Sono tempi molto difficili per la siderurgia. E, inevitabilmente, quello che accade in Italia sul fronte dell’acciaio ha ripercussioni anche su Taranto, che aspetta di conoscere il futuro dello stabilimento Acciaierie d’Italia il cui momento più delicato coincide con una congiuntura problematica per il comparto.
Significativo quanto deciso ieri, 9 settembre, dall’industriale siderurgico cremonese Giovanni Arvedi il player nazionale più importante del settore, peraltro, non è un mistero, interessato anche al colosso pugliese.
Arvedi Acciai Speciali Terni fermerà uno dei due forni elettrici dell’acciaieria, «a causa del perdurare degli alti costi energetici che non consentono all’azienda di essere competitiva nei confronti delle crescenti importazioni dall’Asia a prezzi stracciati. Il livello del costo dell’energia in Italia, tre volte superiore a quello di altri paesi europei dove operano i principali concorrenti di Aast, sta condizionando il piano di rilancio dello stabilimento umbro».
«Nonostante l’adozione di misure drastiche come l’acquisto di bramme asiatiche per compensare l’incremento dei costi, il divario di competitività permane , non solo nei confronti dei produttori asiatici, ma anche verso gli altri produttori siderurgici europei che beneficiano di costi energetici sensibilmente più bassi», è quanto spiegato dall’azienda.
«Questa mattina la Direzione aziendale di Acciai Speciali Terni ha informato le Segreterie territoriali dei sindacati metalmeccanici che nel mese di settembre, pur in una condizione di pieno produttivo, si fermerà, per una settimana, una linea produttiva dell’area a caldo, per recuperare una parte dei maggiori costi dell’energia. La fermata verrà accompagnata da una richiesta di Cassa integrazione ordinaria per circa 200 persone» dicono Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil e Alessandro Rampiconi, segretario generale Fiom-Cgil di Terni. I due sindacalisti evidenziano come «è la prima volta che l’area a caldo di AST viene fermata per i costi alti e non per motivi produttivi, seppur con un mercato ancora debole e con poca visibilità da qui alla fine dell’anno».
Dalla Fiom viene espressa «grande preoccupazione» perché «più il tempo passa e più vengono messe in discussione le linee guida del piano industriale presentate il primo aprile del 2022. I duecento milioni di euro di investimento sin qui fatti dall’azienda rappresentano un quarto degli investimenti complessivi che puntavano al mantenimento degli attuali livelli occupazionali».
Da parte sua, a margine del Forum Ambrosetti, il ministro delle Imprese e Made in Italy Adolfo Urso si è detto “fiducioso” in questi giorni sul rilancio dell’ex Ilva.
2 risposte
Invece per quanto riguarda il Cesio? Come avrebbe reagito il sindaco di Terni di fronte a una vicenda del genere? Si sarebbe accontentato di sentire che va tutto bene e la situazione è sotto controllo senza sapere da dove è arrivato il materiale radioattivo, come è entrato in acciaieria, come ne è uscito^ A Cremona è così. Siamo tutti felici e contenti. E il nuovo prefetto si adeguerà pure lui?
E’ solo il primo passo verso il via qui sul Po a una fioritura di mini centrali nucleari che ci vengono raccontate come di nuova generazione ma il nucleare di 4^ generazione non esiste ancora e comunque non sono più sicure delle grandi centrali, come potrebbe indurre a pensare la riduzione dimensionale. Ma il ministro Pichetto Fratin ha detto più volte che “il nucleare non è più un tabù per il nostro Paese” benchè il Paese si sia pronunciato per il ‘no’ in 2 referendum.