La tragica fine di Tim ed Amie e l’utopia di convivere con i nostri predatori

12 Agosto 2024

Ai confini della realtà, potremmo definire la tremenda storia di vita e di morte di Tim ed Amie.  Non ricordavo il tempo che una vicenda umana mi avesse così tanto appassionato, da non riuscire a staccarmene, in particolare per la sensazione che ci fosse qualcosa di importante che mi stava sfuggendo, e che più mi sfuggiva, più mi attraeva. Dovevo approfondire.

Sven Haakanson , curatore del Kodiak Alutiiq Museum, confidò a Werner Herzog, il regista del documentario Grizzly Man (2005), che c’è un confine invisibile tra noi e gli orsi, e che le popolazioni indigene dell’Alaska, dove vive la più grande concentrazione di plantigradi del pianeta, avevano imparato a rispettare da almeno 7 mila anni. Sapevano infatti che, in caso contrario, sarebbero state chiamate “a pagarne il prezzo”. 

 Tim non l’aveva imparato, sebbene avesse sviluppato una grandissima conoscenza degli orsi, ampiamente documentata con la sua videocamera. Parimenti non l’ha imparato neppure chi ha realizzato il progetto Life Ursus, il cui scopo era ripopolare di orsi le Alpi trentine e, come prevedibile, ampiamente fallito, vuoi per i danni incalcolabili al bestiame, vuoi per l’uccisione del runner Andrea Papi e il ferimento di tante altre persone, vuoi per lo stato di allarme generalizzato per cui anche una passeggiata nel bosco dietro casa può suscitare forti timori, vuoi per l’abbattimento di diversi orsi, l’ultimo Kj1 il luglio scorso…

“La soppressione dell’orso non è la soluzione del problema” disse il ministro dell’ambiente Gilbero Pichetto Fratin, aggiungendo però che “oggi viviamo gli effetti di un errore del passato, dovuto ad un’incauta scelta di sfruttamento turistico dell’immagine dell’orso, compiuta in Trentino 25 anni fa”.

 Che fosse per motivi turistici, per un nostalgico animalismo o per mera cupidigia, di scelta molto incauta anzi sciagurata s’è trattato, quella di sradicare degli orsi da casa loro, i boschi della Slovenia, per trasferirli in territori molto più antropizzati, ove quel confine invisibile che per gli Aleutini era sacro e inviolabile, si riduceva pericolosamente.

Tim voleva diventare un orso, e già questo lo collocava fuori dalla realtà. Perciò aveva invaso il territorio dei Grizzly, altro grave errore, anche per proteggerli, ma di questo non ce n’era bisogno perché nel Parco Katmai gli orsi erano una popolazione stabile, poco soggetta al bracconaggio. Anzi, al contrario, li danneggiava perché abituandoli alla presenza umana, li mise nelle condizioni di non percepire più il pericolo che ne derivava, e mise se stesso nelle condizioni di abbassare sempre più le difese. Eppure Tim era ben consapevole dei rischi che correva. Infatti disse: “Questi orsi, se  mi mostrerò debole, mi decapiteranno, mi faranno in mille pezzi”. Ciononostante era convinto che questo non sarebbe mai accaduto, come se godesse un’immunità speciale, visto che si definì “il loro Signore”. Ospite ad un Late Show di David Letterman, il famoso conduttore gli chiese : “Finirà un giorno che leggeremo un articolo su di te mangiato da un orso?”.  No, rispose, perché se per lui era accettabile l’idea di morire per gli orsi, non lo era quella di essere squartato dalle loro zampe.

Eppure era un continuo violare le regole del Parco, finché  si giunse a quell’ottobre del 2003.

Di morte annunciata si parlò, ma le osservazioni di Herzog portarono a pensare a qualcosa di diverso, ad un colpo di scena che il regista non ebbe mai il coraggio di chiamare col suo nome vero o presunto, pur lasciandolo fortemente sospettare.

A fine settembre la spedizione doveva essere già conclusa, gli orsi in letargo e quelli ancora in giro molto pericolosi perché non avevano ancora fatto sufficiente scorta di cibo per l’inverno.

Già all’aeroporto di Kodjak,  per tornare in California, Tim ebbe un banale alterco sulla validità del biglietto aereo. Strano, non s’era mai sbagliato nei 12 anni precedenti, perciò decise di tornare al Labirinto dei Grizzly, il luogo più pericoloso del Parco, esclamando: “Dio quanto odio il mondo degli uomini.” Amie, la sua compagna, non era d’accordo, perciò gli disse che “stava apertamente pensando di lasciarlo per sempre”, e lo definì una persona “distruttiva”, ma inspiegabilmente lo seguì. 

