L’immagine è sostanza. Like e follower sono l’avere. Visibilità e apparenza, i parametri della considerazione sociale. I selfie sono ossessione. Se nell’autoritratto compare il vip vero o presunto, il vippino, lo stronzo patentato e certificato dalla tivù e dai social, è status symbol. Se c’è un personaggio di valore non guasta. I selfie tritano le palle al prossimo. Sono acido lisergico, psilocibina, trip in un pianeta virtuale. Sono distopia, società d’oggi. I selfie sono il qui e ora. Sono il presente. Non hanno passato. Non presuppongono futuro. Sono l’attimo. La politica è un selfie con Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia. Transitata per Crema pochi giorni fa, si è fermata una manciata di minuti per un pit stop a sostegno della campagna elettorale di Maurizio Borghetti, candidato sindaco del centrodestra. Attesa in piazza Garibaldi per le 14,30 la Katniss Everdeen di Fratelli d’Italia è giunta all’appuntamento poco dopo le 15, ritardo dovuto al prolungamento della visita alla Ancorotti Cosmetics. Noblesse oblige, dettaglio sul quale si può discutere e aprire un dibattito se sia più opportuno recarsi prima in un’azienda e poi, fuori orario, dai cittadini-elettori in attesa, o viceversa. Ma non è questo il punto della questione. Scesa dalla macchina, non ha parlato alla folla. Non l’ha arringata. L’ha assecondata in quello che chiedeva, pretendeva e attendeva. Si è concessa agli obiettivi dei cellulari, apoteosi di selfie e delirio. Giorgia, qui, Giorgia là. Georgia On My Mind di Ray Charles, sarebbe stato il tocco di classe, quello della perfezione, ma non si può avere tutto. Poi è andata al bar. E’ uscita. Altri selfie. Alle 15,30 è ripartita, Madonna pellegrina portata in processione nella Repubblica del Tortello per la felicità dei pasdaran dell’autoscatto. E Borghetti? Borghetti chi? Questo è il punto. Il selfie ha oscurato il candidato sindaco. L’ha azzerato e annullato. Invitare a Crema la presidente del partito e trasformarla da soggetto politico in oggetto per selfie è peccato contro natura. Non è politica. E’ cazzata grandiosa. Ma questo pretende l’omologazione e i partiti s’adeguano. E’ l’avere che s’impone sull’essere. Il selfie è politica. La politica è uno, dieci, cento, mille selfie. Un tempo era proposte, programmi, ideali. Tutto è cambiato. Anche la gente. Il selfie è trasversale.
Poche ore dopo, alle 21, in piazza duomo, superstar Giuseppe Conte, ex presidente del
Consiglio, il copione si è ripetuto. Con una significativa variante. L’avvocato del popolo ha tenuto un comizio, quello dei democristiani di una volta. Al suo fianco Manuel Draghetti, candidato sindaco dei Cinque Stelle, ha illustrato il programma elettorale e raccolto applausi. Poi la sarabanda dei selfie. Un tripudio anche per Conte. Giuseppe qui. Giuseppe là. Con la bambina. Con la mamma. Con la zia.
Il selfie è mancanza del senso del ridicolo. E’ senza limiti. E’ rincoglionimento collettivo. «Fatti un selfie con la vacca! E pubblicalo sui social». Esortazione ambigua, diventava comprensibile dalla locandina pubblicitaria dell’iniziativa. L’articolo (vittorianozanolli.it, 30 maggio) sulla conclusione di Formaggi e Sorrisi-Cheese&Friends, ha spazzato via ogni dubbio con l’informazione che i partecipanti alla manifestazione avevano la possibilità di spararsi un selfie con un vacca campionessa internazionale, della serie libidine in riva la Po e sotto il Torrazzo.
I social hanno sostituito le piazze. Gli influencer, i maestri e i vecchi saggi. I social hanno anteposto e imposto l’avere all’essere. Il quotidiano La Provincia (29 maggio), ha inserito Chiara Ferragni, 27 milioni di follower, tra le personalità per le quali il nostro territorio deve andare fiero. E’ valore aggiunto. Plusvalenza. Accanto a lei il giornale ha collocato Antonio Stradivari, Sofonisba Anguissola, Amilcare Ponchielli. Ha dimenticato altri grandissimi: ad esempio Giovanni Bottesini e Piero Manzoni, ma non è errore da matita blu. Chiara Ferragni è una macchina da guerra commerciale. Giovanni Bottesini è un protagonista della storia del contrabasso. Avere ed essere.
