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I 60 anni della Metro fondamentale opera di emancipazione sociale

27 Ottobre 2024

Il 1° novembre 1964 alle 10,40, la linea 1, detta la  ‘rossa’, viene inaugurata dalle autorità e alle 17,03 di quello stesso giorno la prima metropolitana cittadina apre al pubblico, un tratto costituito da 21 stazioni, da Sesto Marelli a Lotto, per una lunghezza di 12,5 chilometri: 200mila persone proveranno l’ebbrezza di un viaggio nel solo giorno dell’inaugurazione. E proprio per realizzare questa opera nasce con il nome di Metropolitana Milanese Spa una società che ancora oggi è leader mondiale nella realizzazione di queste linee sotterranee di trasporti 

La linea 1 è di fatto la prima vera metropolitana italiana: vero è che la così detta “linea B” della Metropolitana di Roma data 1955, ma si trattava di una piccola tratta legata a una esposizione fieristica che fu chiusa per scarso utilizzo. La seconda linea capitolina prenderà avvio proprio nel 1964 ma sarà pronta anni dopo a causa di una lunga serie di ritardi.

Milano dunque porta l’Italia del boom nella modernità con quasi 100 anni di ritardo rispetto a Londra, prima città al mondo a dotarsi della metro.

Ma la M1 ha un senso profondamente diverso, che merita di essere ricordato. Siamo in quella straordinaria Milano socialdemocratica che dalla Liberazione fino agli anni 70 costruisce un modello di welfare comunale che non ha precedenti. È il Comune a realizzare servizi pubblici inimmaginabili fino a pochi anni prima: non ci sono come oggi soggetti privati che erogano servizi pubblici, anzi non ci sono proprio i servizi. Il disastro della guerra ha fatto tabula rasa e tutto va ricostruito, non solo le città ma i servizi essenziali come i trasporti, la sanità, la pulizia delle strade. Questa mastodontica operazione di ricostruzione a Milano è gestita direttamente dal Comune e dalle sue società come ATM, MM, AEM, AMSA, sigle oramai storiche ognuna delle quali gestisce servizi essenziali per la popolazione.

Ma la prima metropolitana ha un significato in più: è una fondamentale opera di emancipazione sociale. Serve  a cavare gli operai del loro esilio fangoso in un hinterland fatto solo di fabbriche e piccoli paesetti senza fognature, senza strade asfaltate, senza riscaldamento e senza servizi igienici. Un sottomondo fatto solo di coltri nebbiose e aliénanti turni in fabbrica, di biciclette spinte a fatica nella nebbia e nel fango perché l’auto è ancora per molti un miraggio.

Ecco che allora quella straordinaria linea di trasporto si trasforma in un miracolo sociale: in mezz’ora dagli estremi limiti della città famiglie intere possono godere estasiati delle meraviglie del centro storico e della strabordante ricchezza dei negozi moderni del boom: scarpe, vestiti, elettrodomestici di cui nemmeno si consoce l’esistenza sono finalmente a portata di mano e cambieranno presto la loro vita. Se non ci credete riguardatevi film come la Classe operaia va in paradiso, il Sindacalista o Bruciati da cocente passione e vedrete se non era proprio così.

E siccome la socialdemocrazia meneghina era cosa seria, la realizzazione di questo strumento di emancipazione viene affidato a grandi designer e architetti come Franco Albini o Bob Noorda che definiscono la grafica delle stazioni, i disegni delle gomme dei pavimenti e perfino il design dei corrimano delle scale, in uno straordinario capolavoro di immaginazione collettiva e di responsabilità collettiva.

La Metro rossa è il coronamento atteso di trent’anni di attese e progettazioni immaginifiche: i nostri archivi conservano moltissima documentaziobe degli anni 30, tutta dedicata alla realizzazione della metropolitana con copiose relazioni dedicate alle metro di Londra e New York. Perfino Giovanni D’Anzi nella sua arcinota canzone Milàn l’è un gran Milàn del 1934 parla proprio della metropolitana e con rammarico della sua mancata realizzazione. 

A tutto questo è dedicata la mostra “Dal progetto alla città: 1964-2024 60 anni di M1” che sarà inaugurata giovedì 31 ottobre e sarà visitabile fino a fine anno alla Centrale dell’Acqua, il museo di MM, in piazza Diocleziano 5 a Milano.

 

Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di archivistica all’Università degli studi di Milano

 

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