La bolla

8 Dicembre 2023

Per lei la danza è tutto. Quando balla si sente la regina del vento: libera. Studia in una importante accademia di Milano. Cinque ore di prove ogni pomeriggio. Al mattino lavora in un bar, per permettersi il lusso di fare ciò che ama di più al mondo. Per lei ballare è come respirare. Non ha ancora partecipato a delle audizioni, vuole concludere il suo percorso. Vuole essere forte. Vuole capire sé stessa. Alla sera tre volte a settimana continua a frequentare la scuola di danza che ha rivelato il suo precoce talento quando era ancora bambina. Qui non solo balla, recita e canta, pure. Lei, Giulia, non ha ancora deciso se il suo futuro sarà sulle punte, nei classici, dove regnano rigore ed eleganza, oppure se dedicarsi ad una danza più spettacolare e muscolare, che la diverte e appaga. Chissà. Intanto è molto eccitata perché in Accademia stanno preparando per la Vigilia di Natale “Flashdance”. Un compromesso fra le sue ambizioni che la sta coinvolgendo moltissimo. Per un’Accademia di Danza Classica è una scelta molto ardita, una sperimentazione avventurosa, una virata pop che deve la sua genesi ad un giovane maestro appassionato di anni 80. Fare sulle punte Maniac o What a feeling non è facilissimo. Tutta la storia di Alex Owens sulle punte è una sfida. Quasi un’eresia. E’ richiesto un mix fra moderna, classica e breakdance. Giulia, con i suoi riccioli neri e il fisico minuto, ma forgiato dalla danza, ha la parte che fu di Jennifer Beals nel film, diretto da Adrian Lyne. La storia è nota: Alex lavora come saldatrice, ma sogna di diventare una ballerina professionista, alla sera lavora in un locale notturno, coltivando il sogno di entrare nell’Accademia di Danza di Pittsburgh. Giulia con le sue deliziose lentiggini balla anche con gli occhi. Sente nell’intimo la storia, che sente assomigliare un po’ alla sua. Lei vuole fare la ballerina. Ad ogni costo. Tutto rievoca la sua vita. Una vita non priva di problemi. Non sopporta le metropolitane, la folla, il contatto fisico. Solo sul palco riesce a dimenticare le sue fobie. Intreccia il suo corpo con quello dei suoi colleghi senza fatica, quando invece è su un mezzo pubblico soffre: afferrare un corrimano che altri prima hanno toccato le causa fastidio, i corpi di altre persone che sfiorano o toccano il suo la mandano in crisi. 

Ne ha parlato con uno psicologo, si sente socio fobica, detesta essere toccata da persone sconosciute o persone che presumono di conoscerla. Lo psicologo le ha spiegato che con garbo deve far capire al suo interlocutore che non le piace questa vicinanza. Le ha spiegato che noi siamo immersi in una bolla: si chiama sfera prossemica, e facciamo entrare solo chi desideriamo. Trovarsi al bar abbracciata improvvisamente ad un vecchio semi sconosciuto che cerca di baciarla, seppure amichevolmente sulle guance, non le va. Per capire come difendersi sta studiando il linguaggio non verbale

Lo psicologo l’ha aiutata a trovare un paio di manuali divulgativi. Sta imparando che il non verbale comprende quattro sotto ambienti. La prossemica disegna una sfera ideale intorno a noi: è il territorio in cui ci muoviamo. Si divide in 4 zone. La sfera intima: si crea a 40, 50 centimetri da noi ed è quella del contatto fisico. La sfera personale va da 40, 50 cm da noi fino a 1 metro e 20, un metro e mezzo. Si realizza immaginando due braccia tese: in questa sfera facciamo entrare molti interlocutori. La sfera sociale va da un metro e mezzo a 3 metri e il contatto privilegiato è quello oculare. Non implica contatti come anche la sfera pubblica, che è oltre i 3 metri e mezzo ed è quella dei comizi, dell’aula magna di un’università, delle assemblee. Non c’è intimità. 

Attiene al non verbale anche la paralinguistica (tono della voce, intensità, ritmo, modulazione). Viene poi l’aptica che è il contatto con gli altri, ad esempio attraverso la stretta di mano (quanti tipi di strette di mano conoscete? Palmo basso, palmo alzato, mano verticale, che è poi quest’ultimo il più equilibrato). 