Il pensiero critico latita. Confinata in una riserva protetta con alcuni anziani, qualche reduce di rivoluzioni abortite e pochi giovani, la riflessione sull’essere traccheggia. Enclave di indiani pipparoli insoddisfatti del mondo, convinti dell’imprescindibile necessità del loro pensiero, gli intellettuali locali non muovono un dito per trasformare l’avere in essere. Quando ci provano, usano il mignolo. Troppo spesso snob e inconsapevoli classisti, vivono in una turris eburnea. In basso, alla base, vedono i meno fortunati arrabattarsi per sopravvivere. Li studiano e li analizzano. Restano in silenzio e non agiscono. Disdegnano il volo a bassa quota, infastiditi dal fetore e preoccupati dagli schizzi di merda prodotti dalla comunità dei reietti. I più volonterosi scendono sulla terra. Si mischiano con ultimi, penultimi e terzultimi, ma spesso abbandonano il tentativo per sfinimento e frustrazione. Rientrano nella torre. Lasciano l’essere e si rifugiano nell’avere, senza smettere di dissertare sull’essere. Parole. Chiacchiere. Cazzeggio impegnato e colto.
Dove si trovavano gli intellettuali nei giorni della querelle tra Angela Cauzzi, Consiglio
comunale e Paolo Carletti, presidente dello stesso consiglio comunale di Cremona? Da che parte stanno? «Dalla parte di chi ruba nei supermercati? O di chi li ha costruiti rubando?»(De Gregori) Dov’erano quando Carletti dichiarava: «Spiace per il consigliere comunale che ha firmato l’atto politico che chiedeva una benemerenza per Angela Cauzzi, perché il comportamento
della dottoressa Cauzzi offende prima di tutti lui, oltre che l’Istituzione intera, che indegnamente rappresento»? (Cremonasera, 30 maggio) Indegnamente? I maître à penser locali, i partiti, i cittadini non hanno battuto ciglio. Se l’avverbio è peccato di modestia, resta comunque peccato. Se è realtà, allora i consiglieri comunali dovrebbero sollecitare spiegazioni all’interessato.
Dov’erano i paladini del politicamente corretto quando Carletti ha sostenuto: «Certi che
l’emotività abbia preso il sopravvento, ci auguriamo di poter ricevere la dottoressa Angela Cauzzi e di poter dar corso all’atto politico votato all’unanimità dal consiglio comunale»? (Cremonasera, 30 maggio). Connotare il no della Cauzzi come conseguenza dell’emotività, potrebbe segnalare un
residuo di un latente veteromachismo che classifica, le donne, appunto, emotive e gli uomini razionali. Non ci sono prove a conferma di questa ipotesi. Ci sono però due date significative.
La sovrintendente ha comunicato il proprio rifiuto dopo una settimana dal via libera del consiglio comunale alla benemerenza. Carletti ha commentato il no ufficiale della Cauzzi quasi in tempo reale.
L’avere è un ospedale nuovo, ottava meraviglia del modo e oggetto misterioso. L’essere è il
diritto alla salute, l’articolo 32 della Costituzione. L’avere è Cremona al secondo posto nella classifica delle città più inquinate d’Europa. L’essere è lo studio epidemiologico che tarda ad essere completato. Cremona tende all’avere, ma non disdegna l’essere. «Siamo qui pieni di guai a nascondere quello che sei dentro quello che hai». Vasco Rossi, 2021. Non avere o essere? di Erik Fromm, 1976. Il tempo passa, fugge. I problemi rimangono. Cremona e la provincia non si scompongono.
Antonio Grassi
2 risposte
Per favore assumetelo….Giornale La Provincia … Mondo Padano… Primapagina…non fatevelo scappare è bravo,ironico,chiaro ed essenziale….sicuramente le vendite avrebbero un forte incremento. Bravo Antonio.
Complimenti e grazie!!! Una boccata di ossigeno…