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Difficile emersione dall’apartheid in cui da sempre sono condannate le donne

19 Gennaio 2024

In data 17 gennaio sul blog Zanolli si legge, col titolo “Le donne di una volta che rifiutavano l’assimilazione agli uomini “, un articolo che attraverso un excursus di alti riferimenti letterari e mitologici arriva a denunciare quanto segue “Oggi molte donne pensano che scimmiottare il maschio sia il modo giusto di imboccare la strada verso la parità “, dove ‘scimmiottare’ è certo maldetto, ingeneroso e svilente se connota i faticosi tentativi di emersione dall’apartheid cui da sempre è condannato il genere femminile che condivide, questo è certo, la stessa identica umanità col genere maschile, cioè gli stessi bisogni, desideri, paure, le stesse fragilità e lo stesso destino e, dunque, perchè non gli stessi diritti oltre ai doveri ?

Al dotto estensore dell’articolo, Giuseppe Pigoli. rispondo che fino a quando non ci libereremo dalle sovrastrutture
culturali che a partire dal biblico “maschio e femmina li creò” hanno tracciato due percorsi inderogabilmente separati e divergenti, uno destinato al controllo del mondo e l’altro a popolare il mondo e ad accudire l’umanità, ci saranno sempre donne che “scimmiotteranno il maschio”. E solo quando il maschio vorrà rinunciare alla totalizzante missione di controllare il mondo per accollarsi doverosamente i lavori di cura che consentono a lui di vivere e che, più in generale, sono funzionali a mantenere popolato il mondo e ad accudire i viventi, e questo nell’esatta misura del 50% che gli compete, le donne, affrancate dall’eslusiva degli oneri di cura, potranno affacciarsi al mondo in una corsa (non dico gara) alla pari. Fino ad allora (e siamo lontani) ci saranno “donne che scimmiottano il maschio” nel tentativo di ‘saltare
sull’altra rotaia, quella che è loro di fatto negata e che ha come direzione e meta il mondo, che è di tutti, uomini e donne.

Chi si stupisce e non capisce né accetta che le donne “scimmiottino il maschio” dovrebbe porsi una domanda: quanto oggi, ieri, negli ultimi dieci anni, in tutta la mia vita mi sono accollato quel lavoro di cura che mi compete per il 50%, lavoro – assicuro – faticosissimo ma indispensabile per la sopravvivenza di ogni essere umano di qualunque età e in particolare di certe età, che richiede presenza fisica e impegno di gestione spesso h24 nonché responsabilità non prive di risvolti penali (difetto di cura)?

La risposta rende plausibile o meno lo stupore di cui sopra.

Io, donna, che non mi stupisco del fatto che “le donne scimmiottino il maschio” e che cerco con fatica di conquistarmi quel posto nel mondo che mi spetta in nome della complessa e fragile condizione umana che condivido col genere maschile, oggi come ogni giorno della mia vita ho atteso a quel lavoro di cura nella misura del 50% che mi compete e, per supplenza, del restante 50% che non mi compete.

Rispondere a parole ma soprattutto con gli stili di vita alla domanda che ho posto servirebbe a sfoltire (cito l’estensore) “la selva di ipocrisie che separa le donne dal mondo maschile”.

Da quanto tempo tante donne (e le più accorte) chiedono senza risposta la liberazione dall’onere esclusivo dal lavoro di cura che le confina nel “mondo di sotto” in cui è facile desiderare di “scimmiottare” chi sta nel “mondo di sopra”?

Sono certo più prosaica ma anche più concreta del dotto estensore dell’articolo perché la vita è tempo-dipendente, fatta di ore e giorni e con quelle ore e quei giorni ti giochi il tuo destino nel mondo. Quante ore e giorni, al netto del lavoro di cura, restano alle donne che non hanno meno degli uomini diritto e dovere di stare nel “mondo di sopra” per offrire il loro contributo e lasciare un segno del loro passaggio sulla terra?

Sforzo inutile fissare quote rosa se poi le ore e i giorni delle donne sono schiacciati dal lavoro di cura di cui a loro si riserva, arbitrariamente e col placet dell’universo mondo, l’esclusiva. Sta qui “l’ipocrisia che separa le donne dal mondo maschile”. Non altrove. Ed è una questione di potere. Li chiamiamo ‘ruoli’ ma sono gabbie che ingessano l’umanità in stereotipi che soffocano le individualità in schemi di genere. Così impachettati e incasellati siamo più governabili e mano-vrabili. Ben vengano allora i ‘salti di binario’ che qualcuno chiama al ribasso “scimmiottamenti”.