Infine, si parla di cinesica per definire la gestualità. Avete in mente quando si sventola la mano per dire ciao!

Ieri sera Giulia era molto stanca. Oltre a Flashdance, sta facendo le prove di Frozen per la vecchia scuola: ga la regina delle nevi. E’ tornata a casa alle 11 e si è preparata un riso in bianco, olio e formaggio. Non sente i sapori. Ha un piccolo nodulo nella parte mediana del lobo temporale, per pigrizia non lo hai mai voluto levare. Di fatto l’esperienza con il cibo, che è piacere e godimento, per lei è solo sostegno. Mangia per sopravvivere. La mattina dopo si è alzata alle 6 per prendere servizio alle 7 al bar. Era stanca. Non era pronta per il bagno di folla. Non ne aveva voglia, Avrebbe ballato sui tetti del Duomo. Libera come l’aria. Ma doveva andare al lavoro. Caffè di ogni sorta, cappuccini, cacao e senza, latte caldo freddo, moccaccini e orzo tazza grande, tazza piccola, macchiato freddo, macchiato caldo. Un delirio.

A Giulia dà fastidio anche l’interlocutore che le parla ad un centimetro dalla faccia. Magari toccandola. Si sente un caso patologico. Stamattina, stava facendo la chiusura della cassa del bar a fine turno, alle 13,45. Era assorta nei suoi pensieri quando è entrato un avventore. L’ha salutata con fervore e le si è avvicinato per baciarla ed abbracciarla. Lei ha subito l’agguato e, dopo una breve pausa di riflessione, gli ha detto: “Noi viviamo all’interno di una sfera. Ognuno ha la propria. In Italia, ma anche in altri Paesi europei si ottiene allungando un braccio e appoggiandolo sulla spalla dell’interlocutore si crea così una distanza di tollerabilità sociale. Non tutti i popoli hanno la stessa distanza prossemica. I popoli nordici sono avvezzi a distanze più lunghe. Ognuno di noi fa entrare in questa confortevole bolla, che per noi si realizza creando una sfera intorno con il braccio teso, solo chi decide di far entrare. Non tutti entrano nella bolla. Si chiama intimità ed è preziosa. Signor Giuseppe, la prossima volta per entrare nella mia bolla, mi deve chiedere il permesso”. Si è sentita a disagio, non sa neanche dove ha trovato le parole. 

Il Signor Giuseppe, che è un tipo gioviale e spiritoso, si è allontanato di un metro e facendo finta di accarezzare la sfera immaginaria intorno a lei ha detto: “Va bene”.

Giulia si è messa a ridere. Insieme hanno riso. 

Il Signor Giuseppe ha saputo sdrammatizzare la sua piccola follia. Chissà se è guarita. Ha destrutturato il suo mondo pieno di paure, senza gusto per la vita. Una risata sa essere terapeutica. Ma c’è di più. Giulia sul palco è una, nessuna, centomila. Ha interpretato con la maschera del personaggio mille ruoli: ha animato persino la Picciola Fiammiferaia in un musical strappalacrime lo scorso Natale. Lei si trasforma, su un palco diventa altro. Nella vita è costretta ad essere persona, senza ombrelli, una creatura unica, delicata e sensibile in balìa degli eventi. Eventi che non può controllare, perché non hanno un copione. E più la danza diventa totalizzante più si allontana la persona. Il distacco dalla gente estranea al suo mondo diventa un abisso. Ha telefonato d’impeto al suo psicologo: “Voglio imparare ad amare le persone, che con slancio sincero mi vogliono abbracciare. Io non voglio recitare nella vita, ma la vita è in fondo teatro. Questo ho capito. Se voglio imparare a danzare sotto la pioggia, devo anzitutto continuare a ballare, sempre. In fondo, ora mi è chiaro: sono nata per questo”.

 

Francesca Codazzi

2 risposte

  1. Cara Francesca, come sempre sai esternare i sentimenti dei protagonisti nei racconti con sensibilità ed empatia. Quando tu parli di loro ti cali nelle situazioni con molti particolari, come se li vivessi personalmente.
    Quanta tenerezza suscita la ballerina!
    Il finale è sicuramente invitante, a ben sperare nella soluzione positiva delle difficoltà.
    Grazie per avermi condiviso il tuo racconto.

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