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La Fiat 1300 di famiglia

2 Dicembre 2022

Verso la fine degli anni ’50 si incominciavano a notare, dove la città offriva spazi angusti come nelle piazzette o nei portoni, coppie di adolescenti avvinghiati in un abbraccio scambiarsi baci appassionati, in pieno giorno incuranti di essere sotto gli occhi dei passanti. Vedendo quei giovani che non riuscivano a frenare le prime pulsioni amorose, la gente, immersa nel perbenismo, scuoteva il capo scandalizzata mentre non di rado si alzava la voce di qualche vecchio bigotto che farfugliava parole incomprensibili, ma dal tono si intuiva che esprimevano un profondo dissenso. Il fenomeno era circoscritto alla spregiudicatezza di alcuni studenti, che, in una piccola città come Cremona, diventavano visi abituali, al punto che la gente finiva per riconoscere. Questi innamorati incontinenti si notavano ogni giorno mano nella mano o abbracciati in un continuo andirivieni lungo le vie centrali o nei vialetti dei Giardini Pubblici, tradizionale luogo di incontri. La “cotta” per la compagna di scuola colpiva con crescente intensità, ma proporzionata al grado di corresponsione che la ragazza manifestava. Il primo bacio scatenava una prorompente passione, che da quel momento diventava per entrambi l’unica ragione di vita. Basta con lo studio, con gli amici e con il divertimento comune: contava solamente l’incontro, a fine pomeriggio, con l’innamorata.

Stefano S., che frequentava il quarto anno del Liceo Scientifico e impersonava l’ideale di bellezza maschile di moda negli anni ’50, colpito dalla freccia di Cupido, aveva preso una sbandata per una studentessa dello stesso Istituto, più giovane di lui di un anno. Caterina L. aveva grandi occhi verdi che tendevano all’azzurrino, labbra dal giusto rilievo, gambe da lodare e tutto il resto da elogiare. Attratta dal bel giovane, si lasciò andare. Tutti i giorni, alla stessa ora, passeggiavano in via Palestro scambiandosi tenerezze, baci appassionati e lunghi abbracci, incuranti dei salaci commenti della gente. Passarono giorni e mesi, l’intesa tra i due proseguiva felicemente, anche se la richiesta, che lo
studente avanzava da tempo di ottenere sul piano affettivo qualcosa in più del semplice bacio, veniva inesorabilmente respinta. All’epoca, nella mentalità delle ragazze veniva inculcato l’ideale della verginità come condizione indispensabile per trovare marito. E Stefano aveva capito che i no che riceveva non erano determinati da scarso interesse, ma dalla volontà di arrivare vergine al fatidico sì. Un po’ alla volta anche le famiglie si erano arrese e permettevano che i due si incontrassero anche di sera, per andare al cinema o a ballare, ma con il rientro a
casa alle 23 tassativamente imposto dal padre della ragazza. A Stefano era stato concesso, il sabato sera, di usare l’auto di famiglia, una Fiat 1300 color carta da zucchero, dotata degli schienali ribaltabili, che però non venivano usati per la decisa opposizione della ragazza. I genitori, tuttavia, non concessero che, arrivate le vacanza estive, andassero al mare insieme, neppure in compagnia di alcune compagne di scuola.

Ai primi di agosto avvenne la dolorosa separazione. Caterina seguì la famiglia al mare a Jesolo mentre Stefano, lontano dall’amata per la prima volta dopo tanti mesi, preferì restarsene a Cremona. Scrivimi, l’aveva implorata e lei rispose che ogni giorno gli avrebbe spedito almeno una cartolina. Così avvenne per una decina di giorni. Poi la cassetta della posta appesa al cancello di casa restò vuota. Stefano trascorse alcuni giorni in congetture e ipotesi dal momento che non aveva alcuna possibilità di verificare la ragione del silenzio dell’amata poiché, non conoscendo il nome dell’hotel, non poteva risalire al numero di telefono. Decise di partire per Jesolo con la macchina di famiglia, sicuro di trovare Caterina, avesse anche dovuto chiedere di lei in ogni albergo della località balneare. Ottenuto il permesso dal genitore, alle prime luci dell’alba del 17 agosto, fatto il pieno di carburante, ebbe inizio il suo lungo viaggio verso il mare, che sarebbe durato cinque o sei ore. All’epoca l’autostrada A4 non era stata costruita e il dover rallentare, attraversando le località lungo il percorso, Piadena, Mantova, Legnago, Cerea, Padova, Venezia, allungava i tempi di percorrenza rispetto a oggi. Finalmente giunto a Jesolo, iniziò la ricerca della fidanzata. Incominciò col chiedere alla reception del primo albergo se vi alloggiasse una famiglia di Cremona, padre, madre e una ragazza. “No, non abbiamo ospiti cremonesi”: la risposta veniva replicata in continuazione di albergo in albergo, mentre cresceva l’angoscia che lo accompagnava da giorni. Decise di riposarsi e sedette al tavolino di uno dei tanti bar all’aperto che si affacciano sul lungomare. Gli restavano alcuni hotel per completare la ricerca dell’amata, tuttavia preferì mangiare un panino e bere una birra. Una sosta in cui raccogliere le idee era necessaria, dopo ore al volante e tanto tempo speso a inseguire un volto che sembrava scomparso. Gli sembrava di vivere l’incubo di un brutto sogno, ma poi prevaleva l’ottimismo. E le lettere che non erano più arrivate? Si autoconvinceva che si fosse trattato di un errore nella lettura dell’indirizzo da parte di qualche nuovo impiegato addetto allo smistamento della corrispondenza oppure del postino, ma lei, la sua Caterina, il suo unico grande amore, come avrebbe potuto non farsi più viva?

Non era possibile, si ripeteva. Quando il suo sguardo fu attirato da una coppia, seduta in disparte, avvinta in un interminabile bacio. Trasalì: era Caterina abbracciata al batterista di un gruppo che si esibiva sulla terrazza del bar, ogni sera, fino a tardi.

 

Sperangelo Bandera

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