Nelle varie riprese Tim parlò anche dei suoi vissuti, da cui emergeva un divismo istrionico quale bisogno di apparire anche come reazione ai suoi vari fallimenti, tra cui quello con le donne. Non capiva perché, nonostante le sue buone qualità, non riusciva ad avere con loro un rapporto duraturo, e l’idea di essere lasciato, lo destabilizzava. E’ lecito allora pensare che le ultime parole di Amie avessero potuto funzionare da detonatore.

Ma c’è un’altra peculiarità del suo rapporto con la morte. In precedenza disse: “Spesso ho l’impressione che la morte sia la soluzione migliore. In questo modo le mie parole avrebbero maggior peso e riusciranno finalmente a cambiare le cose”. Parole in sintonia con quel suo voler essere l’unico protettore degli orsi, un mito, benché solo non fosse, c’era Amie con lui. Ma Amie rimase una misteriosa sconosciuta. Nelle varie riprese comparve solo due volte: la prima alla discesa dall’aereo che li portò lì nell’ultimo viaggio; la seconda poco prima di morire, di profilo in viso che tentava di defilarsi dall’inquadratura come era solita fare per lasciare tutta la scena a Tim, e con l’orso incombente già vicino alla tenda. Perché in questo caso decise di immortalarla? Perché consapevole che quelli sarebbero stati i suoi ultimi momenti di vita?  Poco prima Tim venne a dire che “al labirinto ci sarebbe rimasto per sempre”, e appena arrivato sul posto precisò che “campeggiare nella terra dei grizzly già di per sé è pericoloso, ancor di più se lo si fa in mezzo alla boscaglia”, ove piazzò la tenda, “anziché in una radura come consigliato.“  Perché allora una scelta così rischiosa che metteva a repentaglio anche la vita di Amie?  Non solo, riprese un orso, il loro presunto assassino, alla disperata ricerca di salmoni e con un’insistenza che Herzog definì “strana”

Nell’ultimo video, infine, fuori dalla tenda poco prima di essere aggredito, sotto la pioggia battente e il vento sferzante, continuava a fissare lo stesso fotogramma e a girarsi, a guardarsi le spalle, come se s’aspettasse un imminente attacco. Non solo, aveva lasciato le scarpe fuori dalla tenda. Come mai con una tempesta in corso?

Quando Tim fu attaccato dall’orso, Amie era nella tenda. Avviò la videocamera senza togliere il coperchio dell’obiettivo, ma l’audio registrò le loro voci, macabra testimonianza dei loro ultimi istanti di vita. 

Resosi conto che per lui non c’era più scampo, tra lamenti strazianti, gridò ad Amie di scappare via. Si potrebbe pensare che all’ultimo avesse voluto salvarle la vita, ma dove avrebbe potuto andare Amie da sola in mezzo ai grizzly, al buio e con una tempesta che si stava trasformando in uragano?

Morto lui, lei inevitabilmente avrebbe fatto la stessa fine, ma prima vennero divorati vivi. I loro resti, vestiti compresi, furono ritrovati nella pancia dell’orso.

Che cosa scattò dunque nella mente di Tim in quei momenti non lo sapremo mai, ma tanti indizi lasciano pensare che di morte intenzionale si trattasse.

E’ del 10 luglio scorso l’uccisione a scopo predatorio in Romania di Maria Diana, una diciannovenne che un orso, sbucato all’improvviso su un sentiero molto frequentato, trascinò giù per un dirupo dopo averla repentinamente afferrata per un gamba, che aveva incominciato a divorare, finché non fu abbattuto.

E’ un luogo comune dire che l’uomo è la peggior bestia dell’universo, ma ci vedremmo in un mondo sempre più in balia degli orsi, come si deduce raccogliendo notizie anche da altri Paesi?

Se solo avessimo un minimo di amor proprio per noi stessi e per l’umanità, ed è questo il confine invisibile degli indigeni dell’Alaska, non ci metteremmo mai al livello degli orsi, con tutto il rispetto, ben sapendo che noi possiamo anche produrre la bomba atomica e loro no, ma siamo anche l’unica specie al mondo a cui è saltato in mente di tutelare i propri predatori.

Va bene allora amare la natura, gli animali, ma di fronte a tanta siffatta ferocia predatoria nei nostri confronti, noi abbiamo l’obbligo di difenderci, anche a costo di sacrificare dolorosamente la nostra utopia di una pacifica convivenza con certe specie animali.

