Pubblicità Progresso. Vi ricordate? E’ lo slogan che negli anni settanta faceva capo ad una serie di spot che avevano lo scopo di informare e sensibilizzare sui problemi di attualità. Solo a titolo d’esempio: la difesa del verde, il consumo di acqua, l’abbandono dei rifiuti. Problemi, oggi, più che mai attuali. L’attualità diventava spettacolo grazie alla pubblicità. Poi è arrivata Greta, la nota attivista svedese diventata famosa in tutto il mondo per le sue battaglie ambientali. Ci ha informato che il pianeta Terra sta morendo, un po’ per colpa nostra e un po’ per la disattenzione dei massimi vertici della politica internazionale verso i problemi del clima e del riscaldamento globale. Mi sono chiesto: ma se il pianeta sta morendo, e se non è pensabile fare marcia indietro arrestando il progresso tecnologico, cosa ci possiamo fare? Se i massimi vertici della politica internazionale ascoltano con sufficienza le lamentele di Greta e nulla fanno per cambiare il passo verso un futuro diverso, cosa ci resta da fare?
Allora ho chiesto aiuto a Wikipedia (nel bene e nel male) e ho letto che Greta, figlia di una cantante d’opera e di un noto attore in patria, non sarebbe la ragazzina ingenua e spontanea che un bel giorno è diventata per caso un fenomeno; si tratterebbe, invece, del frutto di un’abile operazione costruita dall’alta finanza mondiale che trarrebbe un importante profitto dalla sua opera di sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, come sostenuto da William Engdhal, un politologo statunitense, che sostiene (riporto sempre da Wikipedia) che proprio sul settore climatico si stia giocando una partita decisiva per i colossi industriali e finanziari. Per dare un’idea di quanto sia importante la posta in gioco, basti pensare al nuovo piano verde dell’Unione Europea che ha destinato circa cento miliardi per la riconversione economica per le aree più soggette ad inquinamento industriale e la destinazione in futuro di almeno un quarto di bilancio
comunitario in favore dei progetti green. Mi viene in mente quando, al letto del malato ormai sul punto di morte, arrivano tutti; arriva anche gente che il poveretto non vedeva da decenni interessata a portare a casa qualcosa …
Ma c’è anche chi contesta il riscaldamento globale come problema. A questo proposito, l’industria fossile ha finanziato scienziati, giornali, emittenti televisive e siti web per disinformare. Leggo ancora su Wikipedia che nel periodo 2016-2019 ‘le cinque maggiori aziende di gas e petrolio (ExxonMobil, Royal Dutch Shell, Chevron, British Petroleum e Total) hanno investito più di un miliardo di dollari per le campagne di disinformazione sul clima (studio finanziato da InfluenceMap, think tank indipendente che analizza il ruolo di imprese e finanza per influenzare le informazioni sulla crisi climatica). Dunque, fake news (profumatamente pagate).
