Cremona e più in generale la Val Padana detengono il record italiano d’inquinamento atmosferico. Sono in lizza per giocare la finale di Champions League e prendersi il primato europeo. Tra le cause della sfiga, la posizione geografica ingrata. Favorisce il ristagno dell’aria e la concentrazione di polveri sottili. Ma anche di altri integratori/disintegratori polmonari. La morfologia del territorio non è modificabile, ne deriva l’impossibilità di limitare gli effetti negativi da essa indotti. Traffico, caldaie per il riscaldamento, attività produttive industriali e agricole ci mettono il carico da undici, ma è possibile intervenire per mitigare il loro impatto negativo. Infine c’è la politica. Deputata a trovare risposte e rimedi, a imporli e farli rispettare, latita. Tergiversa. Svicola.
Con un bagaglio di ritualità verbali, concentrato di rassicurazioni, promesse, balle rese plausibili dal ruolo di chi le spara, la politica privilegia le parole all’azione. Dibatte. Convoca tavoli di confronto. Rinvia. Inventa giustificazioni. S’arrampica sui vetri. Fa melina. La posizione geografica viene assunta come madre di tutte le cause di un’aria simil-camera a gas, assai diversa da quella cantata da Gianna Nannini. La morfologia del territorio è caricata anche di misfatti ascrivibili ad altre variabili. Parafulmine per le manchevolezze delle istituzioni, è assurta a unica imputata della pessima qualità dell’aria in provincia. In questo modo le responsabilità di traffico e caldaie sono depotenziate e rese marginali.
Le attività industriali e agricole sono una categoria protetta. Chi le tocca è fulminato. O guardato male. Con sospetto. Norme troppo rigide delle emissioni in atmosfera penalizzerebbero le aziende. Chi ipotizza una legislazione più restrittiva in materia è nemico dello sviluppo. Della produzione. Del lavoro. Del profitto. È amico della propria salute e di quella altrui, ma è poca cosa. Quisquilie rispetto all’imperativo di presentare ai consigli di amministrazione bilanci aziendali floridi, con utili da primi della classe. Ambientalisti e comitati per la salvaguardia del respiro libero sono ragionevoli se accettano di essere blanditi. Se evitano proteste eclatanti. Se tacciono. Sono seccacoglioni, se insistono per ottenere un impegno più incisivo delle istituzioni. Giacobini, se protestano con maggior energia e alzano la voce. Montagnardi se s’incazzano e prospettano manifestazioni in piazza.
L’intervento (12 settembre) in aula sull’inquinamento atmosferico dell’europarlamentare Massimiliano Salini è il manifesto di un mondo alla rovescia. Della mercificazione della qualità dell’aria. Dell’approccio ragionieristico al problema. Della direzione del vento opposta a quella auspicata dai partigiani verdi e non solo. Della visione prospettica di un miope. Della lungimiranza poco lungimirante. Dell’asservimento della politica al business. Sconcertante, qualunquista, demagogica, puerile, la dichiarazione dell’europarlamentare è lo stigma di un interessamento al tema privo di un afflato ideale.
Posizione rispettabile, ma incomprensibile. Salini è cresciuto a pane e don Luigi Giussani. E molto Roberto Formigoni. Per cultura e formazione dovrebbe essere animato dalla volontà di servire più l’uomo che l’industria. Più la persona che la bottega, pratica quest’ultima che non è disdicevole. Tuttalpiù non condivisibile. Per qualcuno antipatica.
«Signor Presidente, onorevoli colleghi, – ha spiegato Salini – farò brevemente un esempio, per capire quale sia la ragione per la quale alcune critiche che sono state formulate alla proposta di direttiva non sono critiche all’ambizione ambientale della direttiva, ma sono critiche alla rigidità della direttiva. Ci sono territori nei quali abbiamo imprese estremamente sostenibili, rispettose di tutti i limiti che vengono posti, sia in ambito industriale sia in ambito agricolo. Ma quelle imprese sono collocate in aree territoriali che morfologicamente determinano un ristagno dei pochi fattori inquinanti presenti. Quindi, impresa sostenibile, ma territorio morfologicamente preoccupante. Il Nord Italia è un esempio: in Lombardia e in Emilia Romagna abbiamo alcune delle realtà produttive più sostenibili e innovative al mondo: ma per rispettare i limiti posti dalla direttiva bisognerebbe abbattere le Alpi! E non è esattamente semplice. Allora, onde evitare di doverle chiudere, perché chiudendo quelle imprese chiudiamo l’Europa, la richiesta che facciamo è di collocare le giuste ambizioni dentro la realtà. Non ci vuole molto».
In base a quali dati Salini afferma con certezza apodittica la presenza di pochi inquinanti? Quali sono? Quali le quantità rilevate? In biologia, in medicina e in altri cento settori anche un nanogrammo può fare la differenza. Pochi inquinanti tollerati singolarmente, sommati possono sortire effetti indesiderati. E non è indispensabile avere frequentato un corso di alfabetizzazione scientifica per capirlo. Cosa intende l’europarlamentare per giuste ambizioni? Chi stabilisce le giuste e le sbagliate? Le decide lui? Con quali criteri? Chi gli ha conferito questa autorità?
