Per dimostragli quanto fosse atteso, i parrocchiani di un paesino della provincia di Cremona avevano in animo di regalare al nuovo parroco, nel giorno del suo insediamento nella loro comunità, un’automobile usata. Il prezzo richiesto, però, decisamente elevato per le loro tasche, li aveva costretti a rinunciare all’idea, quando un agiato possidente, vedovo, senza figli e per tradizione di famiglia fervente cattolico, venutone a conoscenza, si disse disposto a regalare al nuovo parroco la sua Fiat 500 C di colore blu.
Era il mese di ottobre del 1958 quando i preparativi per accogliere il nuovo pastore di anime ebbero inizio. Ai muri dell’edificio delle scuole elementari, che sorgeva nella piazza di fronte alla chiesa, e alle porte delle povere case dei contadini vennero affissi piccoli manifesti rettangolari gialli, verdi e rossi con la scritta “W Il Nostro Pastore”. Predisposto dalle suore aiutate dalle pie donne del paese, il programma dei festeggiamenti, nel giorno tanto atteso, sarebbe culminato, dopo le rituali funzioni religiose, con una recita interpretata dai giovani e dalle ragazze di Azione Cattolica, da mettere in scena nel cortile dell’oratorio trasformato in un improvvisato teatrino. In prima fila, al centro il nuovo parroco, a sinistra le autorità politiche, cioè il sindaco e il vicesindaco con le rispettive consorti e a destra alcuni latifondisti del territorio di pertinenza della parrocchia, pure accompagnati dalle mogli. L’ultima sedia era, per sua scelta, stata riservata al donatore che, con grande generosità, stava per regalare al prete l’automobile. Quando il brusio diminuì fino a diventare silenzio assoluto, sfilata la tenda che la nascondeva, nello spazio a lato del palcoscenico, apparve la 500 C blu spinta da alcuni giovani con tale foga che riuscirono a fermarla solo quando quasi lambiva i piedi dell’incredulo sacerdote. L’effetto sorpresa venne raggiunto e, tra gli applausi, il parroco, un uomo affascinante che ricordava nell’aspetto lo Scia di Persia Reza Phalevi, commosso, rivolse ai presenti accorate parole di ringraziamento e di gratitudine.
Il giorno dopo, la vita della piccola comunità riprese secondo i ritmi lenti scanditi dal lavoro dei campi. Il parroco, che aveva preso possesso della casa parrocchiale con la sorella come perpetua, celebrava ogni giorno la Messa mattutina a cui partecipava un numero sempre maggiore di donne di ogni età, attratte dal fascino del sacerdote, nonostante la funzione incominciasse alle sette di mattina, un orario in cui nelle case si devono sbrigare varie faccende domestiche.
Dopo qualche tempo, qualcuno prese a notare la macchina blu guidata dal parroco sfrecciare lungo le strade comunali sollevando una gran scia di polvere sia di mattina sia di pomeriggio. Ci si chiedeva dove fosse diretto il prevosto e perché tanto spesso abbandonasse la parrocchia, dove sarebbe stata indispensabile la sua presenza o per somministrare un’estrema unzione o per prendere accordi su una cerimonia nuziale o su un battesimo. Il mistero si infittiva, anche se qualche voce incominciava a circolare. L’auto del prete veniva notata spesso in sosta davanti alla stessa casa, in una località non lontana dal paese. Qualche altro parrocchiano l’aveva vista nel cortile di un’azienda agricola e vi fu chi riconobbe il sacerdote osservando una grande fotografia in cornice appesa alla parete del rifugio del passo Gavia, non lontano da Ponte di Legno.
La moglie dell’idraulico del paese, in gita con il marito sulla montagna bresciana, si era accorta che in quell’immagine di gruppo c’era il suo prete. Il riconoscimento non era stato immediato in quanto il religioso indossava, invece dell’abito talare, un elegante “principe di Galles” con camicia bianca e cravatta. Sorpresa e meraviglia aumentarono osservando meglio il gruppo degli escursionisti in posa accanto al prete. Persone sconosciute, tranne una. Si trattava della maestra che abitava nella casa davanti alla quale era stata spesso notata la 500 C blu. Il teatro preferito, tuttavia, per le divagazioni non solo automobilistiche del nuovo parroco, era la pianura nei dintorni di Cremona.
Il proprietario di una vecchia casa padronale aveva preso a invitare il sacerdote, dapprima per seguire le partite di calcio teletrasmesse, poi anche dopo cena per vedere gli spettacoli di varietà o i teleromanzi. Veniva fatto accomodare su una vecchia poltrona, a contatto con quella della moglie del facoltoso agricoltore, una signora dalle forme attraenti e dalle occhiate intriganti. Qualche sfioramento del corpo apparentemente casuale e la stretta di mano del commiato prolungata più del necessario diedero al prete il coraggio di osare. Nonostante il rischio di essere scoperto dal marito, in poltrona a pochi centimetri di distanza, durante le serate davanti alla televisione, incominciò a lasciar scivolare la mano giù dal bracciolo, favorito dal buio che veniva fatto nella stanza per vedere meglio le immagini in bianco e nero. A poco a poco, invito dopo invito, quella mano conquistò preziosi centimetri fino a posarsi sull’anca della signora, una parte del corpo che il marito, dal suo punto di osservazione, non poteva vedere. Una sera di fine inverno, al calduccio della stanza dopo aver trascorso ore al freddo dei campi, il marito socchiuse gli occhi. Il pastore di anime non si lasciò sfuggire l’occasione di occuparsi anche del corpo della signora.
Da quella sera non venne più invitato. Qualche tempo dopo il vescovo ricevette una delegazione di parrocchiani tra cui il ricco latifondista. Non trascorse un mese e il nuovo parroco venne trasferito, tra lo sbigottimento dei parrocchiani, in una sperduta parrocchia di sole 80 anime. Quasi tutte persone anziane.
Sperangelo Bandera