Le donne nell’epica omerica, quando non erano oggetto di conquista maschile

23 Maggio 2024

Nel 1184 a. C. la città di Troia venne distrutta dall’esercito greco, dopo un assedio durato dieci anni. Causa della guerra, secondo quanto si legge nell’Iliade e nell’Odissea, poemi epici che la tradizione vuole scritti da un cantastorie, Omero, una greca, Elena, la donna più bella del mondo. Innamoratasi di un affascinante troiano, Paride, abbandonò il marito, Menelao, e fuggì con lui a Troia. I greci vollero riportarla a casa con le armi. Così ci è stato spiegato a scuola, senza approfondimenti né analisi critiche sulla veridicità dei fatti, sulla personalità e sul rango dei personaggi.

“Non è vergogna che i Teucri e gli Achei per una donna simile soffrano a lungo dolori: terribilmente, a vederla, somiglia alle dee immortali!”. Questi erano i sentimenti degli anziani di Troia sulla bella regina greca.

E’ bene precisare che Elena, figlia del re di Sparta, Tindaro, moglie di Menelao, era una regina e il troiano Paride era un principe in quanto figlio del re Priamo. Inoltre la bellissima regina era sorella di Clitemnestra, la moglie di Agamennone, re di Micene. Agamennone e Menelao erano fratelli. 

Molti studiosi nel corso degli ultimi secoli si sono chiesti come sia stato possibile che i greci abbiano condotto una guerra durata dieci anni con grandi perdite umane allo scopo di riportare a casa la regina e hanno concluso, sulla scorta di testimonianze di autori greci e latini, che la vera ragione del conflitto andava cercata nel disegno dei greci di impossessarsi di territori orientali per ragioni economiche.  Erodoto, che scriveva nel quinto secolo a. C. affermò che i troiani non sarebbero stati così sciocchi da combattere dieci anni per una straniera.

Altro punto da sottolineare riguarda la reazione di Menelao quando Elena tornò a varcare i gradini della reggia, condottavi a forza. Menelao la perdonò e la riaccolse in casa con entusiasmo. Un gesto di grande amore? Non proprio. Il matrimonio con la regina attribuiva il titolo di re al marito. Senza Elena, non sarebbe più stato re. Un esempio illustre di come il matrimonio rappresenti a volte l’occasione, per uno dei coniugi, di migliorare la propria esistenza, il proprio prestigio sociale, al di là delle leggi dell’amore. Una tendenza che dura ancora oggi, senza soluzione di continuità nei secoli che il buon senso comune definisce con l’espressione “attaccare il cappello”, modificata dai più raffinati in “lanciare il sombrero”. 

Diverso il destino di Agamennone. Partendo per Troia, affidò a un consigliere la moglie Clitemnestra. Esasperata dal fatto che Agamennone avesse immolato la loro primogenita, Ifigenia, come sacrificio indispensabile per la spedizione contro Troia, Clitemnestra si sbarazzò del consigliere e prese un nuovo marito, Egisto, cugino di Agamennone e convissero nel palazzo reale a Micene. Quando Agamennone tornò da Troia, essi lo uccisero ed Egisto, come marito di Clitemnestra, divenne re.

C’è una terza regina nel mondo omerico: Penelope, moglie di Ulisse, che riscuote la più alta ammirazione per la propria castità, mentre Omero incarica lo spettro di Agamennone di descrivere l’infedeltà di Clitemnestra con parole di condanna. 

In un ambiente sociale in cui la donna non poteva scegliere il marito, ma le veniva imposto, la moglie di Ulisse avrebbe potuto scegliere uno dei pretendenti che l’assediavano come fosse stata una prigioniera in casa propria. Ma questa conquista della donna non riflette l’atteggiamento generale dei Greci dell’età omerica verso il genere femminile.

 

Sperangelo Bandera

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