Abbiamo visto come storie e protagonisti della Rivoluzione del 1796 siano stati sostanzialmente dimenticati. Nessuna intitolazione di via o piazza (neppure via Manini è dedicata al rivoluzionario Lorenzo, come ben spiega Gianfranco Taglietti, il massimo esperto di toponomastica cremonese). Nessuna cerimonia rievocativa. Pochissimi studi. Anzi, quando vien meno l’oblio vi è la condanna, determinata essenzialmente dalla subalternità dei protagonisti ai francesi e dal ruolo oppressivo e predatorio di questi ultimi. Cerchiamo allora di elaborare una valutazione storica più obiettiva.
Tanto per cominciare, gli ideali alle fondamenta della Rivoluzione francese erano diffusi a Cremona ben prima dell’arrivo in città dei soldati di Napoleone Bonaparte, il 12 maggio 1796. L’ Illuminismo che, in varie forme ed attraverso molte mediazioni, è all’origine di buona parte dei cambiamenti culturali che portarono alla Rivoluzione (o almeno la favorirono), aveva solide radici in città. L’Illuminismo italiano, occorre dire, si sviluppò in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. L’arretratezza economica, l’immobilismo delle Istituzioni, l’assenza di una borghesia forte, la pesante atmosfera controriformistica, il prevalere di una cultura umanistica ed erudita, poco attenta alle scienze ed alle novità filosofiche (l’unica eccezione è costituita da quel grande pensatore che fu Giovan Battista Vico), produssero per lungo tempo una situazione di stallo sociale ed intellettuale. Già nella prima metà del XVIII secolo, però, cominciarono anche in Italia ad essere tradotte importanti opere francesi ed inglesi. L’Illuminismo italiano venne ad assumere una sua fisionomia con la rivista “Il Caffè” e le opere dei fratelli Pietro ed Alessandro Verri e di Cesare Beccaria a Milano, di Ludovico Antonio Muratori, Pietro Giannone e Ferdinando Galiani a Napoli, e tanti altri “minori” impegnati nelle grandi città ed in tutto il Paese a ricoprire incarichi pubblici o ad affrontare questioni giuridiche o sociali. Meno radicale di quello francese, meno incisivo di quello inglese, meno speculativo e più empiristico di quello tedesco, l’Illuminismo italiano penetrò, non così superficialmente come di solito si crede, nella cultura e nella società italiane. Non sarebbe spiegabile la Rivoluzione italiana del 1796-1799 ed il successivo periodo napoleonico senza tener conto della rilevanza di questo movimento e del parallelo formarsi di una classe borghese-amministrativa, di funzionari e professionisti desiderosi di prendere in mano le sorti del Paese.
Il protagonista più importante dell’Illuminismo cremonese fu il nobile Giambattista Biffi (1736-1807), studioso di Voltaire e Rousseau, amico di Verri e Beccaria, che però, non più giovanissimo ed apatico da sempre, si schierò nel 1796 e negli anni successivi contro i rivoluzionari. Anni prima, comunque, Biffi ed altri intellettuali cremonesi, tra cui il tipografo e libraio Lorenzo Manini, il marchese Giuseppe Soresina Vidoni, il giurista Ambrogio Birago (futuro ministro della Guerra della Repubblica Cisalpina), avevano dato vita in Cremona ad una delle più antiche logge massoniche italiane, il cui ruolo fu importante nella formazione di un gruppo di convinti sostenitori delle idee rivoluzionarie, anche se Biffi ed i nobili si schierarono ben presto contro i “giacobini” e gli “invasori” francesi. La loggia si trasformò (o più probabilmente dette vita, proseguendo una sua esistenza clandestina) in “Circolo Costituzionale”, nel 1797, subito dopo l’occupazione francese, trovando sede nell’ex convento degli Agostiniani e promuovendo iniziative e conferenze pubbliche sugli argomenti più diversi di carattere culturale, economico e politico. Alla fine del 1798 il Circolo diede vita, per iniziativa soprattutto di Birago e di Vincenzo Lancetti, segretario generale al ministero della Guerra, alla “Società dei Raggi”, che aveva lo scopo dichiarato di “favorire l’indipendenza e l’unità nazionale”. “Indipendenza” ed “Unità nazionale”: siamo nel 1798! Mazzini e Garibaldi non erano ancora nati! Un intento patriottico, come dimostra anche il motto “l’Italia farà da se”, non limitato all’ azione di arruolamento di volontari nell’esercito napoleonico ma caratterizzato dalla propaganda di valori patriottici, quali l’indipendenza e l’unità italiane, non sempre (anzi quasi mai!) ben visti dalle autorità francesi. Furono proprio i “raggisti” a pagare il prezzo più alto in vite umane fra i volontari dell’esercito napoleonico e, con il ritorno degli austriaci, a pagare con l’esilio e le persecuzioni la fedeltà agli ideali rivoluzionari e patriottici. Basterebbe questo per onorare almeno con l’intitolazione di una via ed una rievocazione questi eroici cremonesi anticipatori dei valori unitari!
Ma facciamo un passo indietro. L’entrata dei francesi a Cremona avvenne, come dicevamo, la sera del 12 maggio 1796, quando una colonna di cavalleria, comandata dal generale Beaumont, occupò la città per conto di Bonaparte. La mattina stessa, i circa 30.000 soldati austriaci (dicono le cronache: a me sembrano un po’ tanti, ma quando si tratta di numeri degli eserciti del passato, l’imprecisione regna sovrana!), comandati dal generale Beaulieu, accampatisi alle porte di Cremona per un’ultima difesa, saputo che i francesi avevano conquistato la fortezza di Pizzighettone, si erano ritirati verso Mantova. Il 14 luglio 1796, anniversario della presa della Bastiglia, con un discreto afflusso popolare venne piantato in città il primo albero della Libertà. Per dieci mesi, sino al due febbraio 1797, Cremona fu il quartier generale di Napoleone, impegnato nell’assedio di Mantova. Più tardi, Cremona divenne stabilmente il quartier generale dei francesi, ma in condizioni diverse, di maggior sicurezza e spirito di collaborazione. Quei dieci mesi, invece, furono di vera e propria occupazione militare, in un momento difficile della guerra. Alcune chiese (come quella, splendida, di S. Agostino) vennero trasformate in caserme, le requisizioni per cause belliche di beni mobili ed immobili di proprietà di nobili o di chiese furono notevoli, le imposizioni fiscali sui benestanti ma anche sul popolo assai elevate. Colpì molto l’immaginario popolare il silenzio imposto, per tutta la durata delle operazioni militari, alle campane delle chiese. Dopo dieci mesi, però, alla notizia della caduta di Mantova in mani francesi, tutte le campane della città vennero fatte suonare all’unisono. Cominciò così il ventennio (diciotto anni, per la precisione, con una interruzione di un anno circa) di predominio francese a Cremona, che all’inizio si tradusse nelle rivoluzionarie istituzioni repubblicane e poi in quelle più conservatrici del Regno, nell’ambito dell’Impero napoleonico.
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