Ada Ferrari propone l’istituzione di una «Giornata del silenzio» (Vittorianozanolli.it, 19 settembre) e invita i giovani «a riscoprirne il fascino, le preziose capacità riparatrici e forse ispiratrici di comportamenti collettivi improntati a più decorosa postura».
L’idea è interessante e coraggiosa. Viene difficile immaginare le potenzialità e il risultato pratico che potrebbe ottenere un’iniziativa di questo tipo.
Agli applausi, difficilmente seguirebbe un cambiamento nello stile di vita dei cittadini. Ancor meno in quello dei politici e degli amministratori comunali. Passato il santo, passata la festa.
Per un giorno migliorerebbe l’esistenza dei cremonesi, momento di gaudio per coloro che aspirano al quieto vivere e legittimamente detestano ogni minima rottura di palle. E poi? Il Mar Rosso si richiuderebbe senza avere scalfito né l’attuale modello di società, né lo stile di vita dei cremonesi. Neppure un graffio. Neanche una punta di spillo. Qualche articolo sui media locali, senza escludere alcuni commenti ironici.
Lusso per fortunati e restii a condividerlo, il silenzio rimarrebbe un privilegio per pochi anche dopo le ventiquattro ore ad esso dedicate.
«L’Altro va bene nella misura in cui la sua presenza non è intrusiva, nella misura in cui l’Altro non è veramente Altro» (Slavoj Zizek, Distanza di sicurezza, Manifesto libri, 2005, pagina 82).
Una giornata di silenzio rientrerebbe nei gesti simbolici. Velleitari. Nelle mozioni contro la guerra nel Vietnam discusse e approvate nel neolitico in consiglio comunale. Negli spiccioli per accattoni. Nelle aspirine per la polmonite.
Lodevole testimonianza di visionari destinati alla sconfitta, non prevede la santificazione postuma per i martiri.
È vero, come sottolinea Ada Ferrari, che «il primario problema è riconciliare Cremona con se stessa e i cremonesi con la propria città, trattenendo in tempo quanti stanno coltivando propositi di fuga in un altrove migliore».
È altrettanto vero che con una giornata di silenzio non si avvia il processo di concordia e d’interruzione dell’esodo. È solletico. Acqua corrente su una pietra.
Cremona, oltre alle molte cose belle che possiede ed esibisce con giusto orgoglio è anche la morta gora e il laissez faire. È il non disturbate il guidatore e il tutto va bene madama la marchesa. È l’omeostasi più omeostasi.
Cremona è l’inceneritore e il referendum tradito. È il biometano e il nuovo ospedale. È l’autostrada Cremona-Mantova e il Masterplan. È la cessione di Lgh ad A2a, convinta di avere siglato l’affare della vita. È la Walk of fame delle vacche, orgogliosa di essere fichissima, invece è ridicola.
Cremona è l’invio in Procura di una dirigente pubblica per presunte irregolarità risultate poi inesistenti. È l’offerta di onorarla con una medaglia al valore per togliersi dalle scarpe la merda calpestata. È la quasi indifferenza nell’incassare il sacrosanto rifiuto del riconoscimento da parte della vittima dell’oltraggio.
Cremona è credersi la più bella del reame e porre resistenza all’Area omogena cremasca. È l’inchino ai potenti e lo slurp alle associazioni di categoria. È il proprio ombelico e la disgregazione del territorio.
Cremona è un’enciclopedia di altre cazzate.
La giornata di silenzio non modifica questa realtà. L’urlo è più efficace. Il grido necessario. La visibilità mediatica, irrinunciabile. Il rumore assordante, un obbligo. Gli squilli di tromba, un must.
Non per un giorno. Ma per dieci, cento, mille.
Per ottenere concordia e frenare spinte centrifughe servirebbero l’asfissiante verifica e la costante segnalazione di errori, manchevolezze, contradizioni dello status quo. In che modo?
Con la marcatura a uomo dei decisori e il monitoraggio al loro fortino. Con l’assenza di pregiudizi e compromessi. Con la determinazione e la capacità di interloquire e dialogare con il postiglione della diligenza senza il ricorso a barricate, scontri, prevaricazioni. Senza clangore di spade. Con l’aggregazione del dissenso. Con i comitati.
Conciliazione e interruzione dell’esodo arriveranno, se politici e pubblici amministratori non rimarranno in silenzio dopo la lettura dell’articolo pubblicato il 21 settembre da The Guardian. Un lungo e dettagliato pezzo sulla pessima qualità dell’aria in Pianura padana, in particolare all’ombra del Torrazzo, con un incipit da brivido. «Cremona residents say life becoming unbearable amid pollution from industry, cars and farm animal waste».
«I cremonesi affermano che la vita sta diventando insopportabile a causa dell’inquinamento provocato dall’industria, dalle automobili e dai rifiuti degli animali da allevamento».
Il Guardian non è il bollettino parrocchiale e, con tutto il rispetto che si merita, neppure il quotidiano storico locale. E uno dei più autorevoli giornali europei.
Tradotto e pubblicato integralmente da Vittorianzanolli.it e da Cremonasera, unici organi di informazione locale alternativi alla comunicazione di regime, l’articolo non merita l’oblio. Impone o smentite secche o impegni precisi. Pretende la prima fila, le luci della ribalta. Non l’ombra e la polvere del solaio. Non la censura.
Il giorno precedente, Matteo Piloni, consigliere regionale piddino aveva dichiarato: «Ci aspettiamo, una volta per tutte, parole chiare e definitive del presidente Fontana che, in merito a questo intervento, si era preso impegni precisi e che da tempo tace» (La Provincia, 20 settembre).
E questo intervento era l’autostrada Cremona-Mantova balzata al centro dell’attenzione per un incontro tra Regione e Comitato contrario alla realizzazione della nuova infrastruttura.