 

Stefano Araldi

 

8 Responses

  1. Articolo interessante e coinvolgente. Sono d’accordo con l’autore il limite invisibile tra l’uomo e il mondo animale va comunque sempre rispettato per consentire ad ognuno una pacifica convivenza.

  2. Articolo ben strutturato che descrive in modo molto particolareggiato le condizioni che purtroppo hanno portato Tim ed Andie alla loro tragica scomparsa nel desiderio, forse utopico, come afferma l’autore, convivere con una specie di animali così potenzialmente aggressiva.

  3. Complimenti dottore!
    Una storia dai contenuti agghiaccianti che appassiona perché fa un’analisi corretta di quella mentalità animalista che, per tutelare certe specie animali, mette a rischio
    la vita stessa dell’uomo.
    Concordo pienamente con la sua conclusione e la ringrazio per l’aspetto educativo dell’articolo.

  4. La solita puntuale analisi del dottore che condivido parola x parola.Sono due mondi che non si possono confondere fra loro. Nel rispetto totale non sopporto che la morte di un orso susciti più commozione di chi, legittimamente, si fa un giro nei boschi e viene sbranato. Diciamolo alla signora Brambilla e a chi come lei non sa discernere … Bravissimo il dottore che fa anche un’opera educativa!!!

  5. Articolo di grande attualità, come sempre, e di altissimo spessore.
    L’uomo e la natura hanno convissuto per milioni di anni senza che nessuno dei due dovesse soccombere o prevaricare. Lo stesso passato preistorico ci dovrebbe aver insegnato che l’uomo non può domare la natura, che si addomesticano animali in grado di essere addomesticati, che la vita si è evoluta grazie all’abilità di trovare l’equilibrio giusto e di sapersi adattare all’ambiente circostante, certo, anche nel rispetto di chi nella natura vi era da molto prima di noi, ma trovando i giusti mezzi per “viverlo” ove e come possibile.
    E invece l’uomo si è imposto su tutto… Sui ritmi, sui processi, sui percorsi, arrivando addirittura a modificare habitat e abitudini di animali che da milioni di anni avevano già tracciato i loro confini.
    E se in tal senso ha peccato l’uomo, la conseguenza ha portato agli emblematici avvenimenti descritti e alle disgrazie legate a incontri con questi plantigradi che finiscono in tragedia.
    Opinabile, in ogni caso, lo schierarsi di alcuni, senza dubbio alcuno, a favore degli animali che sembrano oggi avere maggior valore della morte di un essere umano, la quale addirittura passa in secondo piano rispetto “al bene dell’orso”…
    Complimenti dottor Araldi, per aver affrontato l’argomento e per la capacità di aver scritto, in modo obiettivo, di questioni troppo spesso estremizzate o politicizzate a favore di posizioni che si collocano solo sul bianco o sul nero senza cogliere le numerose e preziose possibili sfumature di grigio.
    “Si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare.”
    Jean-Paul Sartre

  6. È una problematica molto complessa quella che riguarda la convivenza dell’uomo con specie animali aggressive.
    Solo due considerazioni. Gli orsi importati dalla Slovenia hanno un DNA diverso dai nostri trentini e da quelli marsicani. Sono molto più aggressivi e male fece la Provincia di Trento 24 anni fa ad attivare il noto progetto, peraltro senza alcun controllo con la speranza che la natura avrebbe fatto il resto…
    Dici bene quando adoperi la frase “violare le regole dei parchi naturali” dove vivono gli orsi. In Italia, diversamente dagli States e forse anche meglio in Canada, non esistono parchi naturali protetti con tanto di cartellonistica e la presenza di rangers, come nei cartoni animati di Yoghi e Bubu. Quando un malcapitato in montagna si imbatte in un plantigrado è perchè nessuno gli ha spiegato che, inconsapevolmente, è entrato in un territorio che non è casa sua, bensì degli orsi. Esattamente come potrebbe capitare se un intruso entrasse in casa nostra! Bisognerebbe creare delle regole, come in America del Nord, e spiegare ai turisti che se qualcuno ci lascia la pelle la colpa non è degli orsi ma dell’assenza di educazione e di conoscenza del problema. E non è sparando agli orsi che si risolve il problema, tanto meno in barba alle sentenze del tar, come è successo con l’ultima uccisione.
    Termino complimentandomi con Stefano per aver sollevato un problema ancora oggi sottostimato.

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