Si intitola “SOTTO ASSALTO. BANDE ARMATE E VIOLENZA POLITICA NELLA MILANO DEL SECONDO DOPOGUERRA” la mostra a cura dell’Archivio di Stato di Milano visitabile fino a metà ottobre.
La mostra ripercorre gli episodi drammatici della violenza e della criminalità che hanno colpito la città di Milano tra gli anni ’50 e gli anni ’80 del Novecento: la cosiddetta “strategia della tensione” e gli “anni di piombo”, episodi di delinquenza organizzata e fatti di cronaca nera, i NAR e le BR, le bombe sui treni e nelle banche, le sparatorie tra gruppi politici e con le forze dell’ordine, l’omicidio del commissario Luigi Calabresi e del giornalista Walter Tobagi, la morte di Giangiacomo Feltrinelli e l’attentato alla questura di Milano e altri episodi organizzati da gruppi armati di diversa matrice politica.
Si tratta in realtà di due piccole sale che espongono una piccola selezione di documenti e immagini, e perfino una parte di ordigno inesploso portato in aula per il processo di piazza Fontana.
Come tutte le mostre d’archivio è poco appariscente, ha poco appeal, non riempie gli occhi con grandi scenografie o immagini potenti, e richiede anche una fatica in più: occorre per forza leggere per capire che cosa si sta vedendo, a differenza delle mostre di pittura dove crediamo di aver capito un dipinto solo perché lo stiamo guardando mentre invece non ne sappiamo nulla.
Ciò che veramente rende eccezionale questa piccola mostra è che si tratta di documenti eccezionali, perché provenienti dagli archivi del Tribunale e della Procura di Milano versati negli anni all’Archivio di Stato (le norme prevedono infatti che prefetture, notai e tribunali versino la loro documentazione agli archivi dello Stato con cadenza periodica). Insomma si possono vedere i reperti originali dei delitti, i dossier originali delle indagini, le foto originali di armi e delitti, documenti appannaggio solo degli inquirenti e che vedere dal vivo emoziona particolarmente.
Tra tutte, per chi scrive, l’immagine più toccante benché vi siano perfino immagini di delitti e stragi, è stata una banalissima fotografia segnaletica del “sedicente” Umberto Siniscalchi, alias Stefano Soderini, (nella foto centrale) storico terrorista dei NAR.
La foto risale all’arresto del 1981: Soderini ha 20 anni esatti e uno splendido viso, di quella bellezza che è solo della gioventù universitaria, docile, pulita, istruita, innocente e piena di quella seducente purezza che appartiene solo ai 20 anni e che se ne va con loro per non tornare mai più. Ecco, quella foto mi si è piantata negli occhi come una ciglia caduta, quel fastidio penetrante causato da quanto di più innocuo ci possa essere. Come è mai possibile che dietro a un viso d’incanto come quello si celi un decennio di guerra civile terribile e spietata come quella che abbiamo vissuto? Ci sono tante ovvie risposte, e molte altre molto meno ovvie, ma nella bellezza innocente di quel viso si perde veramente ogni logica ragionevole e, potenza dell’immagine, forse tutto diventa semplice e chiaro: fu veramente follia e niente di più.
Nella narrazione dei pannelli talune sentenze giudiziarie e talaltre narrazioni politiche vengono assunte de facto come punti di giudizio definitivo, mentre ad avviso di chi scrive ancora molto rimane da capire e da sapere su molti di quei fatti, e mi riferisco ovviamente soprattutto alle stragi. La strage, diceva lo 007 italiano Federico Umberto D’amato, è il più meschino dei reati ma anche il più difficile da risolvere: non c’è movente diretto, non c’è legame diretto con le vittime, basta una borsa con una bomba rudimentale lasciata in un luogo affollato da un tizio qualunque e il disastro è compiuto senza lasciare praticamente traccia. E del resto non è un caso che Lenin etichettasse con dispregio le azioni terroristiche come atti borghesi, cioè vili e opportunisti, mentre la vera azione rivoluzionaria era la guerra aperta.
Rimango fortemente convinto che ad oggi ben poca verità sia emersa sulle stragi, che troppa politica ha permeato indagini e sentenze da ambo le parti, che troppa faciloneria ha gonfiato narrazioni seducenti e sedicenti e che tanti, troppi pezzi di quei puzzle stiano ancora negli archivi di Langley in Virginia e di Mosca, e forse non ne usciranno per molte generazioni a venire, mentre per molti altri fatti la verità è molto più semplice di quanto ci ostiniamo a pensare.
Resta un fatto: solo con questi fondi archivistici milanesi si potrebbero fare decine di mostre, e anzi io credo che gli anni di piombo milanesi meriterebbero un circuito dedicato, inteso non tanto o non solo come museo espositivo, ma come luogo internazionale di conservazione, studio, contaminazione e interazione di questi materiali per giovani studenti e studiosi, un luogo neutro di rielaborazione per le generazioni che verranno e che forse finalmente scopriranno tutta la verità.
Credo che ben pochi fondi d’archivio potrebbero essere centrali nella formazione di giovani nuove menti come quelli di quei terribili anni in cui, forse per la prima volta nella storia, i giovani non furono mandati a morire per una guerra decisa dai vecchi, ma morirono in una guerra nata proprio dai giovani.
Certo è che gli archivi si confermano sempre più una miniera impressionante di memorie, con una potenza emotiva davvero tanto stupefacente quanto inaspettata.
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano