Le invasioni botaniche d’autunno a Cremona: il tripudio delle foglie e degli animali. Guardando le piante siamo tradizionalmente portati a cercare i fiori, che tuttavia non sempre rappresentano la parte più significativa dal punto di vista percettivo e quindi estetico. Le foglie, soprattutto di questa stagione in cui le fioriture tendono a ridursi, offrono anch’esse riscontri di rilevante suggestione e bellezza, che non meritano certo di essere sottovalutati.
D’accordo per le foglie, ma gli animali cosa c’entrano?
C’entrano eccome, anzi bisogna ringraziare il regno vegetale se la nostra attenzione si estende anche a quello animale, a partire da queste enormi foglie dell’Alocasia macrorrhizos (foto 1), originaria del Sudest asiatico, che proprio per le grandi dimensioni e la foggia vagamente simile a quella di un padiglione auricolare, vengono chiamate “orecchie d’elefante”. E il loro movimento indotto dal vento, pare accentuare tale analogia.
All’elefante potrebbe ingannevolmente farci pensare anche il nome di specie “macrorrhizos”, da macro cioè grande. In realtà esso non si riferisce alle foglie, ma al grande rizoma sotterraneo. Pianta erbacea alta fino a 5 metri, le foglie lunghe fino a 2, larghe un po’ meno, su piccioli ancor più lunghi. Insomma pare che con questa specie la natura si sia divertita a esagerare. Con un’eccezione però, i fiori, qua assenti, che sono piccoli all’interno tuttavia di vistose infiorescenze tipo calla.
Con l’Alocasia “Dragon scale” (foto 2) proseguiamo su entrambi i temi, non nascondendo però un po’ di apprensione. In realtà la parola drago significa serpente. Poco cambia. Cosa sono in fondo i draghi se non dei rettili mostruosi? Il nome andrebbe riferito a queste foglie verdi glauche/argentate che assomiglierebbero alla pelle di un drago.
Ma esistono veramente i draghi? Ebbene sì, anche se confinati proprio nel Sudest asiatico da cui la pianta origina, e in particolare in alcune isole indonesiane: i draghi di Komodo, che da una di queste isole prendono il nome. Non sputano fuoco, ma col morso iniettano un veleno potentissimo che in 24 ore porta a morte, e possono mangiare tutti gli animali, uomo compreso.
Ci sono poi i draghi volanti, anch’essi del sudest asiatico ma più diffusi. più piccoli e meno terrificanti. A quale dei due fa riferimento la pianta? O ce n’è un terzo? Comunque creature mostruose.
A proposito di mostri, ecco la pianta mostro. (foto 3) Monstera c’è scritto sul cartellino. Ed effettivamente queste foglie dall’aspetto tormentato, profondamente incise e coi segmenti terminali affilati come le dita di una strega, una certa soggezione la incutono anche se, approfondendo la ricerca, pare si tratti di un’altra pianta affine, un Philodendron.
Le foglie dell’Alocasia branciifolia Pink Passion (foto 4) rappresentano un’eccezione nel genere Alocasia ove sono generalmente compatte, mentre qua sono divise in coppie di segmenti alternati con uno singolo apicale.
L’ibrido Pink Passion ha un colore dei fusti incredibilmente rosato con bande nere che gli conferisce un aspetto zebrato, simile a quello dell’Alocasia zebrina p.d. (foto 5) così chiamata per l’alternanza di bande verde chiaro o bianche e nere sovrapposte, a ricordare proprio la pelle di una zebra.
Ma c’è di più: una pianta col nome di due bestie messe assieme, l’Alocasia zebrina tigrina (foto 6) Prede e predatori unificati nel mondo vegetale grazie alla mediazione dell’uomo. In effetti anche la tigre, come la zebra, ha la pelle decorata da bande nere su fondo però arancione o giallo scuro. Bianco sotto. Analogamente la pianta ha le bande nere su un fondo verde scuro del fusto. Le foglie poi tipicamente sagittate.
Ma quale pianta più dell’Aphelandra squarrosa (foto 7), oltre che di un’incredibile bellezza fogliare, può meglio rappresentare il tema della zebra, tant’è che è chiamata comunemente proprio Pianta della zebra?
Qua però l’aspetto animalesco non compare sul fusto, bensì sulle foglie in rosette dense e serrate e dai tipici colori verde scuro quasi nero alternato a bande (le profonde venature) bianco avorio. Dal centro della rosetta emerge poi una struttura giallastra con bordi rossicci costituita dalle brattee dell’involucro fiorale da cui, in primavera, spunterà il fiore, giallo anch’esso.
Strisce bianche soffuse di viola alternate ad altre verdi scure nella pagina fogliare superiore, con quella inferiore rosso porpora, giustificano il nome di specie zebrina a quest’altra pianta, una Tradescantia (foto 8) originaria dell’America. Al di là del riferimento animalesco, splendida la fantasia cromatica delle foglie.
La simile Tradescantia nanouk (foto 9) differisce per l’alternanza di bande bianche e verdi più chiare sulla pagina superiore fogliare, da intendersi come una variazione sul tema della zebra, ma completamente viola nella pagina inferiore.