 

Rosella Vacchelli

8 risposte

  1. Molto interessante il dibattito sull’argomento. I punti di vista sono diversi e proprio per questo stimolano il confronto e la riflessione.A mio parere questo è uno dei compiti di un blog. Per quanto mi riguarda, ribadisco che ho l’impressione che spesso le donne siano partite alla conquista dei diritti da prospettive marginali, dagli aspetti peggiori del comportamento maschile (scimmiottamento) invece di esprimere il loro effettivo valore su aspetti fondamentali e importanti. D’altra parte il mondo maschile non è disponibile a rinunciare a evidenti vantaggi e ad assolvere a compiti che tradizionalmente sono a carico delle donne, soprattutto in famiglia. Subito dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin la discussione sul ” patriarcato” aveva raggiunto un interesse generale sull’onda dell’emotività e della grande partecipazione. I femminicidi non si sono fermati e sembra che qualche ora di Educazione a scuola sia tutto ciò a cui si è arrivati. Ma la scuola non basta, il percorso sarà lunghissimo se si vorrà procedere, e la famiglia è la maggior responsabile di ogni tipo di educazione. Inoltre i maschi di casa devono andare avanti, e insegnare ai figli ( maschi e femmine) con l’esempio quotidiano e non solo con qualche raro comportamento. Non basta cambiare il pannolino ai piccoli…

  2. Fin dalla più tenera età la futura Monaca di Monza riceveva in dono bambole vestite da suora allo scopo di indirizzarla, o meglio obbligarla, alla famosa ” virtù del libero ubbidire”. Quando sento certe esaltazioni dell’ “innata vocazione femminile” a sacrificarsi per l’ altrui bene non ho dubbi: duro ammonimento sui reciproci destini di ruolo travestito da galante apprezzamento. E dunque..

  3. Mah! Ironia a parte ( il dotto estensore…) – che dovrebbe essere esclusa da un sano confronto- mi sembra che la signora Vacchelli abbia preferito soffermarsi sul verbo “scimmiottare “, dimenticando il resto dello scritto. Molto semplicemente con quel termine tanto irritante intendevo sottolineare l’inefficacia dell’azione implicita nel termine stesso. Chi abbia letto alcuni miei articoli precedenti ( le donne medico, le donne della Scuola Salernitana, gli scritti della Arendt) credo riconosca un mio deciso auspicio in un profondo cambiamento nel ruolo delle donne che reputo depositarie di preziose prerogative su cui dovremmo investire. Per queste ragioni non condivido il concetto espresso da Vacchelli “ben vengano i salti di binario che qualcuno chiama al ribasso scimmiottamenti”. Saltare i binari o scimmiottare equivale a screditarsi.

    1. Ciao Beppe. Quindi tu pensi che l’emancipazione femminile con faticosi salti di binario corrisponda a una forma di screditamento per la donna?

  4. Ciao Fernando, fatico ad essere compreso; non sono i faticosi salti di binario in sé, ma come e perché si fanno a conferire una valenza positiva o negativa all’azione.

  5. Quelli che ho chiamato salti di binario sono solo i faticosi logoranti tentativi che le donne sono costrette a fare per uscire dal silenzio e dalle chiuse stanze cui sono state da sempre costrette e non è affatto un problema superato. Quello che forse non sono riuscita a far capire è che l’umanità dovrebbe avere un solo binario percorribile da uomini e donne ciascuno secondo i propri tempi e il proprio senso della vita. Perché questo sia possibile però occorre una vera rivoluzione che non è solo di mentalità ma soprattutto di comportamenti e ripropongo la domanda che ho fatto e che riguarda la gestione degli oneri di cura che vanno condivisi. Questo In nome del fatto che c’è in questo mondo una sola umanità che si esprime nelle mille diverse forme di ciascuna individualità . Le cosiddette'”prerogative femminili” e sull’altro fronte quelle maschili sono sovrastrutture culturali, categorie astratte che imprigionano le individualità e tolgono autenticità e libertà alla vita di ciascun individuo. Quanto poi al fatto di aver scelto di rivolgermi a G. Pigoli che non conosco con la formula del ‘dotto estensore’ assicuro di averla scelta per rispetto e in ossequio alla sua dotta trattazione e senza alcuna intenzione di ironia come penso si evinca chiaramente dall’insieme della mia lettera. L’ironia alleggerisce e toglie valore e peso all’argomento. La mia risposta è sostanziata di esperienza di vita e di bilanci carichi di gratuita e ingiusta fatica.

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