Cosa significa Non ci vuole molto a collocare le giuste ambizioni dentro la realtà? Boh! Molto che cosa? E quanto molto? Quale realtà? Del mercato o della salute? Salini non si fila i cittadini, neppure di striscio. Non un accenno. Non una virgola. Nulla. Cancellati. Preoccupato per le imprese, l’europarlamentare usa la clava. Evoca lo spettro della chiusura delle aziende. Non è elegante. Forse controproducente: i montagnardi potrebbero prendere cappello e far casino.
E l’ironia non è nelle sue corde. In questa circostanza fuori luogo. Non è necessario spianare le Alpi per migliorare l’aria del nostro territorio. Basterebbe schierarsi un millimetro in più dalla parte della gente, del popolo – esiste ancora – e non inginocchiarsi davanti a industriali e agricoltori. La formula è semplice. Lineare: meno profitto e più prevenzione. Va bene anche tanto profitto e altrettanta prevenzione. Per esempio, sarebbe sufficiente evitare concentramenti di industrie inquinanti in un fazzoletto. Non cedere alle sirene delle compensazioni ambientali. Evitare di santificare la liberalità delle Fondazioni di società quotate in borsa. Fare politica. Decidere di decidere.
Il problema è lampante, la soluzione pasticciata.
Un deputato europeo incassa una retribuzione netta mensile di 7.676,06 nette. Poi altri 4.778 euro al mese per le spese generali legate alle attività parlamentari. Fanno circa 13 mila euro al mese se rimane a casa. Va aggiunta un’indennità forfettaria di 338 euro a copertura delle spese di alloggio per ogni giorno in cui è presente a Bruxelles o a Strasburgo. Se lavora dieci giorni sono altri 3380 euro. Sui treni e aerei viaggia gratis, rispettivamente in prima classe e in business class, ma deve presentare il biglietto per il rimborso. Dispone di uffici attrezzati sia a Bruxelles che a Strasburgo. Può utilizzare le autovetture ufficiali del Parlamento per la propria attività quando si trova in una di queste due città. Gli è concesso spendere 28.412 euro al mese per l’assunzione degli assistenti personali da lui stesso scelti.
Tanta roba e c’è dell’altro. Completare la lista è pleonastico. Non aggiungerebbe nulla di significativo al quadro.
Salini svolge il suo lavoro di europarlamentare con diligenza e impegno. Si merita quanto gli compete per legge. Dopo avere frequentato lo spazio intergalattico in qualità di relatore del programma spaziale europeo, in questo periodo si dedica all’automotive. Il 19 ottobre ha partecipato a un convegno su questo argomento alla Vhit di Offanengo e organizzato dal Circolo delle imprese (Cremonasera 21 ottobre).
Ultimamente ha presentato due interrogazioni strategiche per la nostra provincia. Una (20 luglio) con motivazioni maccartiste per impedire al rum di Cuba di fregiarsi del marchio indicazione geografica (Vittorianozanolli.it, 8 ottobre). L’altra (26 ottobre), un pippone per sostenere che la modifica del nome della festa di Natale è una cazzata.
Gli gioverebbe volare leggermente più in basso. Dimenticare per un attimo industriali e agricoltori e interessarsi dei problemi quotidiani. Dei pendolari, della medicina di base. Del contenimento delle polveri sottili, senza modificare la morfologia della pianura padana. Senza l’irritante memento della chiusura delle aziende. Ma la classe non è acqua. Non si compera al supermercato. L’oratoria fluente, il linguaggio appropriato, il look discreto e adeguato al contesto non la garantiscono. Bene la forma. La sostanza è preferibile.
Antonio Grassi
3 risposte
Antonio il Nostro Zorro……
Bravissimo
Bene, anzi benissimo. Ma bisogna andare oltre gli articoli pur lodevoli, bisogna andare tra le gente a fare sapere, dati alla mano, che “Non c’è più tempo!”. In soli tre anni l’aumento delle temperature è passato da + 1,2° C del 2020 a + 1,32° C di quest’anno, ovvero +10%. Questo potrebbe voler dire che quel fatidico + 1,5° C ipotizzato per il 2050 alla storica CoP 21 di Parigi del 2015, potrebbe essere raggiunto entro il 2030, 20 anni prima. Un segnale che potrebbe essere devastante perché significherebbe che non possiamo più sperare nel controllo del fenomeno.
A fronte di ciò la scellerata sottovalutazione della politica nostrana, benché si scontri, a dispetto degli allarmi lanciati dalla comunità scientifica, con un governo che pericolosamente sostiene: https://www.youtube.com/watch?v=aRnrikrMkiU (36 secondi), oppure https://www.youtube.com/watch?v=Y8Hg85j8EVY (2 minuti).
Difficile non essere d’accordo con l’autorevole pensiero, in cui mi riconosco totalmente, di Telmo Pievani in una sua fedele fotografia del rapporto della politica italiana con le inquietanti manifestazioni di un habitat umano in fase di decomposizione https://www.youtube.com/watch?v=IGQYx5Tmzhw (solo tre minuti). Con un’aggravante: benché datata, essa sembra tratteggiare ancora lucidamente l’attuale irresponsabile miopia delle nostre forze politiche.