Certamente anche l’aspetto delle foglie della Pianta del Pavone, la Calathea makoyana (foto 10) lascia stupefatti. Soprattutto per quella decorazione interna, una caratteristica più unica che rara, verrebbe da dire, di un colore verde scuro che è chiaramente la rappresentazione stilizzata di uno stelo di foglie alternate.
Cosa sa fare la natura!! La pagina inferiore poi imita la stessa decorazione ma di un colore rosso su fondo bianco. Secondo alcuni la similarità al pavone si collegherebbe al piumaggio, ma la cosa non mi convince affatto per almeno due motivi: le decorazioni delle piume del pavone sono rotonde, mentre nella Calathea sono oblunghe e poi hanno delle colorazioni blu, che nella pianta mancano completamente.
E allora? Allora, approfondendo l’indagine, il collegamento si riferirebbe a qualcosa di ancor più straordinario, e cioè al movimento. Al movimento della pianta? Quale movimento? Eh sì, eppur si muove, direbbe Galileo, e in effetti una caratteristica delle foglie di Calathea è proprio quella di muoversi in relazione al grado di luminosità dell’ambiente. Al buio si chiudono mentre con la luce del giorno si riaprono in maniera spavalda come spavalda è l’apertura della ruota del pavone. Ecco l’analogia!! Semplicemente fantastica.
Non solo, il movimento delle foglie in chiusura emetterebbe anche un sonoro, una sorta di fruscio avvertibile per cui questa pianta è stata chiamata anche Pianta vivente ed il movimento fotosensibile delle foglie, la danza della luce della Calathea. A questo punto più che pianta vivente, visto che tutte lo sono, sarebbe più adatto chiamarla Pianta danzante.
E poi non è finita qua. Tanto per restare sul tema precedentemente trattato, per l’alternanza di tonalità cromatiche dal verde chiaro quasi bianco al verde scuro, anch’essa è stata chiamata Pianta Zebra.
Nella Calathea orbifolia (foto 11) questi caratteri sono ancor più spiccati. Per le grandi dimensioni fogliari, il loro movimento richiama ancor meglio quello della ruota del pavone, e la meglio definita alternanza di strisce bianche e verdi, più chiaramente il carattere zebrato.
Non potevo non proporre il Croton (foto 12) scientificamente Codiaeum variegatum, una delle più belle foglie che ci siano in circolazione come varietà e composizioni cromatiche, su cui però non mi soffermo per passare rapidamente all’unico fiore di questa breve rassegna: quello dell’Anigozanthos (foto 13) che qua vediamo in diverse varietà cromatiche, dal rosa al giallo all’arancione.
Ebbene il nome dal greco significa “fiore diverso”. Usando un linguaggio moderno potremmo chiamarlo un “diversamente fiore” per la corolla “atipica” divisa in sei parti che qua però non compare salvo in un esemplare arancione al centro in alto e in uno rosa a sinistra, ove i petali appaiono dispiegati. Per il resto sono chiusi per cui, altra sorpresa, i colori che vediamo non sono quelli dei fiori pd, bensì quelli dei loro involucri.
La forma pelosa e digitata delle corolle ricorda le dita di una zampa, donde il nome alla pianta di Zampa di canguro. Il canguro, con cui ne condivide anche l’origine che è australasica!
Incredibile, un’altra correlazione animalesca, e chissà quante altre ne possiamo trovare approfondendo l’indagine, che però si ferma qui, ringraziando pertanto questo weekend botanico anche per avermi fatto conoscere meglio gli animali!
Stefano Araldi
7 risposte
Catturare l’attenzione non sempre è facile, ma il “nostro” dottor Araldi sa stimolare la curiosità necessaria per leggere i suoi articoli con interesse.
“Invasioni botaniche” ottimo titolo del nuovo capolavoro del dottor Araldi che ha saputo accostare le caratteristiche delle piante a quelle degli animali.La mano sapiente della natura,che il dottore sa esaltare,manifesta strutture anatomiche e fisiologiche che solo un occhio attento sa codificare a differenza di chi,come me, guarda in modo superficiale colori intensi e variegati dell’ambiente in cui si vive.Grazie!!
Che dire dottor Araldi! I suoi articoli raggiungono livelli sempre più alti per maestria e originalità, tanto da permetterle di spaziare, con assoluta libertà, dal mondo vegetale a quello animale, cogliendo fantastiche ed inaspettate analogie cromatiche e persino di movimento.
Grazie per la sua capacità di sorprendermi e di ampliare la mia conoscenza della natura!
Complimenti come sempre l’articolo è bellissimo ❤️
Che mondo fantastico quello vegetale! E mai avrei pensato che le foglie potessero dare soddisfazioni agli occhi e avessero nomi così peculiari da richiamare il mondo faunistico.
Grazie all’autore per le spiegazioni e le meravigliose foto.
Complimenti al Dott. Araldi che con i
suoi articoli sa sempre stupire il lettore; con questo articolo in particolare ha dimostrato la capacità di trovare una singolare analogia, non sempre così immediata per il semplice osservatore, tra il mondo vegetale e animale.
Fantastiche le analogie con le caratteristiche degli animali. Stefano è una fonte inesauribile di conoscenze in ogni campo e non finirà mai(!!) di stupirci…