La sanità sta cambiando. Parallelamente alla revisione dei modelli organizzativi prevista dal PNRR (che peraltro non prevede modifiche al personale sanitario) stiamo assistendo ad un incremento aggressivo dell’offerta di prestazioni in ambito privato in grado di ‘condizionare la domanda, di determinarla e di orientarla verso servizi e prestazioni più remunerative per gli erogatori, non necessariamente quelle più necessarie e utili ai pazienti, con rilevanti problemi di appropriatezza ed efficacia delle cure’. Il crescere prepotente dalla ‘sanità integrativa’, qualcosa che assomiglia alle vecchie mutue ma in un’ottica di ulteriori ricavi a favore delle compagnie assicurative, è un ulteriore elemento di riflessione e di analisi. La digitalizzazione di parte dell’assistenza sanitaria (telemedicina) viene infine teorizzata come la scelta migliore per ripensare l’intera organizzazione della sanità, pur in assenza di evidenze chiare e con il rischio di ulteriore frammentazione delle sanità locali e regionali. In questo contesto e nella più completa assenza di analisi, di progettazione, di coinvolgimento dei territori, l’unica risposta per la sanità cremonese sembra essere quella edilizia. Ne prendiamo atto molto, molto malvolentieri.
Ancora non sappiamo se a Cremona si muoia o ci si ammali di più per tumore; si ignorano le conseguenze dall’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dei terreni; non si sa quante e quali persone si rivolgano ad altri ospedali e per quali patologie; non si comprende se e come sia stata risolta la carenza dei medici di medicina generale e di quelli che hanno lasciato l’ospedale; non si conosce lo stato della dotazione tecnologica; del termine ‘accoglienza’ si ignora il significato; sembra che le liste d’attesa vengano vissute come evento ineluttabile; la semplice prenotazione di una visita specialistica richiede procedure non alla portata di tutti; i sistemi gestionali/informatici della sanità pubblica non si parlano tra di loro…..fermiamoci pure qui, per dire che la sola costruzione di un nuovo edificio adibito a ricovero ospedaliero difficilmente sarà in grado di migliorare la situazione sopra descritta.
In un contesto dove molti miglioramenti sono possibili ed auspicabili, sembra proprio che i veri problemi non solo non vengano affrontati, ma neppure individuati dai vari responsabili della sanità pubblica (ATS, se ci sei batti un colpo). Nessuno che risponda al territorio. Anzi, nessuno che risponda di nulla. E’ allora comprensibile una certa diffidenza, nonostante l’attuale Direzione dell’ospedale rappresenti un notevole miglioramento rispetto a chi l’ha preceduta, nonostante alcuni (pochi) rappresentanti del territorio dimostrino di avere a cuore la sanità del territorio. Se è vero che stiamo raccogliendo i frutti avvelenati di precedenti gestioni dell’ospedale, forse sarebbe opportuno un momento di riflessione sulla situazione attuale.
Va da sé che non è costruendo uno stadio nuovo che la Cremonese andrà in serie A, semmai il contrario. Qualsiasi squadra (e l’ospedale è una squadra assai complessa) può diventare grande se investe nei giocatori, nello staff, nell’allenatore, nell’organizzazione, nella motivazione, nei risultati, nei rapporti con i tifosi. Se l’ospedale deve diventare una struttura di eccellenza, allora è verosimile che si debba investire anche sulla sua squadra con un chiaro programma di sviluppo, non solo sulla struttura edilizia. Se invece si vuole fare piccolo l’ospedale (oppure un piccolo ospedale), allora è tutt’altra storia.
Pietro Cavalli.
3 – continua
2 risposte
Bravo Pietro, molte voci si levano insieme a te, ma i vili affaristi non demordono. Pagheranno il conto alle elezioni.
Pietro hai ragione, non una ma cento volte. Ci siamo sempre trovati d’accordo quando col camice addosso si parlava dei problemi della sanità pubblica e del nostro ospedale. Da quei tempi non è cambiato nulla, anzi, è cambiato tutto in peggio. Il grosso cambiamento ha cominciato a rendersi visibile con l’avvento dell’anno 2000 quando l’ultimo direttore generale cremonese andò in pensione e quando l’ospedale è diventato azienda, i medici dirigenti e i pazienti clienti. E quando un certo tipo protervio di fare politica ha iniziato a prendere piede, quando la Regione ha iniziato ad avere maggiore influenza sui destini del nostro ospedale, quando oggi siamo stati gemellati, nostro malgrado, coi cugini mantovani che, sia detto, non ci vedono neanche col binocolo. È un processo incontrovertibile. Abbiamo perso potere contrattuale, se mai prima l’avessimo avuto. Lasciamo pure che facciano questo nuovo megagalattico ospedale perché tanto, scriviamo fiumi di parole ma non servirà a nulla. Le decisioni contro di noi e senza di noi sono già state prese: e non oggi, ma da almeno venti anni.