Uno dei motivi principali della vera e propria débacle dei commentatori televisivi italiani sulle elezioni americane è una combinazione di scarsa conoscenza degli USA da un lato, e dalla abitudine di guardare a un Paese altrui come si osserva il proprio dall’altro.
Qualche mese fa è venuta a trovarmi la mia step-family (famiglia adottiva) di San Diego, e mi ha stupito la loro espressione quando ricordavo con nostalgia le dolcezze della vita californiana di vent’anni fa…mi dissero che la California che avevo vissuto io ha ben poco a che fare con la California di oggi, e che molti californiani sono migrati in Texas, cosa che vent’anni fa era oggettivamente inimmaginabile. Questo fenomeno è in gran parte dovuto allo scontento per la deriva ultra liberal dei Democratici che ha imperversato negli ultimi anni, lì come in molti altri Stati come ad esempio la Pensilvania, terra di origine di Joe Biden e che ha visto vincitore Donald Trump.
Mentre molti commentatori televisivi italiani ancora in questi giorni vaneggiano di una America utopica del domani a traino democratico, è accaduto che proprio l’aver subìto le conseguenze dello strapotere democratico e di molte sue scelte radicali ha portato gli americani a voltare così energicamente pagina virando a destra.
Anche se a sentire i soloni televisivi italiani pare che Trump sia al.potere da una eternità, la verità è che gli ultimi 20 anni sono stati appannaggio assoluto della politica democratica, e soprattutto della sua espressione più estrema, quella che in parte va a braccetto con la così detta cultura “woke” e che ha in maniera veramente impressionante condizionato anche la politica europea e italiana.
Una cultura politica, quella ultra liberal democratica, che ha messo in maniera estrema al centro di ogni scelta politica i diritti civili e temi come i diritti sessuali individuali, l’écologia e l’integrazione razziale che per la verità ben poco hanno a che vedere con la tradizione socialista e comunista della Sinistra europea, che invece ha sempre posto in cima ad ogni questione i diritti sociali collettivi come il lavoro, la casa, la salute pubblica e che nulla aveva a che fare con il liberismo consumista di cui i Democratici, come tutti gli americani, sono dei fierissimi paladini.
Ma da dove arriva questa “deriva”?
Chi scrive ha sempre pensato che la famiglia Kennedy sia il vero spartiacque della politica americana del ‘900, e soprattutto di quello spostamento a sinistra dei Democratici che in realtà fino agli anni ’60 erano stati per certi versi molto più conservatori dei Repubblicani. Fu Robert Kennedy a imprimere questa impressionante virata ultra liberal alla politica democratica, cavalcando la istanze sociali che in quegli anni, sopratutto col ’68, divamparono portando gli USA sull’orlo di una seconda guerra civile: gli Hippies e le Pantere Nere da un lato, l’ FBI e le varie polizie dall’altro.
Una cavalcata spericolata, quella di Bobby Kennedy, condotta con grande energia ma con poca prudenza e che costò la vita al Senatore di New York, proprio come solo 5 anni prima era accaduto al fratello è+presidente John. Già allora quella deriva consegnò l’America alle rassicuranti crociate conservatrici di Nixon, innescando un meccanismo di radicalizzazione a destra dei Repubblicani e a sinistra dei Democratici, che ha raggiunto l’apice e il coronamento con la elezione del primo presidente nero della Storia, quel Barack Obama di cui la Harris ha tentato invano di essere emula ed erede, tanto che in molti hanno sostenuto che proprio la moglie di Obama, Michelle, sarebbe stata una candidata migliore.
Ma esattamente quella stessa America, proprio quella che 20 anni fa stupì il mondo eleggendo il primo presidente nero e ultra liberal, oggi stupisce nuovamente il mondo ri-eleggendo un outsider ultra conservatore, a mio avviso dando ancora prova di essere una reale e salda democrazia.
E credo che questa scelta meriti analisi molto più serene e rigorose di quanto sentiamo in TV, anche perché se è comprensibile essere filo democratici nella Europa così evoluta di oggi, lo è meno ignorare che talune scelte radicali evidentemente agli elettori paiono meno poetiche e più critiche.
Francesco Martelli
sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
docente di archivistica all’Università degli studi di Milano