Concordia e interruzione dell’esodo si otterranno, quando Piloni e i suoi colleghi politici senza distinzione di colore, con lo stesso severo piglio utilizzato dal consigliere piddino nei confronti del presidente della Regione, costringeranno i partiti ad esprimersi in modo intellegibile e inequivocabile sull’inquinamento da polveri sottili. Sull’impianto di biogas in zona San Rocco-Bosco ex Parmigiano. Sul nuovo ospedale e la demolizione dell’attuale. Sulla medicina territoriale.
I cittadini si aspettano una volta per tutte – ben detto Piloni – delucidazioni sull’«ospedale dedicato principalmente alla cura di patologie gravi e all’esecuzione di procedure complesse».
Sui «trattamenti di routine e la cura preventiva distribuiti attraverso cliniche e hub di vicinato, connessi e diffusi sul territorio».
Sul domicilio del paziente che «si collocherà all’interno di questo ecosistema connesso grazie a dispositivi diagnostici intelligenti e collegati 24/7 con le centrali di controllo, mediante i quali i medici potranno monitorare lo stato di salute del paziente in tempo reale, anche presso la sua abitazione».
Sull’Intelligenza Artificiale che «sarà utilizzata per ottimizzare i processi e definire modelli di previsione per proteggere gli individui vulnerabili prima che essi debbano raggiungere l’ospedale».
Nel Documento di indirizzo della progettazione del nuovo ospedale non compaiono il mago Otelma e la lettura dei tarocchi.
Al loro posto un bouquet di ghiottonerie: giardino delle farfalle, apiario, banca dei semi, area per concerti e spettacoli, ciclofficina.
C’è anche la nap room, con la enne. Che roba è? Roba da ospedale del futuro. Elementare Watson. Da ottava meraviglia del mondo. Da ospedale per pazienti super selezionati. Gli altri, quelli un po’ meno selezionati ma bisognosi di ricovero, quelli previsti all’articolo 32 della Costituzione dove andranno? Ah saperlo.
Bravo Piloni, i cittadini aspettano parole chiare e definitive.
Ottima idea la giornata del silenzio. Sì, per stendere un velo pietoso sulla politica cittadina e territoriale. Una giornata per raccogliere e amplificare le urla del silenzio.
Antonio Grassi
4 risposte
La provocazione di Ada Ferrari, che si riferiva al rumore nel vero senso della parola che siamo costretti a sopportare, fornisce lo spunto per riflettere sul silenzio vero in cui è immersa Cremona. D’altra parte quando si fanno proclami si rischia di restare sepolti da parole senza senso. Vedi lo sproloquio di 179 pagine, vedi le rassicurazioni sulla realizzazione certa dell’autostrada da parte dell’onorevole Pizzetti, Deus ex machina dell’opera, salvatore della città…e così via.
Caro Grassi, se avesse resistito un poco più a lungo all’abituale bisogno di chiamata dei cremonesi alle armi, tutti in eskimo sessantottino e boia chi molla, avrebbe forse meglio colto il nesso logico che ho tentato di proporre fra silenzio ed esercizio del pensiero. L’impressione, fortunatamente non solo mia, è che la colpevole passività con cui si accetta il degrado che investe Cremona sia anche risultante di uno stordimento collettivo che genera disimpegno civico e ripiegamento individuale sul famoso ‘io speriamo che me la cavo’. Il sistema premia chi non pensa e dunque riprendere a pensare è la vitale premessa di ogni possibile rinascita civica e di ogni seria obiezione alle attuali logiche di sistema. Farei torto alla sua preparazione immaginandola all’oscuro di una gigantesca evidenza storica: le grandi rivoluzioni che hanno cambiato il corso della storia, prima di passare allo stadio armato hanno avuto incubazione lenta nello studio e nell’esercizio della riflessione. Credo che questo valga anche per la ben più modesta misura delle battaglie locali cui entrambi ci riferiamo. Non basta rispolverare un eskimo o urlare in corteo. Un vero confronto di idee prima di essere urlato dev’ essere pensato. A nient’altro il mio intervento aspirava se non a riproporre il nesso in ogni senso vitale fra esercizio del pensiero e recupero di piena capacità critica circa il mondo che abbiamo intorno. Chi di noi due è, a questo punto, il vero contestatore e rivoluzionario?
Bravissima, intervento molto bello… ☺ Purtroppo qui non è Facebook e non si può mettere il “like”…
La professoressa Ada Ferrari ha ben chiarito il suo pensiero sul silenzio, come momento di riflessione, di studio, di analisi, per poter poi fare proposte, ricercare soluzioni.
Ella mi perdonerà, se da inguaribile marxista, appartenente ad una specie in via di estinzione, ritenga che tra teoria e prassi ci debba essere una forte correlazione. Anche io amo il silenzio, che mi aiuta ad analizzare, contemplare, pensare, a questo cerco di fare seguire l’azione.
Non amo il silenzio mafioso, quello che permette ai criminali di agire, di fare i loro loschi affari. Non amo il silenzio di coloro che vedevano deportare le persone di religione ebraica e non facevano nulla per impedirlo, non amo il silenzio imposto dai governi europei sul sostegno alla guerra, inviando armi all’Ucraina, allungando l’elenco dei morti innocenti. Allora rivendico il diritto all’urlo, a gridare il mio no alla guerra, a gridare con Peppino Impastato che la mafia è una montagna di merda, grido contro i nazisti criminali e i loro sodali, anche in ampi settori della chiesa cattolica. Non è un urlo di disperazione, è l’urlo di chi non resta in silenzio, di coloro che ci mettono la faccia, assumendosi tutti i rischi del caso.