Al di là di tutto, è un dato di fatto che il nostro pianeta stia lentamente morendo. E non è da oggi. Gli scienziati ci ricordano che 133 milioni di anni fa la terra si raffreddò in relazione ad un evento climatico conosciuto come ‘Evento Weissert‘, durato per ben 700.000 anni, e la cui causa pare sia da imputare ai livelli atmosferici di anidride carbonica secondari a intensi fenomeni di vulcanismo (Impact of global cooling on early cretaceous high pCO 2 world during the Weissert event, Cavalheiro L et al, Nature Communications, volume 12, articolo 5411, 2021). Dunque, principale indiziata l’anidride carbonica. I più recenti accordi sul clima richiedevano di contenere l’aumento della temperatura media del pianeta ben al di sotto della soglia di 2° C rispetto all’era preindustriale, in linea con le istanze dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change): pertanto, taglio del 45% delle emissioni di anidride carbonica da attuarsi entro il 2030 e il raggiungimento di zero emissioni nette verso la metà del secolo in corso. Per conto mio, ipotesi molto chimerica. Non bisogna infatti dimenticare che il carbone, i cui giacimenti sono progressivamente in esaurimento, viene ancora estratto da quei Paesi che sono al tempo stesso grandi consumatori di questo prodotto per la propria economia…
Come sarebbe la vita, la nostra giornata, la nostra economia senza il carbone, senza quella energia che abbiamo utilizzato fino ad oggi? C’è chi lamenta il rischio di tornare indietro di almeno due secoli (le candele per far luce, i cavalli per spostarsi) e il timore di non trovare le risorse sufficienti per creare una tecnologia al passo coi tempi: dover rinunciare, quindi, agli agi della nostra modernità. E allora che fare? Il decrescere di carbone fossile e lo scarseggiare di petrolio e gas naturale innescano la necessità di una transizione verso risorse di energia alternativa. Pare, però, che pannelli fotovoltaici, pale eoliche, impianti per lo sfruttamento dell’acqua del mare e il nucleare abbiano i loro pro e contro, che non siano rivoluzioni energetiche veramente green. La vera rivoluzione energetica starebbe nell’imparare a consumare meno e meglio. Possiamo dare la colpa alla globalizzazione che ha indotto un incremento del consumismo, e non solo energetico?
In Italia siamo in una fase di stallo. Secondo i dati Terna, nel 2019 in Italia la produzione delle fonti rinnovabili è stata pari a 112.893 GWh, in crescita dello 1,3 per cento rispetto all’anno precedente. Procediamo con lentezza e in ritardo rispetto ad altri Paesi in Europa e nel mondo. In controtendenza, i nostri spot pubblicitari ci mostrano un’Italia generosa verso la transizione ecologica: ‘più investiamo nel presente, prima raggiungiamo il futuro; usare l’innovazione per essere più liberi di crescere, anticipare i cambiamenti per costruire un domani più sostenibile, perché il futuro è la nostra destinazione’; ‘per creare il nostro pianeta c’è voluta energia, continuando su questa strada rischiamo di distruggere tutta la bellezza che ci circonda: siamo in pericolo, sappiamo che il tempo non si può fermare, ma noi non possiamo sprecarlo, e grazie alle energie pulite possiamo salvaguardare il benessere delle prossime generazioni’. Solo a titolo di esempio.
Cinquanta anni fa Pubblicità Progresso ci metteva in guardia dall’assumere una condotta che avrebbe portato le nostre città al degrado e il nostro pianeta verso la sua distruzione. Forse i tempi non erano ancora maturi per stimolare una coscienza civile, perché nessuno si sarebbe mai scandalizzato nel vedere le nostre città trasformarsi in porcilaie con tanto di disinteresse per la cura del verde. Forse cinquant’anni fa i problemi degli italiani erano diversi: quegli italiani erano i figli del boom economico e nuovi attori di una cultura orientata verso il consumismo. Se qualcuno li avesse interrogati per sapere cosa ne pensavano del riscaldamento globale avrebbero risposto: Riello! Giusto così, Greta non era ancora nata. Oggi, con un po’ di ritardo, il mercato della comunicazione ci restituisce un futuro green e un domani sostenibile. Tutto dovrà essere green. Gli spot pubblicitari ci invitano ad esserne convinti perché crederci è diventata un’esigenza: siamo ancora in tempo per fare qualcosa. La differenza sostanziale tra questo genere di messaggio pubblicitario e gli spot di Pubblicità Progresso – fondazione no-profit – si chiama speculazione. C’era da aspettarselo: di fronte al malato che tira le cuoia c’è sempre qualcuno che ne approfitta.
Per ora accontentiamoci di credere che sia davvero così: un futuro green e una generazione con una marcia in più. Perché se abbiamo qualcosa da imparare, lo si faccia presto.
Fernando Cirillo
Una risposta
Quando riusciremo a spostare l’asse terrestre di qualche decimo di grado sarà tutta un’altra cosa. Intanto manteniamo puliti nostri marciapiedi.
(acqua, aria, terreni). Interessante l’orizzonte temporale di 700.000 anni. Un bel programma delle Nazioni Unite?