della povertà

4 Gennaio 2024

Chi ha paura della povertà? Tutti, o quasi, i seguaci degli influencer. Chiara Ferragni ci fa volare con la sua sterminata cabina armadio a City Life vista Duomo di Milano, una immensa collezione di scarpe, borse, vestiti che tutte, o quasi, vorrebbero avere. Poi c’è la famiglia felice, apparentemente felice, una straordinaria ricchezza, esibita come un trofeo. Figli bellissimi. Tutti belli. Parlano di donare un milione di euro, come fossero coriandoli per martedì grasso. I contratti pubblicitari a sei zeri fioccano. Chiara ha l’immagine della ragazza della porta accanto e tutte, o quasi, vorrebbero essere come lei. Ci riesce perché è una brava imprenditrice di se stessa. Gli errori, se ve ne sono, li svelerà la giustizia. E’ una modella. Nulla più. Non è la prima, non sarà l’ultima.

Poi c’è Gianluca Vacchi, che per vivere non ha bisogno di lavorare, i suoi balletti su Tiktok bordo piscina sono diventati planetari. Tatuato e appagato dalla vita, danza con i suoi filippini senza alcuna preoccupazione per il domani.

Di influencer ce ne sono tantissimi sui social. Passiamo al livello più basso. Chiara Ferragni è Audrey Hepburn al confronto. Sono una manica di scappati di casa. Di solito se donne esibiscono labbra gonfiate, capelli biondi che sfidano le doppie punte e twercano (twercare = dimenare il sedere), mostrando seni e fondoschiena prorompenti. Se sono maschi hanno in vista tartarughe e tatuaggi. Pare comprino i seguaci a pacchetti su Instagram e si creino un incredibile do ut des. Scrivono all’albergatore di Cortina, Dubai, Maldive: se mi ospiti gratis ti faccio in cambio pubblicità”. E così si crea un indotto opaco. Viaggi e spensieratezza e passa la paura, anche per chi sta a casa e li osserva, cullando la gioia di un mondo che non c’è. E’ fantasia, carezza, sogno. Tutto documentato sui social.

Poi c’è la paura della malattia, che è come la povertà, con l’aggravante. Siamo nel 2020 e una qualsiasi Angela da Montello, raccattando followers a più non posso, urlava dai balconi: “Non ce n’è di coviddi!”.

Ma chi sono stati i primi influencer, con la capacità di donare speranze in confezione spray, per citare Renato Zero? I calciatori. Il primo contesto ad aver creato con mucchi di denaro facili illusioni. Questi resistono ancora: case, relazioni sentimentali, tagli di capelli e risvoltini ai pantaloni. Molti ragazzini consumano la loro adolescenza sognando di essere come loro. Anche ora. Adesso. Un bagno di euforia che si dissiperà al tramonto. Per scoprire che il denaro compra tutto. Ma non la vita. Il nostro Gianluca Vialli, che è stato davvero campione di fairplay e di bellezza ne è la prova più autentica. Un antieroe fantastico. Il vero modello da seguire. Non un influencer qualsiasi. Mai una sbavatura. Mai volgarità.

C’è puzza di influencer da guerrilla marketing laddove si palesa lo sterco del demonio: i soldi. Viviamo in un mondo spesso furbo, ingannevole, disumano, in cui l’etica è stata soppiantata dalla scaltrezza, la cultura dal tweet ad effetto, l’amore dalla menzogna. Perché tanti giovani e non cadono nel tranello di questa fantastica giocoleria?

Rubo al grandissimo economista Stefano Zamagni una definizione che lui utilizza per spiegare la società contemporanea. La chiama Aporafobia: termine greco che significa disprezzo e paura verso il povero. Per esorcizzarla, viviamo sospesi nel mondo “rosa” degli influencer. Soldi facili. Non sia mai che capiti anche a noi. Un paio di scatti, labbra protruse, sedere a panettone e magari si flettono i contatti, qualche scatto in famiglia, purché sia mulino bianco, un outfit audace, chissà. Da cosa nasce cosa. Una pubblicità. Una comparsata a Sanremo mezza nuda, Una beneficenza, più o meno trasparente. Se è successo ad una ragazza normale, come la Ferragni, che a dispetto del suo travestimento per Halloween non sarà mai Sharon Stone, potrebbe capitare anche a me. Che cos’ho di diverso? Sono mora mi faccio bionda. Un po’ di ginnastica. Un ritocchino. Un buon
ufficio comunicazione.

In realtà abbiamo paura di essere poveri. Poveri. Ci fanno paura i disgraziati dei barconi, la guerra, il reddito di cittadinanza, il lusso di poterci curare in una società che sta smantellando il welfare. Siamo davanti a queste facce toste dei poveracci e vorremmo avere la loro faccia di tolla. Prendiamo il volo, per un battito di ciglia, osservando da voyeur le loro vite, attraverso pochi pollici di uno smartphone. Ci fanno credere che vi sia una via di fuga. Una speranza.

Siamo al giro di boa degli influencer? E’ notizia di questi giorni che siamo arrivati ad un break even. Il mercato è saturo. Finiranno? No. Perché la paura della povertà, che è poi paura della morte, ci accompagna da sempre. I veri miti, anche quelli più popolari, presi da ogni ambito, penso anche ai cantanti, agli attori, ai giornalisti, agli intellettuali, hanno glamour, classe e fascino. Conducono spesso battaglie dolorose, vanno in giro con la scorta, scrivono libri indimenticabili, creano cambiamento. Da separare dalla massa informe di tamarri che mostra il sedere alle nostre vite, come se ce l’avessero solo loro. Serve cultura. Educazione. Capacità di discernere. Carisma. La curiosità è legittima: è connaturata all’uomo.

La paura della povertà ci obbliga a riflettere su che cosa è la vera ricchezza. Le ambizioni di tamarri seminudi restituiscono una realtà distopica e surreale, se non comica. Fossi un influencer mi vergognerei ad avere un seguito così scadente.

Siamo solo ciò che doniamo con il cuore.

 

Francesca Codazzi

6 risposte

  1. In ogni tempo l’uomo ha patito o temuto la povertà ed ha sempre ambito a realizzare ciò che gli consentisse di vivere nell’agio, nella ricchezza….i più umili, nella serenità di potersi permettere le piccole soddisfazioni che gratificano, senza faticosi sacrifici. Ciò che è cambiato sono i riferimenti, gli esempi a cui volgere lo sguardo….a volte me lo rappresento un po’ come in The Truman Show…auguro a tutti di avere l’intelligenza e la forza dei valori che consentono di aprire la porta nel fondale che altri dipingono per noi….

  2. Analisi lucida, che tristezza questa società. Confidiamo nelle nuove generazioni. La speranza è l’ultima morire

  3. Una realtà crudele, la pochezza di chi non riesce ad immaginarsi un futuro se non nell’immaginario di qualche biondina o di un tartarugato. Esempi pessimi e pericolosi, non stupiamoci se i ragazzi rifiutano posti di lavoro giudicandoli sottopagati……o addirittura troppo distanti dal divano di casa…. Meglio sparisca questa schifezza.

  4. Come sempre una analisi esemplare. Anche se, a mio parere, povertà e morte sono condizioni diverse perchè creano due generi di paura differenti. La povertà genera dolore e sofferenza, la morte talvolta liberazione. E per questo credo che gli influencer speculino solo sulla prima, di lettura più immediata.

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