Oggigiorno si versano fiumi di inchiostro sull’argomento la pandemia che verrà. In questi scritti si allude prevalentemente a nuovi patogeni che ancora non hanno causato guai. D’altro canto fonti autorevoli richiamano alla memoria agenti che già hanno lasciato traccia indelebile nella nostra storia, dal momento che alcune di queste vecchie conoscenze potrebbero risvegliarsi. Fra queste vanno doverosamente citate Tbc, spirochetosi, malaria, tanto per cominciare, per non parlare di ‘colpi di coda’ del covid, che si è affezionato a noi così tanto che sembra non volerci lasciare. Tutto questo potrebbe avvenire se non saremo solerti nell’attuare una seria politica sanitaria (non solo sanitaria, per la verità), soprattutto nel Terzo Mondo, oggetto della nostra indifferenza, che potrebbe restituirci il favore sotto forma di varianti meno amichevoli della Omicron. Ma continuando a parlare delle vecchie conoscenze è bene ricordare che le malattie infettive sono i killer numero uno dell’umanità; oggi più di 40 milioni di persone sono Hiv positive, e in tutto, fino ad ora, i morti di Aids ammontano a 25 milioni. Nel 2003 sono morte di Tbc due milioni di persone; chi scrive non è in possesso di dati epidemiologici aggiornati, ma c’è da scommettere che la situazione non è migliorata. La malaria ogni anno uccide un milione di individui.
Si parla ancora poco – ma se ne parlerà, state certi – delle malattie causate da vettori come la già citata malaria, la borelliosi di Lyme, la febbre gialla e altre. Dei 3 ceppi di influenza (A, B e C), quello di tipo A è l’unico che può causare pandemie e, dopo il salto di specie (spillover), il virus – il cui serbatoio è rappresentato dagli uccelli acquatici – cambia, va incontro ad un ‘riassorbimento genetico’ grazie al quale il virus stesso, una volta entrato nelle cellule polmonari di un mammifero, può subire mutazioni. Si crea cioè un nuovo virus, capace di trasferirsi da uomo a uomo, nei confronti del quale il sistema immunitario è inadeguato. E’ questa la causa di una pandemia. Nel tempo, con il passaggio del virus da una persona all’altra, l’uomo acquisisce l’immunità necessaria per sconfiggere l’infezione che acquisisce i connotati di ua ‘normale’ influenza. La storia si ripeterà fino all’emergere di un nuovo virus e tutto può ricominciare.
Se da un lato il ritorno di queste ‘vecchie conoscenze’ è in qualche modo preconizzabile, dall’altro è prossima ad emergere (ma è già emersa, in verità) una pandemia priva di agente infettivo specifico: la resistenza agli antibiotici, cioè i germi – e non i virus – che ci infetteranno risulteranno indenni dall’azione battericida di questi farmaci. Allora avremo un bel problema. Oggi non se ne parla abbastanza, o meglio, se ne parlerà quando sarà troppo tardi (di tutto questo i medici hanno una grande responsabilità perché, pur conoscendo l’emergenza farmacologica, continuano a prescrivere antibiotici in modo poco appropriato). Esattamente come è accaduto per il covid di cui abbiamo intuito il pericolo già nel 2015, quando fu isolato per la prima volta in Cina, in una popolazione campione, ma il fenomeno è stato sottovalutato. Cito brevemente gli agenti infettivi che potrebbero facilmente arrivare a farci compagnia: febbre gialla, virus chikungugnya, febbre del Nilo Occidentale (West Nile fever), cui vanno aggiunti i virus (e non sono pochi) di cui è nota la struttura molecolare e che non hanno ancora fatto danni.
In conclusione i massimi esperti come Peter Piot, consigliere di Ursula von der Leyen, raccomanda di prepararci contro minacce future con cui ci si dovrà misurare. A conferma di ciò arriva la notizia che un nuovo virus aviario, del tipo H5N8, sta facendo strage fra gli uccelli selvatici e di allevamento dal 2020, fortunatamente sinora sono stati riportati pochi casi di infezione umana. Fare gli scongiuri però non basta. Sarebbe ingenuo ignorare che le ondate pandemiche arriveranno periodicamente a sconvolgerci la vita. Se il covid ha svelato inefficienze di cui si continua a parlare troppo poco, sarà bene che cominciamo a porre riparo agli errori commessi che, fra l’altro, hanno contribuito alla diffusione del contagio. Alludo in particolare ai meccanismi di sorveglianza che sono di diverso tipo:
– sorveglianza sindromica: nelle zone a rischio (Cina, India , Malesia….) sono stati individuati alcuni ospedali (ospedali hot spot) che hanno il compito di segnalare alle strutture internazionali i casi con sintomatologia sospetta, ma ciò non sempre è avvenuto; a questo proposito ricordo che già nel 2019 a Codogno erano stati segnalati casi di polmonite atipica, mai ulteriormente indagati, probabilmente perché non è stato lanciato nessun allarme.
– sorveglianza sierologica: questa contempla il dosaggio di anticorpi rivolti contro virus non identificati in precedenza, ma di cui si conosce l’attività patogena. Questo dovrebbe avvenire nei laboratori di riferimento.
– potenziamento della rete di cui è superfluo sottolineare l’importanza
Abbiamo accennato ai problemi vaccinali del Terzo Mondo; ebbene non è facile come parlarne: consegnare vaccini in Paesi che non sono in grado di stoccare il materiale in modo appropriato (mancano i frigoriferi) è da irresponsabili; da più parti si sente dire che migliaia di fiale (ma anche di cibo e altri beni) vengono buttate. La logistica pertanto risulta di importanza vitale , ma è trascurata perché ci sentiamo ‘appagati e migliori’ nell’elargire cibo e farmaci senza pensare al doveroso completamento delle nostre buone azioni. L’attività medica da sola non basta a contenere una pandemia; va ricordato infatti il nostro rapporto innaturale con l’ambiente (disboscamenti, urbanizzazioni non pianificate, opere irrigue…) che porta inevitabilmente a variazioni climatiche che, a loro volta, favoriscono, quando non promuovono, il salto di specie (spillover).
Dovremo pure trovare qualche soluzione concreta a questi problemi di cui si parla con enfasi nei congressi e riunioni a forte impatto mediatico, anche perché, com’è noto, i problemi stessi non sono legati alle sole malattie infettive. Ma queste soluzioni tardano ad arrivare perché dovrebbero essere fornite dalla classe dirigente (a proposito, la chiamano dirigente, ma visto come ci stiamo riducendo, non mi sembra sappia veramente dirigere). L’egoismo che genera profitto non è di per sé male se accanto a questo si coltiva anche il senso di responsabilità, ma su questo aspetto nutro non poche perplessità.
Giuseppe Pigoli
Una risposta
Condivido la saggezza storica, caro dottore. Anche i virus compartecipano dell’universale imprevedibile evoluzione. Facciamoli entrare finalmente in un menu ben equilibrato.