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‘La biblioteca vivente’, i racconti di chi vive in carcere

23 Gennaio 2024

Sabato 20 gennaio il primo incontro del progetto per l’inclusione attiva promosso da Comune di Cremona, Asst Cremona, Cooperativa di Bessimo per “aprire” il carcere alla città e creare un ponte tra le persone.

Essere un “libro Aperto” non è semplice. Soprattutto quando chi sceglie di raccontarsi si trova in carcere. Così è stato per i partecipanti alla “biblioteca vivente”, che sabato 20 gennaio 2024 ha accolto una trentina di visitatori nella palestra della Casa Circondariale di Cremona. Accompagnati dagli operatori della struttura e del Servizio Dipendenze dell’Asst di Cremona, dieci detenuti hanno risposto alle domande di un pubblico selezionato, composto da cittadini, studenti degli istituti superiori e del Corso d’Infermieristica, rappresentanti del terzo settore e del mondo imprenditoriale. L’obiettivo è duplice: abbattere lo stigma sociale nei confronti di chi sta scontando una pena, e al contempo offrire loro l’opportunità di riflettere sulla propria esperienza e sul percorso da intraprendere una volta fuori dal carcere. È un modo per creare un ponte con l’esterno, tra chi vive il pregiudizio e chi lo esprime.

Avviata nel marzo 2023, l’iniziativa rientra nel progetto Re-Start 4.0 (finanziato da Regione Lombardia con fondi POR FSE) per “l’inclusione attiva delle persone sottoposte a provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria”. È promossa dal Comune di Cremona (ente capofila) con il coordinamento operativo della cooperativa Nazareth e realizzata in collaborazione con l’Asst di Cremona e la Cooperativa di Bessimo. Gli studenti dell’Istituto tecnico J.Torriani di Cremona hanno documentato le varie fasi del progetto per promuovere l’iniziativa. L’evento di oggi è il primo momento aperto al pubblico, ma non sarà l’ultimo: l’obiettivo è aprire la partecipazione a tutte le persone interessate.

LA BIBLIOTECA VIVENTE

L’idea nasce nel 2000 in Danimarca, in risposta ad un violento episodio di razzismo subìto da un gruppo di giovani, che rispondono organizzando un evento per abbattere i pregiudizi e favorire il dialogo. Il modello si è sviluppato in diversi contesti, tra cui il carcere, dove i detenuti diventano protagonisti della propria storia. Come “libri viventi”, raccontano il percorso che li ha condotti alla criminalità, l’esperienza del carcere, le fragilità e le riflessioni maturate nel tempo. Il pubblico può interagire con loro, fare domande, affrontare lo stigma che spesso segna chi sconta una pena di detenzione.

«Ringrazio tutta la rete dei partenariato per il lavoro quotidiano con la Casa Circondariale nell’ambito del progetto RE-START, e per questa iniziativa in particolare ASST Cremona e Cooperativa Bessimo», afferma Rosita Viola, assessore alle Politiche Sociali e Fragilità del Comune di Cremona. «Una esperienza umana ed emotiva molto forte sia per chi racconta, sia per chi ascolta. Dopo la “lettura” le parole vanno conservate e meditate. Mi auguro che tanti cittadini possano partecipare e “leggere” e incontrare».

 INCONTRARSI, CONOSCERSI, RACCONTARSI

«Iniziative come questa aiutano chi vive la reclusione a riflettere sulla propria storia e sul proprio futuro», spiega Leone Lisè, educatore del SerD dell’Asst di Cremona (diretto da Roberto Poli), che ha seguito il progetto con la collega Francesca Salucci (referente per la Cooperativa di Bessimo) e gli operatori dell’area riabilitativa della Casa circondariale. «In carcere si tende spesso a parlare del reato, della pena, degli anni da scontare, ma occorre scavare più a fondo per far emergere la storia delle persone. Immaginare un finale diverso non è scontato, così come capire quali opportunità si possono aprire per loro».

Aprirsi alla città è un aspetto fondamentale per accorciare le distanze e mettere in discussione i preconcetti. «La biblioteca vivente non è un evento fine a sé stesso – prosegue Lisè – ma un punto di partenza. Ci piacerebbe creare un’opportunità costante di dialogo e confronto, costruire connessioni con il territorio e progetti da sviluppare oltre le mura del carcere, per rendere migliore la città in cui viviamo».

«IMPARIAMO A GUARDARCI DENTRO»

«Per nove mesi, la solitudine è stata la mia unica amica», racconta Logan. «A volte resta in testa solo una strada, la più tragica. Le notizie arrivano in modi inaspettati e tu non sei in grado di risolvere niente, sei solo», aggiunge Ardit. «A volte ci sono dei dolori che non ascoltiamo – afferma Alberto – eppure ero arrivato ad un passo dal cambiare davvero. Ma non è sempre vero che dagli errori si impara».

Per i detenuti, partecipare al progetto è stato il modo per «guardarsi dentro», condividere la propria storia e confrontarsi sulle difficoltà che li accomunano. Raccontandosi agli altri, hanno imparato a riconoscere la rabbia, il dolore, la frustrazione, a guardare la vita da punti di vista differenti, ad ascoltare gli altri per leggere meglio il proprio vissuto, con maggiore consapevolezza sulle scelte passate e future. A seconda di come si usa il tempo della reclusione, si può uscire peggiori e migliori. È una scelta, su cui questo percorso può aiutare.

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