Tutto è passato come acqua sul vetro. L’infernale macchina dell’umanità tutto ingoia, trasforma ed elimina perché non conosce altro modo di procedere per poter continuare a proteggere la sua stessa esistenza. Chi ricorda perfettamente tutto ciò di orribile che è successe nell’ex-Jugoslavia, la terra degli slavi del sud? Ma qualcuno non ha dimenticato. In generale sono solo gli storici di professione e in particolare uno di loro che ha scritto un libro di rara potenza e profondità: Bruno Maran (Dalla Jugoslavia alle Repubbliche Indipendenti, ed. Infinito euro 19, pag. 400). Prefazione e introduzione di altri due notevoli storici: Riccardo Noury e Luca Leone del quale cito la nota perché non potrei dire meglio ‘’L’autore, Bruno Maran, non vuole convincere della bontà di una o dell’altra tesi, non prende posizione se non al fianco delle popolazioni civili bersagliate dal dolore dello stupro, delle esecuzioni sommarie, dei campi di concentramento, delle fosse comuni, degli esodi biblici’.
Bruno Maran ha compiuto un enorme lavoro di ricerca, partendo dal 1941 sino al 2015 per dare un quadro della tribolazione balcanica iniziata da lontano con la prima guerra mondiale. La rarità di questo volume, vera enciclopedia dei fatti riportati quasi giorno dopo giorno, consiste nella trascrizione di documenti originali, quasi sempre senza commento. Normalmente gli storici, pur tentando di esporre una ricerca asettica, è umano e normale che partano da una tesi ideologica a loro più congeniale. Come ben detto nella prefazione, questo non c’è in Bruno Maran ma è proprio grazie a questa mancanza che è stato costruito un monumento di inestimabile valore e che rende questo volume forse unico per tentare di capire e sbrogliare l’inestricabile matassa delle varie regioni slave, tutte contro tutte. Bosnia-Erzegovina, Croazia, Macedonia, Serbia, Slovenia, tutte con mescolanza di etnie diverse, sembravano non aspettare altro che la morte del Maresciallo Tito per scannarsi a vicenda, dal ’91 al ’95. Tito morì nel 1980, tre giorni prima di compiere 88 anni, nel policlinico di Lubiana, il migliore dell’Jugoslavia.
Tutti contro tutti, soprattutto in Bosnia-Erzegovina: Musulmani contro mussulmani, croati e mussulmani contro serbi, serbi e croati contro mussulmani, musulmani contro croati, Musulmani e serbi contro croati, croati e musulmani contro serbi, serbi contro mussulmani, serbi e croati contro mussulmani, serbi contro croati.
Con l’accordo di Dayton mediato e voluto dagli USA sembrava tacitata la voce dei cannoni dal ’95 al ’99. In precedenza c’era già stata la strage di Srebrenica, con circa 10.000 civili sterminati e poi Gorazde e Vukovar rase al suolo. Sarajevo bombardata per 4 anni e ridotta ad entità non più esistente. E poi nel ’99 riparte il massacro con l’intervento aereo della NATO in Serbia. Con la fine delle atrocità maggiori iniziano le vendette personali e soprattutto la cattura di coloro che erano ritenuti responsabili diretti o mandanti di crimini orrendi e consegnati al Tribunale penale dell’Aja che funzionò quasi fino ai giorni nostri sulla falsariga di quello ancor più triste, tetro e famoso di Norimberga che vide la condanna a morte di 16 ex-gerarchi nazisti. Il tribunale dell’Aja venne istituito dall’ONU nel ’93. Ricordiamo i più tristemente famosi tra i 200 processati: Svobodan Milosevic, presidente della Serbia, arrestato nel 2001, condannato all’ergastolo e morto
misteriosamente in cella nel 2006. E poi Radovan Karadzic capo politico e il generale Ratko Mladic, entrambi condannati all’ergastolo per il genocidio di Srebrenica.
Chiudiamo con i principali capi d’accusa praticamente comuni, con diverso grado di gravità, a tutti i 200 processati con pene inflitte dai 5 ai 40 anni per finire con l’ergastolo: contro l’umanità, per guerra, avvelenamento da piombo, genocidio, omicidio, persecuzione, deportazione, saccheggio, terrore contro civili, violazione del codice di guerra, pulizia etnica, tortura, stupro, devastazione civile, prostituzione.
Ricordiamo infine la morte del cremonese Fabio Moreni, assassinato in Bosnia con altri due italiani, mentre erano impegnati in una missione umanitaria. Ma tutto passerà ancora come acqua sul vetro.
Pietro De Franchi