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L’occhio pigro del mondo e il dramma dei migranti

15 Aprile 2021

‘Fuocoammare’ è il film di Gianfranco Rosi che racconta degli sbarchi a Lampedusa attraverso la storia di Samuele, un ragazzo che va a scuola e ama cacciare gli uccelli. Il giovane preferisce giocare sulla terraferma anche se tutto, intorno a lui, parla di mare e di quelle migliaia di migranti che cercano di attraversarlo per avere una vita migliore. Samuele ha tante paure e bisogno di capire. Grazie a lui e al suo occhio pigro, che necessita di rieducazione per vedere meglio, ci viene ricordato quanta poca vista l’Europa abbia nei confronti del fenomeno dell’immigrazione, di cui nei telegiornali sentiamo dare notizia: si parla di numeri, di morti, ma quasi mai di persone. Forse un po’ tutti possediamo quell’occhio pigro che dovremmo abituare a vedere al di là della nostra vita comoda e fortunata. Ci risulta difficile pensare al Mediterraneo, un tempo luogo di fiorenti di scambi commerciali, come ad un cimitero che oggi accoglie solo morte e pianto. Si dovrebbe far sì che torni ad essere luogo d’incontro e di pace fra i popoli. Il nostro pianeta è così grande che potrebbe ospitare tutti, ma i potenti della terra spesso chiudono i confini costruendo muri. Di questo film insieme ai miei ragazzi abbiamo discusso in classe preparandoci ad un incontro davvero importante.
Presso la scuola media Virgilio la mia seconda conduce, nel 2016, un‘intervista a due migranti ospiti della casa dell’accoglienza, accompagnati dall’allora responsabile don Antonio Pezzetti e dalla dottoressa Rossana Molaschi, dermatologa e medico di base, che offre a titolo gratuito la sua competenza professionale e la sua esperienza visitando quei ragazzi al loro arrivo in struttura e tutte le volte che ne hanno bisogno. Lei in Africa ci va di tanto in tanto per portare il suo aiuto ai bambini del Kenya. In seguito alle domande poste e alle risposte ricevute, i ragazzi hanno potuto conoscere meglio le esperienze di tutti i nostri ospiti e ascoltano curiosi e attoniti le storie dei due migranti. Yannick ha 19 anni, è in Italia da due anni e viene dalla Costa d’Avorio, dove abitava in un paese nel quale era considerato un porta sfortuna, perché nato podalico, ‘al contrario’ come dice lui. Verso i 12 anni il padre muore e in quella circostanza scopre che non era il suo genitore biologico. Poco tempo dopo, la madre si ammala gravemente ed è costretta sulla sedia a rotelle. Così all’età di 15 anni Yannick deve partire per il Burkina Faso, dove trova solo persone pronte a tradirlo. Dopo numerose vicissitudini rischiose e terribili giunge in Libia.
Vive un periodo di sfruttamento e torture, ma ottiene i soldi per imbarcarsi per l’Italia, dove deve affrontare lo smistamento dei migranti. Quindi, dopo il viaggio in mare, l’arrivo a Cremona alla Casa dell’accoglienza, il permesso di soggiorno, l’aiuto del don e l’apprezzamento per i ragazzi italiani che lui reputa così ‘strani e curiosi’.
Bawa ha 25 anni, proviene da un piccolo paese del Ghana, ha una storia particolare: quando abitava ancora nella sua città natale, suo padre era il re del villaggio e, alla sua morte, deve prenderne il posto sul trono a soli 18 anni. Sua madre è contraria, perché lo ritiene troppo pericoloso. Rimasto orfano con il cugino decide di raggiungere la Libia, dove, in seguito alla morte di Gheddafi, ogni uomo di colore, dopo aver vissuto l’inferno dei campi di detenzione, viene imbarcato per l’Italia.
L’occasione di ascoltare le storie di immigrati è stata unica e speciale, più efficace di qualunque mia lezione di insegnante. L’intervista si svolge nel più totale silenzio, qualche studente ha gli occhi sbarrati, si stringe le braccia intorno, quasi avverta il freddo della notte sul mare, l’odore pungente del carburante, il bruciore lancinante della benzina sotto il sedere. Quasi si riescono ad immaginare i volti senza nome delle migliaia di vite finite in fondo al Mediterraneo, a cui, come racconta bene Cristina Cattaneo nel suo libro ‘Naufraghi senza volto’, è doveroso cercare di dare un’identità. Almeno questo l’Occidente deve a quegli uomini e a quelle donne che ‘muoiono di speranza’.
Nell’aula si respira umidità e salsedine, le luci al neon e le sedie di legno non sono mai apparse tanto calde e comode. L’incontro si svolge in un clima di assoluta attenzione, di rispetto e di accoglienza. L’obiettivo è raggiunto: gli alunni apprendono attraverso l’ascolto che non bisogna essere superficiali quando si affrontano certi argomenti, perché dietro a ogni immigrato giunto in Italia c’è un mondo di paure, emozioni e sofferenze. Quei ragazzi dalla pelle nera hanno sopportato le notti più buie e i deserti più desolati, ma dentro hanno tutta la gamma dei colori della speranza e dei sogni, che nessuno ha il diritto di togliere loro. ‘La nostra vita è davvero privilegiata’ è il commento innocente ma non banale, forse ingenuo di molti dei miei alunni. A loro l’innocenza e l’identità, per fortuna, non le ha tolte nessuno.

