Parlava del suo amore lontano come di un rosso fiore che sboccia al celeste cielo di maggio. La primavera del 1973 era di fatto un’estate precoce e faceva ricordare ai più vecchi quel maggio di tanti anni prima ancora più caldo. Elio, studente del terzo anno della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia, si dava da fare con una compagna di corso per trovare non soltanto una donna con cui uscire, ma un’amica vera, che era anche disposto a trasformare in fidanzata. Non desiderava soltanto chi potesse fargli porre fine alla noia di tante serate trascorse da solo passeggiando lungo la centrale Strada Nuova o seduto davanti alla televisione, ma avvertiva la necessità di aprire un capitolo importante della sua vita, pensando al futuro con il desiderio di mettere su casa.
Lei abitava a Brescia, che raggiungeva il venerdì lasciando l’appartamento di viale Golgi che divideva con due amiche. Si erano conosciuti durante una lezione di geografia, essendo capitati vicini di banco nell’aula al primo piano della sede centrale dell’Università, nell’atmosfera rumorosa prima della lezione. Le era stato dato il nome di Marina, ma fin dai primi passi era diventata Marinella: alta, un corpo da atleta e un viso dal pallore mortale in cui brillavano gli occhi verdi, la fronte nascosta da una frangetta di capelli neri.
Dopo tanti scambi di parole durante la lezione del professor Pracchi, aveva accettato l’invito a visitare, a bordo della Citroen 2CV, alcune chiese medievali nei dintorni di Pavia. Gli incontri divennero frequenti e l’attrazione che esercitava su di lui era sempre più forte. Erano le linee del corpo, caratterizzate da rilievi e da avvallamenti che lo attiravano, sempre cercati e mai trovati prima, a infondergli entusiasmo. La rotondità delle cosce che si saldava armoniosamente con la parte retrostante offriva un insegnamento intuitivo della geometria.
Una sera di quel maggio afoso lo invitò a casa, lasciata libera dalle compagne. Ebbe subito inizio la fase, che caratterizza l’inizio di ogni corteggiamento, delle confidenze, delle confessioni, della scoperta degli stessi interessi, degli hobby e del sentire in perfetta armonia. Lei rivelò di essere fidanzata con un medico di Brescia, grande appassionato di sci e, a conferma, glielo indicò nella foto racchiusa in una cornice d’argento collocata di traverso sul comodino, in cui era impegnato in una folle discesa lungo una ripida e bianca distesa delle Dolomiti. Era talmente ripetitivo l’elogio del fidanzato che Elio si sorprese di essere stanco di stare a sentire che, oltre a fare il medico a Brescia, per lei era il migliore degli uomini. Il desiderio però gli faceva sopportare i pregi e le qualità del fidanzato, dal momento che continuava a sperare di ottenere qualcosa. Gli encomi parlavano chiaro: era innamorata di quell’altro. Dopo essere stato alcune ore in ascolto, deluso e amareggiato Elio stava per abbandonare l’impresa, demoralizzato dall’atteggiamento di lei che inequivocabilmente significava “con me non c’è nulla da fare”. Ma lo studente, che veniva da Piacenza, città nota per la scaltrezza degli abitanti, si ricordò di un passo che l’aveva colpito, quando in terza liceo aveva affrontato, tra gli autori latini da portare all’esame di maturità, Ovidio e la sua “Arte di Amare”.
Ricordava che il poeta di Sulmona, il quale nella dedica dichiarava che lo scopo era quello di insegnare ai giovani come conquistare le ragazze, affermava che negli affari d’amore “la donna molto spesso dice il contrario di ciò che desidera”. Anche di fronte all’evidente attaccamento di Marinella al medico di Brescia, Elio, come tutti gli uomini in situazioni analoghe, insisteva nell’illusione che succedesse ciò che desiderava: un rapporto erotico che suggellasse la conquista. Restavano poche ore, la notte era quasi passata, e decise di tentare, rassegnato a ricevere un no. Mise in mostra una studiata sensibilità, tirò in ballo la romantica luna, le alte stelle, un idilliaco sentiero di campo e poi, come se dentro gli fosse risuonata la carica, tentò di baciarla. “Vis grata puellis”, aveva pensato ricordando un altro consiglio di Ovidio, il quale sosteneva che l’uomo deve compiere il primo passo usando quella leggera forza che è gradita alle fanciulle.
Fu di tutti il bacio più amaro, lei non dischiuse neppure le labbra, che poi avrebbe voluto non avere mai dato. Ma insistendo ancora più piano, elogiando la sua bellezza e dichiarandole il suo amore, riuscì a poco a poco, con carezze e rapita espressione, a toglierle fino all’ultimo indumento.
“Quello che avvenne è sogno lontano” raccontava agli amici del bar Binotti. Aggiungendo che quella sera si era avverato un sogno, disturbato soltanto dal rumore dell’autobus e dalla foto spavalda in cornice, mentre ricordava che quegli occhi verdi, col crescere del piacere, diventavano ancora più belli. Alla fine lei accese la luce per fumare una sigaretta. Tenendogli stretta la mano, parlava, parlava, del suo amore lontano.
Sperangelo Bandera