Uno stimato architetto di Cremona, ottenuta la laurea, avrebbe dovuto, su consiglio della moglie, incominciare a ideare progetti di case e a fare piantine in scala di strutture industriali, invece, si era dato all’insegnamento. Dopo pochi anni, sentito il richiamo di riga, squadra e tavolo da disegno, abbandonata la cattedra del Liceo Scientifico, era riuscito a metter su uno studio di architettura che aveva acquisito notorietà, per capacità e precisione, in tutta la Lombardia. Al successo aveva contribuito una sua ex studentessa, di Pontevico (Brescia), che, una volta laureata in architettura, aveva messo in luce l’attitudine a progettare caseggiati e a tracciare nuove strade. Aveva quella dose di sex appeal che, unita a un mix d’intelligenza, simpatia e spigliatezza, esercitava sull’architetto un’attrazione fatale. Per dissimulare la sua passione, lui non perdeva occasione per precisare che la ragazza era stata scelta esclusivamente per le sue doti professionali. E lo ripeteva ogni volta che, con il suo passo cadenzato, entrava a bere il caffè nel solito bar, dove nascevano insinuazioni e si avanzavano sospetti.
A riferirgli le chiacchere era la titolare dell’esercizio, Eugenia, una gentile signora originaria di Bergamo approdata a Cremona in seguito al matrimonio. Se lo poteva permettere perché considerava l’architetto, per l’ultra decennale frequentazione, quasi uno di famiglia. Lui respingeva ogni insinuazione con la sua voce stentorea, che copriva ogni altro brusio degli avventori, creando un’atmosfera che si librava sul filo dell’ironia e del sorriso.
Stando molte ore sul tecnigrafo a contatto di gomito con la bella praticante, era inevitabile che Cupido scagliasse altre frecce sulla ferita aperta. L’architetto, pur pervaso dalla passione amorosa, per un innato rispetto delle convenzioni sociali, manteneva le distanze, limitandosi a lodare apertamente le capacità della ragazza, che aveva promosso a sua assistente. E, come tale, lei lo accompagnava nei Comuni della Lombardia che avevano affidato al pregiato studio dell’architetto la stesura di nuovi piani regolatori.
Il programma di lavoro, in un pomeriggio di fine autunno, prevedeva un sopralluogo per individuare nuove superfici edificabili e proteggere le zone verdi dall’assalto dei costruttori, nel Comune di Seniga, situato nel parco regionale del fiume Oglio, in provincia di Brescia. L’architetto si mise al volante della sua Skoda Octavia con l’assistente e, siccome non era un gran guidatore, come confermava la carrozzeria dell’auto rigata in più punti per sfregamenti contro muri di città o intonaci di campagna, entrando in paese imboccò un senso vietato. “Architetto, stiamo andando contromano” disse allarmata. Risposta: “Perché mai quel guidatore che non conosco mi ha salutato?”. Si trattava, evidentemente, di un gesto tutt’altro che cordiale.
Durante la ricognizione lungo le fangose stradine di campagna che incorniciano l’abitato, strinse troppo una curva e la ruota posteriore si adagiò nella melma di un ruscelletto. L’auto si bloccò e non ci fu verso di farle riprendere il cammino. Intorno, l’imbrunire nel silenzio dei campi deserti. Venne operato qualche tentativo di far ripartire la macchina e l’assistente scese per aiutare con una spinta gli sforzi del motore, ma senza risultato. Non restava che sperare che qualcuno passasse.
In quell’atmosfera d’inquietante attesa e di totale solitudine, complice il buio che stava scendendo, nella mente dell’architetto incominciò ad affacciarsi l’intenzione tante volte pensata e mai realizzata di abbracciarla e di baciarla. Il resto sarebbe venuto come necessaria conseguenza. Il sole lanciava tra le cime dei pioppi i colori del suo congedo e il crepuscolo stava lentamente cancellando le ombre. “Nessuno passava, egli raccontò anni dopo a un amico, ed eravamo seduti vicini. Sentivo che quella era l’occasione giusta. Stavo per accarezzarle la mano, quando all’improvviso pom pom pom pom sbuca un vecchio trattore che trascinava un carro”. Il contadino fu costretto a fermarsi, la Skoda impantanata bloccava la stradina. Quel pom pom che ruppe il silenzio dei campi aveva posto fine a ogni tentativo amoroso dell’architetto. Lei scese per prima e, per allontanare anche il minimo sospetto, rivolta al trattorista; “Siamo qui per il piano regolatore…”. Il contadino maliziosamente: “Perché adesso si chiama piano regolatore?”.
Sperangelo Bandera