La ricerca della vita vera con Gianluca Gotto

3 Settembre 2025

È possibile trovare la bellezza nel dolore, passando anche dalla lezione buddista, fra sofferenza e guarigione di corpo, spirito e mente, con un percorso durissimo per ritrovare un senso ad una vita che sembrava irrimediabilmente fratturata? Gianluca Gotto ci riesce nel suo ultimo romanzo “Verrà l’alba, starai bene”, Mondadori editore. Primo in classifica nelle vendite.

Dopo un prologo che sprofonda il lettore in una dolcezza infinita, in un ordine cosmico perfetto, che ci illude essere la cifra della narrazione, la prima parte del romanzo conduce in una spirale di disagio, descritta magistralmente, Veronica la protagonista è isolata in un sabotaggio autodistruttivo, che appare irrimediabile, intriso di bugie, false apparenze di successo e continue ricadute da drammi mai realmente affrontati. Dal rapporto con il cibo al corpo, alla severità e rigidità con se stessa, in uno stacanovismo feroce, nel lavoro, negli allenamenti, tutto è patologico. La fuga dall’Italia a Melbourne non è risolutiva. Vivere di lavoro e allenamenti non basta. Quando alla sera si chiude la porta di casa i fantasmi che scansa per non pensare riaffiorano: sono psicosomatici, reali, inquinano tutto il suo essere. L’autore descrive il dolore mentale e fisico con grande abilità. Il suo personaggio femminile risulta quasi odioso, soprattutto per l’apparato di menzogne che la tengono in piedi, ma prevale la compassione, davvero non sa amarsi, non sa perdonarsi, è una creatura rotta. La seconda parte apre uno squarcio di umanità inaspettato. Cambia il paesaggio. Siamo in Sri Lanka. Con colori, suoni e rumori inediti, in cui la spiritualità buddista che permea tutta la realtà si insinua con gentilezza, vincendo le resistenze e il cuore indurito della trentenne. Dopo un inizio convulso, quasi in apnea, l’incontro con la delicata ed eterea Camilla scombinerà i piani maniacali di Veronica, costringendola ad aprirsi. Sarà un percorso lungo, dovrà ricucire poco alla volta il suo io spezzato: dovrà attraversare “la lunga notte dell’anima” per arrivare a vedere l’alba e, dunque, a stare bene.

Gotto scrive in modo scorrevole, si prende tutte le parole che servono, l’opera conta 715 pagine, in barba agli scagnozzi dell’editing che chiedono sempre di asciugare, lui spiega, il suo approccio è divulgativo, vuole farsi capire, ha l’urgenza di rendere agile e fruibile quel segreto che rende la vita meravigliosa, non senza coinvolgere il lettore attivamente. C’è in lui una generosità ammirevole, quasi ingenua, del bambino che vuole condividere la sua caramella. Ha scoperto che è dolce e non la vuole tenere solo per sé. Credo che il successo universale di questo autore torinese che ama l’Oriente dipenda da questo.

Gli snob, i detrattori, se ne trovano a dozzine, soprattutto nei forum di discussione dedicati ai libri, lo definiscono un romanziere da aeroporto. Il libro è ben distribuito, occupa gli scaffali ad altezza occhi di librerie e supermercati. È ovunque. Quindi, sarebbe commerciale? C’è da chiedersi se quegli pseudo intellettuali sarebbero in grado di cucire, in modo organico e chiuso, l’architettura di un testo complesso come questo.

Gotto è davvero bravo e poi ha una missione furba: far star bene le persone, mettendo in condivisione un’epifania che non è mai banale, senza pesantezze saggistiche, con altruismo e umiltà. È lavorando a testa bassa, così, come artigiani dell’anima e della parola, che si arriva primi in classifica, anche di vendita. A riprova che c’è un bisogno di spiritualità diffuso. Gotto sa arrivare a tutti. E non è una colpa.

 

Francesca Codazzi

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