Tutto da ascoltare l’album ‘Da questa parte del mare’ di Gianmaria Testa
link della canzone Una barca scura
youtube https://youtu.be/sEC-qQ8ZBzs

16 risposte

  1. Io ancora una volta devo dirti grazie, Ale! Le tue parole arrivano profonde al cuore. Si sente la vita, quella vera, che esce da ciò che scrivi.
    Ho avuto anch’io la “grazia” seppur per poco tempo, di offrire un piccolo contributo da volontario presso dei campi profughi di Ventimiglia. Ho spesso nella mente gli occhi di quei ragazzi, molti più giovani di me, così come mi ritornano parole e racconti che ho ascoltato. Anch’io, come i tuoi alunni, mi sono riscoperto molto fortunato perché dalla vita ho avuto molto e perché sono nato in questa parte del mondo. Portare queste esperienze nella scuola fa davvero onore a te e a chi, come te, continuamente si spende per questi progetti. I ragazzi devono conoscere le realtà del mondo nel quale vivono senza la mediazione di molti media che, spesso, fanno conoscere solo ciò che vogliono e offrono una lettura parziale.
    Grazie ancora per questo articolo e, spero sempre in futuro, di poter lavorare e collaborare con te!

    1. Caro Alessandro, hai ragione, sul ruolo dei media e dell’informazione faccio riflettere spesso i miei ragazzi, perché cerchino sempre di documentarsi attraverso fonti diverse, un’informazione plurima, un confronto, per poi poter formulare un pensiero autonomo, indipendente e libero.

  2. Come tanti argomenti “scottanti” che riguardano il nostro paese anche quello dell’immigrazione dal continente africano viene troppo spesso dimenticato, trattato con superficialità persino dalle nostre istituzioni. Anche per questo é importante parlarne a scuola, avere un contatto ravvicinato con chi certe esperienze le ha vissute sulla propria pelle, a cominciare già dalle secondarie di primo grado, per formare i cittadini di domani. Ancora una volta brava prof.

    1. Grazie davvero Mariagrazia, il valore dell’esperienza, del contatto diretto con la realtà è sempre alto, con i ragazzi forse ancora di più, perché aiuta a far arrivare i messaggi più importanti.

  3. Gentilissima professoressa Fiori, ho letto e riletto il suo articolo e mi viene da dire, insieme alle lacrime, che non c’è nulla da aggiungere, tutto da sottoscrivere. Io vado al mare in Liguria perché là c’è buona parte della mia famiglia e mi sento bene quando riesco ad andarci: il mare “profuma di famiglia” non di morte, non di tristezze infinite, di cattiverie che Persone come noi devono subire. Ho conosciuto anch’io tramite i miei cari storie incredibili di ragazzi e ragazze che son dovute fuggire. Quanta tristezza, quanta! Ma perché i nostri occhi sono e rimangono pigri e grigi? Perché non riusciamo a vedere nell’altro, qualsiasi altro, nostro fratello? Sono contenta che i suoi ragazzi abbiano ascoltato e sicuramente interiorizzato queste storie vere. Come dice il nostro amato papa Francesco (cito a memoria e chiedo scusa): “il nostro pianeta è così grande che potrebbe ospitare tutti”.
    Basta muri! Basta odio! Ma ponti di unione amorevole, solo così ci potremo salvare e andare davanti al nostro Creatore senza vergogna.
    Grazie prof e mi permetta: le voglio bene!

    1. Attilia, la ringrazio di cuore per la sua attestazione di stima e di affetto, quanto è vero ciò che ha scritto: per moltissimi di noi occidentali il mare sa di famiglia, di vacanze allegre, di formine colorate, di gelato in spiaggia e crema solare spalmata con premura dalla mamma. Un orrore che il mare per tanti bambini diventi una tomba nell’indifferenza generale quando non nell’odio di molti.

  4. Cara Alessandra, le tue parole arrivano sempre dirette al cuore. Ancora una volta sono qui a scriverti il mio grazie! Leggere questo contributo mi ha emozionato e commosso.
    Anni fa ebbi la “grazia” di prestare un piccolo servizio come volontario presso il centro profughi di Ventimiglia. Spesso ripenso a ciò che ho sentito. Spesso mi tornano in mente quegli sguardi che ho incontrato. Anch’io, ben più su d’età rispetto ai tuoi ragazzi, in quei momenti mi dicevo quanto fortunato ero stato, nella vita, avevo e ho avuto tutto!
    Grazie perché queste esperienze resteranno indelebili nella mente e nell’anima dei tuoi ragazzi.
    Grazie per come “fai scuola” e spero sempre in futuro di tornare a lavorare e collaborare con te!

    1. Grazie Alessandro, hai proprio ragione, per capire quel dramma bisogna provare ad ascoltare. Così i luoghi comuni lascerebbero spazio alla comprensione e alla solidarietà, parola chiave nel mio modo di fare scuola, come lo chiami tu, grazie.

  5. Grazie per ogni singola parole che rende giustizia a verità troppo spesso dimenticate o edulcorate.
    Onestà intellettuale esempio propositivo ed iniziativa.

  6. Un racconto che ancora una volta emoziona nel profondo, Ale, dell’ennesima esperienza altamente formativa per i tuoi e i nostri ragazzi, i futuri cittadini di tutti. Coinvolti in prima persona a constatare una realtà non edulcorata di cui prender atto per poter magari giungere in seguito ad intervenire fattivamente per migliorarla.
    Iniziative lodevoli sempre, grazie!!!

    1. Grazie Patrizia, speriamo davvero che i nostri ragazzi saranno domani cittadini migliori di noi, dagli occhi attenti e il cuore aperto all’altro.

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